Questione di cuore. La voglia di ‘normalità’ che seduce tanti gay
Lettera inviata da Giovanni (Napoli) a Natalia Aspesi* tratta da Il Venerdì di Repubblica, 2 luglio 2010, p.125
Spesso gli omosessuali le scrivono di rifuggire dal cosiddetto ambiente gay. Ma di cosa parliamo?
Se dell’eccessiva effeminatezza, siamo tutti d’accordo nel dire che la maggioranza degli omosessuali non solo la aborre, ma la considera responsabile del disprezzo culturale che chi non è gay ci riversa addosso.
O forse parliamo di quel ragionarsi addosso attorno ad un’aspettativa sentimentale che ignora completamente le difficoltà che nascono dall’andare controcorrente?
Qui il discorso si complica, perché nessuno può negare che si tratta di un percorso di sofferenza e solitudine che questa piega dell’anima comporta e che può essere compreso solo da chi lo vive, e lo scrivo non per rassegnazione ma come consapevolezza.
Conosco persone che affrontano il mare sapendo che prima o poi si imbatteranno in una tempesta: e quando succede, non strilleranno perché se lo aspettavano. È solo che l’amore per il mare è più forte di loro.
Così la consapevolezza produce forza, perché un uomo che ama un altro uomo resta un uomo, a dispetto di parrucche, tacchi e gridolini, che farebbero anche ridere se non fossero così tristemente penosi.
Giovanni (Napoli)
La risposta….
Mi pare che l’effeminatezza la si ritrovi ormai soltanto nelle macchiette televisive o nei film più biechi: io non conosco omosessuali che abbiano atteggiamenti e gesti diversi da quelli dell’essere uomo.
Può darsi che in passato certe esagerazioni caricaturali fossero comunque un modo per affermare se stessi, per costringere gli altri a prendere atto di una condizione allora marginale e incompresa.
Eppure se si legge quel bel romanzo di Edmund White che si intitola Hotel de dream, che si svolge nel 1900, si capisce come in passato un uomo che si innamorava di un uomo non si sentiva diverso né si comportava in modo diverso dagli altri uomini.
Certo, quel percorso di sofferenza e solitudine di cui lei parla è molto personale, ma ognuno ha il suo, legato ad altre ragioni che non siano la scelta sessuale.
Senza voler giudicare, proprio perché accettarsi vuole dire ancora oggi andare controcorrente, non capisco sino in fondo il desiderio di sposarsi (non di ottenere un riconoscimento civile come coppia) di ricreare una «normalità» costrittiva da cui tante persone rifuggono, e rifuggono sempre di più, dati i non pochi esiti pessimi che anche questa rubrica testimonia.
* La giornalista Natalia Aspesi conduce da anni, su Il Venerdì di Repubblica, la rubrica ‘Questioni di cuore”.