Qui non facciamo nulla di gay. Quando una parrocchia cattolica si fa comunità che accoglie
Articolo di Thomas C. Fox* pubblicato sul sito del settimanale cattolico National Catholic Reporter (Usa) il 10 marzo 2015, liberamente tradotto da Marius
Che cosa significa essere identificati come una parrocchia cattolica prevalentemente “gay”? A quanto pare, è una spada a doppio taglio. Il Santissimo Redentore (di San Francisco negli Stati Uniti) attira lesbiche e gay cattolici che ne aumentano il numero di fedeli. Eppure, ad alcuni parrocchiani non piace questa reputazione gay. Dicono che li confina in uno stereotipo. Sembra che l’identità di genere sia un problema molto più grande fuori della parrocchia, che al suo interno.
“Noi non ci consideriamo una comunità gay, ma piuttosto una comunità aperta ai gay”, ha precisato Bob Barcewski. “Non c’è nulla in questa chiesa – nessuna funzione – che sia gay. Qui non facciamo niente di gay. Accettiamo e siamo consapevoli che le persone si sentono bene se sono ciò che sono, e questo rende speciale questo luogo. Bisogna ricordare che questo è stato uno dei pochi posti in assoluto, in cui le persone che si prendevano una misteriosa malattia e morivano come mosche, si esponevano e reagivano”.
Il parrocchiano Dennis Callahan esprime un disagio simile: “Ogni volta che il Vaticano o alcuni vescovi fanno una dichiarazione sui gay, ci ritroviamo quattro o cinque camion della tv all’esterno. Ciò che colpisce è che qui non si parla di orientamento sessuale. E’ vero che si fanno battute, che si scherza e si raccontano barzellette gay e etero. Ma non si identifica mai il genere con la persona”.
“Quando si capisce che alla parrocchia del SS Redentore l’orientamento sessuale non è importante per nessuno, chiunque si sente accettato”, ha aggiunto Callahan. “Etero, gay, nessuno chiede se siete stati al bar la sera prima o se volete andare a bere qualcosa. Si è tra amici. Non ci sono barriere”.
Il gesuita Donal Godfrey, apertamente gay, frequenta la parrocchia e ha scritto in merito. Egli sostiene che per gli anziani omosessuali la sessualità era il concetto fondamentale. Per i giovani gay cattolici, è meno di un’identità, meno di un problema. Eppure molti ancora lottano con essa, ha aggiunto. Condividere l’esperienza omosessuale, inclusa la sofferenza che deriva dal senso di rifiuto e di esclusione, costruisce legami di comprensione e di empatia fra i parrocchiani. Callahan ha parlato della “trasparenza” che egli riscontra al SS Redentore. Secondo lui questa trasparenza è dovuta al fatto che tutti comprendono che coloro che arrivano sono stati feriti personalmente, prima o poi, e comprendono meglio il dolore e la fragilità. Condividere queste esperienze, ha detto, consente rapporti umani profondi.
“Conosco ben poche chiese in cui ci si senta così a proprio agio nel riferire un proprio problema apertamente agli altri parrocchiani e ai pastori – inclusi i nostri pastori attuali”, ha detto Callahan. “Una cosa è parlare nel confessionale con un sacerdote, quando tu non si sa chi sia lui e lui non sa chi sia tu, ma la cosa meravigliosa del SS Redentore è che non ci pensi due volte a metterti a parlare con uno dei nostri due pastori e dire e chiedere qualsiasi cosa. Questo è diverso. Questo è veramente diverso dalle altre chiese in cui sono stato”. Padre Jack McClure, pastore del Preziosissimo Sangue, vede i suoi parrocchiani come cattolici convinti: “La gente sceglie di essere qui. Questo fa la differenza.”
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Crescere i figli
Parlate con quasi tutti i parrocchiani e questi volentieri – e con orgoglio – vi diranno quello che secondo loro rende unica la loro parrocchia. Nick Andrade, parrocchiano da quasi due decenni, vive con suo marito. Questi due uomini, come le altre coppie gay, hanno adottato e cresciuto i bambini in parrocchia. “Se vedete la nostra chiesa affollata alla domenica, dovete pensare che al 90% delle persone qui dentro è stato detto dalla loro chiesa, in un modo o nell’altro, che erano sgradite”. Andrade pensa che la sofferenza del rifiuto e la percezione della sofferenza possano rendere la gente più empatica al dolore altrui.
Alla fine degli anni ’90, Andrade partecipò a una campagna per la raccolta di 2,8 milioni dollari destinati al restauro della chiesa e delle altre strutture parrocchiali, al fine di adeguare la chiesa alle rigide norme antisismiche. Andrade, uno dei tanti parrocchiani impegnati a livello arcidiocesano, è membro da 12 anni del consiglio delle opere cattoliche di carità (Catholic Charities) e fa parte della direzione di due scuole.
Anni fa, quando la figlia passò un periodo difficile, lui e il suo compagno decisero di adottare i suoi due bambini, di cui uno malato di leucemia. Se ne occupano ormai da 11 anni. Al SS Redentore è normale che le coppie gay o lesbiche crescano o adottino dei bambini, anche se la chiesa istituzionale condanna ufficialmente questa pratica. In diversi Stati, tra cui la California, i programmi delle opere cattoliche di carità – che ricevono tutti ingenti fondi pubblici – hanno scelto di escludere completamente le adozioni per mantenere i finanziamenti e si sono rifiutate di sistemare i bambini presso le coppie gay, fatto che le autorità civili vedono come una pratica discriminatoria.
“Una delle cose che mi offende personalmente di più da parte dei vertici della Chiesa “, ha detto Andrade, “è che affermano che le persone gay sono moralmente incapaci di adottare e crescere dei figli. Ho avuto vescovi e arcivescovi a tavola, seduti insieme ai miei nipoti, e loro mi hanno visto crescerli. Poi questi stessi uomini mi girano le spalle e mi dicono che sono moralmente inadatto. Non hanno proprio le idee chiare”.
I gruppi a favore dei diritti dei gay sottolineano ripetutamente che nessuna legittima ricerca ha dimostrato che le coppie dello stesso sesso siano più o meno dannose per i bambini rispetto alle coppie eterosessuali.
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* Questo è il secondo di una serie in cinque articoli sulla Chiesa cattolica del Santissimo Redentore (Most Holy Redeemer Church) di San Francisco (USA). Pubblicheremo una parte di questa storia. Qui trovate tutti gli articoli.
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Testo originale: There’s nothing gay about what we do here