Quel razzismo che serpeggia anche nella comunità gay
Riflessioni di Dan Savage tratta dal blog The Stranger, (USA) pubblicato in Italia su Internazionale il 2 agosto 2016
Da uomo queer asiatico mi sento ferito ogni volta che entro in contatto con i gay di New York, Toronto o di qualsiasi altra città in cui i maschi gay bianchi sono la maggioranza. I maschi gay, specialmente quelli bianchi e asiatici, mi respingono per via della mia razza, e nessuno ammette di essere sessualmente razzista. Mi rendo conto che per molti l’attrazione sessuale è una cosa inconscia, ma non è giusto che un gay asiatico come me sia costantemente messo ai margini e respinto. Lotto anch’io per i diritti dei gay. Credo anch’io nell’uguaglianza. Provavo lo stesso dolore per la mia omosessualità alle superiori, e le stesse paure quando ho fatto coming out. Perché non esiste accettazione, né spazio, né accoglienza in questa comunità gay imbiancata? Sono uno e ottantacinque per settantadue chili, atletico e molto attraente. Che posso fare? A questo punto tanto vale farsi monaco e rinunciare al sesso. (Enraged Dude Details Infuriating Experience)
“Mi immedesimo in molti dei sentimenti di EDDIE”, dice Joel Kim Booster, uno scrittore e comico di Brooklyn. “Il risvolto della medaglia, quando vivi in una città con una grande comunità gay, è che quella comunità può diventare così grande da darci finalmente l’opportunità di emarginare alcuni dei suoi membri”.
Anche Jeff Chu, un altro scrittore di stanza a Brooklyn, si immedesima: “Nella comunità gay, proprio come nella società in generale, il razzismo è ancora forte”, dice. “Molti asiatici americani come me escono dal proverbiale armadio per entrare in una strana gabbia di bambù dove o ti trattano come un feticcio oppure ti ignorano. Un sacco di volte, quando vado nei bar gay, vedo gente che si proietta nella testa il suo bel pornazzo interracial, con me nella parte del cinese tascabile. Altri (quelli che mi interessano, per dirla tutta) si comportano come se avessi indosso un cheongsam dell’invisibilità”.
Chu ritiene che di colpe da distribuire, per questa triste situazione, ce ne siano diverse. “Sono i media gay”, dice. “È Hollywood. (Pur con tutti i personaggi LGBT che si sono adesso in tv, che immagine ci arriva di quelli asiatici americani?). È il fatto che le associazioni per i diritti LGBT non si siano ancora abbastanza diversificate, specie ai vertici. E siamo anche tutti noi, quando la pigrizia non ci fa affrontare i nostri pregiudizi”.
Booster e Chu hanno ragione: nella comunità gay il razzismo è un problema, alcune persone vengono ingiustamente e crudelmente emarginate, e tutti quanti dobbiamo affrontare i nostri pregiudizi.
Anche tu, EDDIE. Citi la tua statura (alto!), il peso (magro!) e l’aspetto (molto attraente!) come prova del fatto che i rifiuti sessuali che hai ricevuto derivino soltanto dalla tua razza. Ma ci sono ragazzi bassi, robusti, d’aspetto normale o di bellezza non classica che ricevono rifiuti perché non sono alti, snelli o classicamente boni, proprio come tu ne hai ricevuti perché non sei bianco.
“Essendo io il classico cinese basso, la mia prima reazione leggendo la lettera di Eddie è stata: uno e ottantacinque! Dio, che invidia”, dice Chu. “E il problema è anche un po’ quello. Io, come molti altri, ho interiorizzato un ideale: alto, palestrato, bla bla bla, e soprattutto bianco”.
Anche Booster è rimasto colpito dalle tue misure: “Mi riesce difficile immaginare che uno alto un metro e ottantacinque, atletico e molto attraente possa avere problemi a fare sesso”, dice. “Sulla carta stiamo parlando del gay ideale! Io, che penso di non essere nessuna di queste cose, faccio una quantità di sesso assolutamente decorosa”.
Booster, che in un modo o nell’altro riesce a fare parecchio sesso anche nella “comunità gay imbiancata” di New York, ha qualche dritta pratica per te. “Se l’esperienza con le app diventa troppo negativa, allora a EDDIE conviene starne alla larga”, spiega. “Se aprire un’app d’incontri lo fa deprimere, che faccia una pausa. Far parte di una doppia minoranza può far sentire isolati, ma vivere in una grande città può essere fantastico. Ci sono incontri e locali e attività per tutti i gusti. Provi a entrare in una squadra di pallavolo gay —che è dove davvero i gay asiatici vanno forte — oppure cerchi una delle tante serate gay asiatiche che ci sono nei bar gay della città. Perché esistono”.
Chu, a New York, ha avuto successo perfino nei sentimenti. “Anch’io mi sono sentito come EDDIE, solo che ero più basso, meno atletico e meno attraente, eppure in un modo o nell’altro ho trovato marito”, dice. “Per il monastero non avevo la vocazione, e a naso direi che non ce l’ha nemmeno EDDIE”.
Una parolina ai gay bianchi: va benissimo avere delle preferenze. Ma queste preferenze vanno analizzate riflettendo sulle forze culturali che potrebbero aver contribuito a formarle. Una buona idea sarebbe accertarsi che queste preferenze siano davvero nostre, e non stronzate razziste che ci vengono inculcate dalla TV, dai film e dal porno. Ma se avere delle preferenze è consentito (e le hanno anche i maschi gay neri), niente giustifica il fatto di disseminare Grindr o Tinder o Recon — ma anche solo le chiacchiere da bar — di schifezze disumanizzanti come “niente asiatici”, “niente neri”, “niente effeminati”, “niente grassi”, eccetera.
E se è vero che il razzismo è un problema nella comunità gay (a volte per leggerezza, a volte per cattiveria, ma sempre inaccettabile), stando ai dati del 2010 del censimento degli Stati Uniti elaborati dal Williams institute della UCLA, le coppie dello stesso sesso sono molto più interrazziali (20,6 percento) di quelle del sesso opposto (13,9 percento). Una speranza quindi c’è, e non intendo “la speranza che un giorno EDDIE trovi un magico fidanzato bianco”, ma quella che diminuisca sia il razzismo nella comunità gay in generale, sia nello specifico il numero dei profili razzisti su Grindr.
L’ultima parola a Booster: “Nota per le rice queens, i gay con una predilezione per gli uomini asiatici, che senza dubbio scriveranno in risposta a quest’uomo: siamo contenti di piacervi. Ma piacervi esclusivamente per la nostra razza può essere sgradevole quando va bene, e quando va male parecchio inquietante. L’esperienza mi insegna che è anche perfettamente accettabile tenere certe preferenze nascoste, intanto cominciate a conoscerci come esseri umani”.
Jeff Chu è autore di Does Jesus really love me?. Seguitelo su Twitter: @jeffchu. E per seguire Joel Kim Booster: @ihatejoelkim.
(Traduzione di Matteo Colombo)
Questo articolo è stato pubblicato su The Stranger.