Quell’unità dei cristiani che è già reale e chiama a una chiesa nuova
Articolo del 1° febbraio 2013 pubblicato su confronti.net
Il capodanno di Taizé si è mostrato in tutta la sua freschezza a Roma, nonostante si ripeta da 35 anni nelle capitali europee. Una delle poche realtà di aggregazione, quella ecumenica del villaggio francese, che tra i fenomeni legati alla fede mantiene numeri da capogiro (40mila i giovani arrivati nella capitale), cui va aggiunta una qualità (di valori, di proposta, di partecipanti) davvero significativa.
Roma si è trovata letteralmente invasa da decine di migliaia di giovani, regalandosi lo spettacolo di un Circo Massimo stracolmo sotto il sole di mezzogiorno, tra pranzi al sacco, chitarre, giocolieri, le chiacchiere e le risate di un’umanità fresca, semplice, libera, di tutte le provenienze.
La mattina si dava spazio a gruppi di confronto e riflessione nelle varie parrocchie di riferimento. Due volte al giorno in sette basiliche ha avuto luogo la preghiera, fatta di povertà, poche parole, tanta Parola e tanti canti, i canti di Taizé alternati al grande silenzio. Tutti seduti a terra, frères compresi, rivolti a una semplice croce contornata di candele, in un tappeto sterminato di teste e sguardi profondi.
Due pomeriggi sono stati dedicati ai workshop, circa venti in punti diversi della città, per tutti i gusti: dal dialogo interculturale all’approfondimento sul Vaticano II, dal contatto con chi lavora nel sociale alle riflessioni dei fratelli. Né è mancato un momento di preghiera con Benedetto XVI, con lo scambio dei messaggi tra il papa e il priore di Taizé frère Alois, che ha sottolineato come «apparteniamo a confessioni diverse. Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci separa», e ha ricordato il fondatore frère Roger, che «era davvero cosciente che le separazioni fra i cristiani sono un ostacolo alla trasmissione della fede. Ha aperto percorsi di riconciliazione che non abbiamo ancora finito di esplorare. Ispirati dalla sua testimonianza, moltissimi sono coloro che vorrebbero anticipare la riconciliazione attraverso la loro vita, vivere già da riconciliati».
Questa è l’esperienza e lo stile di Taizé: la dimostrazione che l’unità è già possibile, è già vera, è già vissuta. È possibile incontrarsi, costituire una preghiera comune, sentirsi insieme Chiesa tra giovani di tutte le provenienze e di tutte le confessioni cristiane. Una implicita critica di fatto a tutti coloro che puntando il dito sulle differenze e su «chi ha ragione» a proposito di secolari dispute teologiche, mantengono l’ecumenismo in secondo piano come un cammino troppo difficile e neanche tanto meritevole.
Insieme ad alcuni ragazzi di Genova, a un gruppo di Varese e uno di Cracovia, sono stato accolto e alloggiato in una parrocchia in zona Rebibbia, lontano dal centro. Alcuni sono andati nelle famiglie. Occasione di incontro e conoscenza con una realtà di periferia, i suoi abitanti, le sue attività comunitarie, ma anche la sua quotidianità. In giro per Roma abbiamo ammirato le pietre della storia e delle epoche, i monumenti e i luoghi civili e religiosi che hanno ancora molto da dire. «Pietre vive», come hanno chiamato i gesuiti le loro visite guidate gratuite in 11 chiese del centro, a cavallo tra arte e spiritualità.
Tornato a casa ho constatato che quasi nessuno ha parlato dell’incontro di Roma sui media. 40mila giovani per un capodanno alternativo all’insegna dell’incontro e della fiducia non sono qualcosa che interessa il grande pubblico, o forse è questa l’informazione che ci meritiamo, tutta presa a inseguire i tweet dei politici di turno. Forse a tanta gente sempre più incerta, sola, alla deriva, servirebbe sapere che esistono luoghi di serenità dove si può rigenerarsi e acquisire la fiducia di mettersi in gioco.
È questo in fondo che succede agli incontri di Taizé come in tante altre realtà. Ed è importante che si sia voluta evitare la logica del «movimento», oggi così diffusa a livello religioso. Chi ci ha apostrofati come «quelli di Taizé» si riferiva infatti a ragazzi di posti diversi, senza tesserini, senza gerarchie o ritualità omologate, impegnati in percorsi diversi, spesso in Chiese diverse…
Giovani che raccontano e mettono in vita una Chiesa aperta, plurale, semplice, più credibile e fortemente legata al Vangelo, allo stare insieme «nel mondo», centrati sullo slancio alla fiducia, alla solidarietà, alla speranza, quei concetti universali che si possono concretizzare senza arroccarsi su altre inutili divisioni.
«Si passa da Taizé come si passa da una sorgente», diceva Giovanni Paolo II. Poi si prosegue. Con l’impegno a realizzare ognuno nel proprio luogo di vita gli stessi valori – e lo stesso senso critico costruttivo – che aprano a una Chiesa nuova, a un’umanità riconciliata.
Giacomo D’Alessandro, studente, 22 anni, Genova