Raccontare l’omocausto: gli uomini col triangolo rosa
Articolo di Jason Dawsey* pubblicato sul sito del Museo Nazionale della Seconda Guerra Mondiale di New Orleans (Stati Uniti) il 30 giugno 2020, liberamente tradotto da Vanessa Guadagnini
In dodici anni di dominio la dittatura nazista sorvegliò, perseguitò e infine assassinò migliaia di uomini gay. Il regime di Adolf Hitler distrusse tutti i precedenti tentativi fatti in Germania di depenalizzare i rapporti sessuali tra persone dello stesso sesso, di sfidare i pregiudizi sull’omosessualità e di creare luoghi di ritrovo dove gli uomini gay potessero vivere e socializzare apertamente.
Sterilizzazione, castrazione, detenzione e deportazione nei campi di concentramento erano alcuni dei metodi impiegati. Ernst Röhm, il capo delle SA, le squadre d’assalto del Partito Nazionalsocialista, era manifestamente gay; quando Röhm divenne troppo scomodo, Hitler non fu più disposto a tollerarlo.
All’assassinio di Röhm nella Notte dei Lunghi Coltelli nell’estate del 1934, seguì l’anno successivo un’espansione del Paragrafo 175, la sezione del codice penale tedesco che trattava dei rapporti sessuali tra uomini. In un discorso del febbraio del 1937 in Baviera, il Reichsführer delle SS, Heinrich Himmler, definì l’omosessualità una “depravazione” e una “piaga”. 100.000 uomini tedeschi e austriaci furono quindi arrestati con l’accusa di omosessualità. Durante la Seconda Guerra Mondiale, circa 10.000 di loro morirono, per lo più nei campi di concentramento.
Nonostante il Terzo Reich sia stato uno dei regimi omofobici più crudeli della storia moderna, bisognerà aspettare l’inizio degli anni Settanta, sia nella Germania Ovest che in quella orientale, per avere resoconti di prima mano della violenza nazista nei confronti degli uomini gay.
Questo non significa che nessuno avesse trattato l’argomento prima di allora. Già nel 1946 Eugen Kogon, giornalista cattolico tedesco e progressista sopravvissuto a Buchenwald, aveva descritto le condizioni degli uomini gay nei campi di sterminio: “Il destino degli omosessuali nei campi di concentramento era spaventoso. Venivano spesso segregati in baracche speciali e divisi in gruppi di lavoro. Questo isolamento permetteva a individui senza scrupoli, in posizioni di potere, di praticare estorsioni o maltrattamenti”.
Quello stesso anno, nella zona di occupazione sovietica (quella che poi sarebbe diventata la Repubblica Democratica Tedesca), Rudolf Klimmer si appellò all’Organizzazione dei Perseguitati dal Regime Nazista per ottenere il riconoscimento degli uomini gay come vittime del terrore nazionalsocialista. Cercò anche un risarcimento da parte del governo della Germania Est. In entrambi i casi Klimmer non ebbe alcun successo. Tuttavia, in uno dei pochissimi segnali di adesione ai vecchi ideali marxisti di uguaglianza, la Germania Est negli anni Cinquanta decise di abrogare le aggiunte al Paragrafo 175 introdotte dai nazisti.
Secondo Erik Jensen, gay e lesbiche “non solo videro che nel dopoguerra la persecuzione nazista degli omosessuali veniva fatta passare sotto silenzio, ma dovettero anche affrontare il pernicioso mito che gli stessi omosessuali fossero stati l’ossatura del movimento nazista”. Sia il silenzio che il mito durarono a lungo. Il tentativo fatto dalla Società per il i Diritti Umani, con sede ad Amburgo, di ottenere il riconoscimento nella Germania Ovest dei prigionieri gay dei campi di concentramento subì la stessa sorte di quello di Klimmer.
Alla fine degli anni Sessanta e inizio degli anni Settanta del Novecento gli appelli alla liberazione di gay e lesbiche nelle democrazie capitaliste crearono le condizioni necessarie per far venire alla luce la storia della loro oppressione durante il Terzo Reich. Nella Germania Ovest furono pubblicate le opere pionieristiche di Wolfgang Harthauser e Harry Wilde, rispettivamente nel 1967 e 1969. La riforma parziale del Paragrafo 175 del 1969, che depenalizzò i rapporti sessuali tra uomini oltre i ventun anni, dimostrò che un cambiamento istituzionale era possibile.
Due anni dopo uscì il film Nicht der Homosexuelle ist pervers, sondern die Situation, in der er lebt (Non è l’omosessuale ad essere perverso, ma la situazione in cui vive) del regista Rosa von Praunheim. Praunheim (pseudonimo di Holger Radke, nato nel 1942) aveva adottato il nome “Rosa” (il colore rosa in tedesco) per attirare l’attenzione sul triangolo rosa, il segno identificativo assegnato dalle SS agli omosessuali nei campi di concentramento. Il film ebbe un enorme impatto sulla vita culturale della Germania Ovest.
L’anno seguente una casa editrice di Amburgo pubblicò Die Männer mit dem rosa Winkel (Gli uomini con il triangolo rosa). La traduzione inglese di David Fernbach, noto per le sue traduzioni di Karl Marx, uscì nel 1980. È un’opera rivoluzionaria, e ancora oggi uno dei pochissimi esempi di memorie redatte da una vittima gay del nazismo.
Scritto da Heinz Heger, pseudonimo utilizzato da Josef Kohout (1917-1994), Gli uomini con il triangolo rosa racconta cinque spaventosi anni di prigionia nei campi di concentramento. Il libro non solo documenta i crimini nazisti contro gli uomini gay, ma mette anche sotto accusa le discriminazioni che continuarono dopo la sconfitta del Terzo Reich.
Kohout crebbe in una famiglia cattolica in Austria. Dopo l’annessione del Paese alla Germania nazista nel marzo del 1938, Kohout si legò a “Fred”, il figlio di un membro del Partito nazista. La Gestapo lo arrestò nel marzo del 1939. Una foto che Kohout aveva dato a “Fred” il Natale precedente, con la dedica “Al mio amico Fred, con eterno amore e il più profondo affetto”, era stata scoperta e usata contro di lui. Fu condannato a una pena di sei mesi di carcere a Vienna. A “Fred”, probabilmente grazie all’aiuto del padre, non fu inflitta alcuna pena.
Scontata la sua pena, Kohout non fu rilasciato, e nel gennaio del 1940 ricevette una notizia devastante: la Gestapo aveva deciso di deportarlo nel campo di concentramento di Sachsenhausen, a nord di Berlino. Kohout non rivide mai più il padre, che disperato per la sorte del figlio, si suicidò nel 1942, “colmo di amarezza e di dolore”, ricorda Kohout, “per un’epoca alla quale non poteva adattarsi, colmo di delusione per tutti quegli amici che non potevano o non volevano aiutarlo”.
Sul treno diretto a Sachsenhausen due criminali lo assalirono sessualmente. Kohout prosegue con il racconto descrivendo il brutale regime di lavori forzati e violenze sistematiche a cui lui e gli altri uomini gay, obbligati a portare il triangolo rosa, erano sottoposti. Dopo aver trascorso un anno a Sachsenhausen, le SS lo trasferirono nel campo di concentramento di Flossenbürg, in Baviera.
Kohout rimase a Flossenbürg fino a quando, a guerra quasi conclusa, le SS fecero marciare lui e altri prigionieri verso Dachau. I soldati americani li liberarono nell’aprile del 1945, prima che potessero raggiungere Dachau.
Non c’è modo migliore per comprendere gli orrori vissuti da Josef Kohout a Sachsenhausen e Flossenbürg se non leggere le sue stesse parole. Gli uomini con il triangolo rosa sorprenderà perfino coloro che hanno letto le memorie di sopravvissuti all’Olocausto. Kohout scrive dei tentativi da parte delle SS di “guarire” i prigionieri dall’omosessualità con “visite obbligatorie al bordello” di Flossenbürg, “che avvenivano regolarmente”. Narra episodi di tortura e assassinio di prigionieri gay. Riporta la truce esecuzione di massa di soldati sovietici. Scrive chiaramente anche delle reti di protezione e delle relazioni sessuali tra uomini nei campi di concentramento, che mettono alla prova i limiti di quello che può essere reputato consensuale.
Le memorie di Kohout contribuirono enormemente alla successiva ondata di libri, articoli, documentari e mostre sulla persecuzione e assassinio nazista degli uomini gay. Per molto tempo dimenticata, questa storia è oggi più importante che mai, in Germania e non solo, poiché l’omofobia continua a rappresentare una grande minaccia alla libertà umana e all’uguaglianza. Leggete Gli uomini con il triangolo rosa tenendo a mente questa frase di Kohout: “Che cosa dobbiamo pensare del mondo in cui viviamo, se a un uomo adulto viene imposto come e chi amare?”.
* Jason Dawsey è storico e ricercatore per l’Institute for the Study of War and Democracy (Istituto per lo studio della guerra e della democrazia), dove si occupa dello stato di servizio dei veterani della Seconda Guerra Mondiale scrivendo anche le loro biografie a beneficio dei loro famigliari.
Testo originale: Recounting Terror and Sexual Violence: Josef Kohout’s The Men With the Pink Triangle