Quello che conta è Dio, non l’istituzione ecclesiastica
Riflessioni di Gilles Castelnau* pubblicate sul sito Protestants dans la Ville (Francia) il 18 aprile 2019, liberamente tradotte da Giacomo Tessaro
Per amore della verità e per fedeltà al messaggio evangelico, e rifiutando ogni sistema autoritario, noi affermiamo: […] Il valore relativo delle istituzioni ecclesiastiche […] (Dalle Cinque Affermazioni della rivista Évangile et Liberté).
Quello che conta è Dio
A mio avviso ciò che ha valore non è il fatto di appartenere a una determinata istituzione ecclesiastica, a una Chiesa in particolare, garante della verità. La cosa importante è Dio, lo Slancio vitale interiore, creatore e pacificatore che ci dona forza e coraggio, fiducia e spirito di fraternità per partecipare alla vita dell’universo in modo positivo, assieme al nostro prossimo. Sono le parole e le azioni di Gesù Cristo, soprattutto, a farci prendere coscienza di questa presenza benevola, a patto di volerci aprire ad essa. Questa presenza ci indica una direzione, dona al nostro spirito l’impulso di vincere le nostre mancanze e difetti, e persino la morte stessa. È un soffio divino che ci rende umani, come tutti gli uomini e le donne di buona volontà.
Non mi piace che Dio venga fissato in un vocabolario bell’e fatto, che Gesù Cristo venga cristallizzato in dottrine immutabili. Alcuni dicono di non volerne sapere delle religioni organizzate, ma non mi scandalizzo, perché Dio non pretende da noi che aderiamo a confessioni di fede ufficiali, né che lo aduliamo ripetendogli quanto sia immenso, né che lo supplichiamo di avere pietà di noi. Gesù non era certamente un maharaja coperto di gloria, potentissimo, che esigeva genuflessioni e preghiere. Ciò che conta non è la sottomissione a quello che dicono le istituzioni, bensì essere aperti al dinamismo creatore e allo spirito di fraternità, due realtà che Dio rinnova ogni istante in noi.
Istituzione ecclesiastica? Certo che sì
È naturale organizzarsi in istituzioni ecclesiastiche tra colleghi, comunità locali, regioni, e infine a livello nazionale, per riflettere in comune, per essere una Chiesa ordinata, per capire insieme la direzione nella quale crediamo che Dio ci faccia camminare a un medesimo ritmo. A questo scopo abbiamo dei consigli di chiesa per la vita delle comunità, dei sinodi regionali e nazionali per far salire le idee dalla base verso l’alto. Già da lungo tempo, per esempio, abbiamo deciso di avere come pastori delle donne, e ci siamo appena messi d’accordo sulla possibilità di benedire i matrimoni omosessuali. Inoltre, condividiamo in modo fraterno le nostre finanze. È una buona cosa. Diciamo sempre “la Chiesa siamo noi”, non “lei, la Chiesa”; non sono i presidenti che dicono “io decreto che”, ma è il consiglio che dice “noi”. Si tratta ovviamente di una “istituzione ecclesiastica”, piacevole e fraterna, in cui ci si sostiene e incoraggia e nessuno è sottomesso, né costretto a nulla.
Un pastore simpaticissimo e molto dinamico esclamò una volta durante una riunione: “Quello che sto dicendo è senza dubbio eretico, forse non dovrei proclamarlo in pubblico, perché altrimenti verrei espulso dalla Chiesa!”. Ma il presidente del consiglio nazionale gli rispose: “Ma no, caro collega, al contrario! L’Evangelo viene spesso annunciato da una parola estrema come la tua. La Chiesa non vive se non di entusiasmo e di creatività, come ci proponi tu!”. Gesù non ci propone un insegnamento ufficiale e conformista ma uno spirito di rinnovamento, di resurrezione interiore, di gioia e libertà di pensiero.
Istituzione ecclesiastica, ma…
In un liceo, durante la ricreazione, una ragazza angosciata per il compito in classe di geografia dell’indomani diceva di invocare Vishnu. Una delle sue compagne le disse che “se non confessava la divinità di Cristo e non deponeva i suoi peccati ai piedi della Croce” la sua salvezza eterna era a rischio! Noi non le avremmo di certo detto quello, e non pensiamo che avesse torto a pregare Vishnu. Alcuni dicono che bisogna “credere” all’infallibilità del Papa, all’efficacia automatica dei sacramenti, all’Immacolata Concezione e al’Assunzione della Vergine. Qualcuno dice anche che bisogna rifiutare il divorzio, l’omosessualità, il matrimonio omosessuale, l’aborto, il controllo delle nascite, la procreazione assistita… Sono tutte regole rispettabili, ma non vogliamo accettarle acriticamente. Le guide spirituali certo ci aiutano, ma non hanno la scienza infusa, i professori di teologia sono interessanti ma non hanno il monopolio della verità. Non permettiamo alle tradizioni e alle decisioni autoritarie di trattarci come bambini, ciascuno è responsabile delle proprie opinioni di fronte a se stesso, agli altri e a Dio, è questa è una cosa buona.
Alla fine, quello che conta è Dio
Noi non vogliamo dire tutto e il contrario di tutto, non ci lasciamo assolutamente trasportare dai nostri sentimenti e dalle nostre emozioni. Noi pensiamo che le promesse di Dio, la sua volontà per la vita, nostra e del mondo, siano riassunte nelle parole e nelle azioni di Gesù Cristo, esse stesse una sintesi di ciò che hanno detto e fatto i profeti d’Israele, e poi gli apostoli del Nuovo Testamento: “Io sono la via, la verità e la vita”. Questo non significa però che le istituzioni che si rifanno a lui siano le uniche vere.
– La via di Gesù non è tracciata da dottrine e riti: è un movimento ispirato da Dio, diretto dalla sua creatività e dalla convinzione della “grazia” benigna, concessa agli uomini e alle donne senza discriminazioni.
– La verità di Gesù è quella dell’apertura al “Regno” di Dio, non certo quella dell’obbedienza alle regole stringenti dei farisei (rispetto dello shabbat, riti di purificazione, perdono limitato alla sola festività dello Yom Kippur), né quella dell’adesione ai dogmi dei concilî del IV secolo.
– La vita rivelata da Gesù ha a che fare con quell’energia interiore che dice “àlzati e cammina”, che ci guarisce lo spirito, che ci fa vivere e pensare nella modalità della resurrezione interiore.
Noi protestanti liberali non permetteremo ad alcuna istituzione di costruire un muro ecclesiastico, alto fino al cielo, che ci separi dagli altri uomini e donne. Per quanto è possibile, noi stabiliremo con tutti un dialogo gioioso e sorridente su quella vita profonda che sentiamo in noi e viviamo nella preghiera, nella fedeltà, nell’amore per il prossimo, nella pace interiore, nell’universalità di Dio. Condivideremo con loro, se lo vorranno, i problemi più gravi: la guerra, la violenza, la povertà, la protezione della natura, le ingiustizie, le violazioni dei diritti dell’uomo. Incontrandoci, approfondiremo le nostre rispettive spiritualità e, se lo vorremo, le nostre tradizioni religiose. Ci guarderemo bene da quell’atteggiamento esclusivista che dice: la nostra via è l’unica che conduce in cima alla montagna, da cui si può contemplare il vasto universo. Non prenderemo in considerazione quell’inclusivismo che non butta via nulla, secondo il quale tutte le altre vie conducono alla stessa nostra cima. Praticheremo quel pluralismo che contempla molte diverse vie, le quali conducono a varie cime, dalle quali si ammira il medesimo universo, ma non senza domandarci se si tratta davvero del medesimo universo!
Ameremo il Dio universale di cui parla Gesù Cristo, e per amore della verità e per fedeltà al messaggio evangelico, e rifiutando ogni sistema autoritario, riconosceremo un valore relativo alle istituzioni ecclesiastiche.
* Gilles Castelnau è stato pastore riformato ad Amsterdam e nella regione parigina. Si interessa da sempre alla presenza dell’Evangelo ai margini della Chiesa, come le cappellanie militari, carcerarie, universitarie e la Croce Blu. Da 17 anni anima il sito Internet Protestants dans la Ville.