Rara e il nuovo millennio del cinema LGBT+ spagnolo
Scheda di Luciano Ragusa con cui è stato presentato al Guado di Milano il film “Rara. Una strana famiglia” di Pepa San Martín il 14 novembre 2021
Si conclude con questa scheda il percorso, non certo esaustivo, dentro il cinema LGBT spagnolo, con particolare riferimento alle pellicole prodotte e distribuite nell’ultimo decennio.
Prima di procedere con l’itinerario bisogna sottolineare che il 3 luglio 2005, il parlamento iberico, approva la legge che consente il matrimonio e i diritti che ne derivano alle persone dello stesso sesso, cambiando nel profondo la morfologia della società spagnola, e, di conseguenza, la rappresentazione che attraverso il cinema se ne può dare.
Semplificando parecchio, possiamo suggerire che il grande schermo ci ha aiutato, in primo luogo, ad affermare le nostre identità nelle sue molteplici sfumature (anni 80’). Poi a normalizzarle (anni 90’), dopodiché a canalizzare le energie verso i diritti civili, fino a quando, in Spagna nel 2005, si è concluso il processo socio-politico.
Dunque, i lungometraggi di questa decade, mancano del carattere protestatorio espresso, più o meno consciamente, dalle generazioni precedenti di film. E si concentrano su narrazioni, tranne quelle di carattere storico che indagano precisi momenti, dove lo sviluppo verso l’omoaffettività, l’omogenitorialità, e anche il divorzio, sono realtà interiorizzate. Tutto ciò a vantaggio di sceneggiatori e registi, che possono ampliare a dismisura lo spettro dei soggetti da raccontare.
Julio Medem, Jan Garaño, Marçal Forés e Mekel Rueda
Room in Rome, pellicola del 2010 di Julio Medem (1958), può fregiarsi di una certa eco internazionale, malgrado sia viziata da alcuni stereotipi che riguardano l’italianità. Due ragazze statuarie, una spagnola, l’altra russa, si incrociano in un albergo romano, dando vita ad una notte di passione senza limiti, che sicuramente non scorderanno per il resto della vita.
Nello stesso anno, viene distribuito 80 giorni, di Jan Garaño (1974), storia d’amore tra due donne anziane che si sono perse di vista dopo l’adolescenza, ma che il tempo trascorso, per nulla ha sopito l’antica complicità.
Il 2014 vede l’uscita de Amor eterno, di Marçal Forés (1981), un film la cui trama è annoverabile al genere “thriller gay”: Carlos è un insegnante di mezza età che nel tempo libero ama guardare coppie che fanno sesso in un bosco fuori Barcellona. Un giorno, incontra un suo studente, Toni, con il quale ha un rapporto sessuale, che lascia nella testa dei protagonisti conseguenze diverse.
Mentre Toni s’innamora, Carlos mette in chiaro l’unicità di quella circostanza. Ciò che il professore ignora è che il ragazzo fa parte di una gang di assassini, più volte finiti sulle pagine di cronaca nera per degli omicidi irrisolti. Toni, per vendicare il rifiuto, propone agli “amici” una lezione coi fiocchi: riadescato l’insegnante, i malviventi lo convincono a fare sesso di gruppo nella sua casa, con un epilogo che vi lascio immaginare.
Sempre nel 2014 esce A escondidas, di Mikel Rueda (1980), intricatissimo soggetto che vede protagonisti due quattordicenni, Rafa, spagnolo, e Ibrahim, marocchino. La storia è giocata sull’impossibilità che i ragazzini possano stare insieme, ma non in quanto legati da un affetto omoerotico, ma perché la vita di un immigrato ruota sempre attorno ai permessi necessari per stare dove sta.
Sonia Sebastian, Joan Termí Martí, Carlos Marqués-Marcet e Isabelle Coixet
In tono ironico è girato De chica en chica, 2015, di Sonia Sebastian (1974), che indaga il difficile equilibrio delle famiglie allargate moderne, nelle quali si mischiano passati etero a presenti gay o viceversa, e di quanta capacità d’ascolto sia necessario possedere per non frantumare tutto.
L’anno successivo è la volta di Risveglio selvaggio, di Joan Termí Martí, classico film dove gli uomini, ben torniti e aitanti, sono costantemente senza maglietta. Del resto, la vicenda si svolge in un ranch spagnolo, con cavalli, buoi, e tutto il resto, con un protagonista che oltre ad avere avventure continue trova il tempo di instaurare una relazione con il vicino, il cui padre è omofobo alla nona potenza. Nel frattempo, torna anche la sua vecchia fiamma, alquanto decisa a riconquistare il suo ex, e immancabilmente a petto nudo!
Carlos Marqués-Marcet (1983), editore, regista, sceneggiatore, ci consegna nel 2017 Tierra firma, commedia romantica dove una coppia al femminile con uno stile di vita bohémien, entra in crisi per via di una gravidanza non sognata da entrambe, ma, grazie all’amore, e all’amicizia di un amico, troverà spazio una nuova epifania.
Ultimo suggerimento riguarda Isabel Coixet (1960), regista e sceneggiatrice di Barcellona nota per La mia vita senza me (2003, film vincitore di due premi Goya), La vita segreta delle parole (2005, fuori concorso a Venezia e vincitore di quattro Goya, tra cui miglior film e regia), Lezioni d’amore (2008, tratto da un romanzo di Philip Roth, con Penelope Cruz e Ben Kingsley). Nel 2019 ci regala Elisa y Marcela, in concorso per l’Orso d’oro al 69° Festival Internazionale del Cinema di Berlino. Il film racconta la vicenda di Elisa Sánchez Loriga e Marcela Gracia Ibeas, due donne che si sono sposate nel 1901 nel primo matrimonio omosessuale della storia registrato in Spagna. Elisa, sotto falsa identità, e travestita da uomo, riesce a sposare con rito cattolico Marcela, fuggendo insieme in Argentina. La pellicola, in bianco e nero, ben evidenzia l’innamoramento delle due avvenuto in una scuola gestita da suore, e di come genitori e concittadini abbiano rubricato la loro amicizia come morbosa e da reprimere. Centoquattro anni dopo, due donne, si sposeranno in Spagna senza nessun tipo di travestimento.
La versione di Alejandro Amenábar
Nato a Santiago del Cile il 31 marzo 1972, si trasferisce in Spagna con la famiglia l’anno successivo, a seguito del golpe di Pinochet. Di madre spagnola, Madrid diventa la città dove cresce e conclude gli studi superiori, senza un seguito a livello universitario.
All’età di ventiquattro anni dirige il suo primo lungometraggio, Tesis (1996), il cui soggetto ruota attorno al fenomeno degli “snuff movie”, pellicole in cui la violenza che si vede in video è realmente messa in pratica durante la realizzazione, che fa vincere, al giovane Amenábar, sette premi Goya.
Il suo secondo film è datato 1997: se Tesis lo ha consacrato in patria come regista emergente di talento, Apri gli occhi, lo incorona a livello mondiale. Infatti, oltre ad essere campione d’incassi in Spagna, superando Titanic, la regia di Alejandro riceve una menzione d’onore a Berlino, e vince il Festival del Cinema di Tokio nel 1998 come miglior film. A tutto ciò si deve aggiungere che nel 2001, Cameron Crowe, su esortazione di Tom Cruise, ne gira una versione americana, Vanilla Sky, il cui successo è immediato, e dove Penélope Cruz ricopre lo stesso ruolo avuto nell’esecuzione nostrana.
Il lungometraggio seguente, The Others (2001), con una splendida Nicole Kidman, è il primo interamente in lingua inglese, e vince la bellezza di otto premi Goya, oltre a tanti guiderdoni in giro per il globo.
Nel 2004 si aggiudica il Gran premio della giuria a Venezia con Mare dentro, pellicola che racconta la storia vera di Ramón Sampedro, attivista per il riconoscimento legale dell’eutanasia in Spagna, interpretato da Javier Barden. L’anno successivo, Mare dentro, è Oscar al miglior film straniero, esattamente sei anni dopo la performance di Almodóvar.
Nel 2009 viene distribuito Agora, ambientato in Egitto, che vede Rachel Weisz nel ruolo di Ipazia, filosofa greca-alessandrina vittima delle persecuzioni antipagane stabilite dai Decreti teodosiani. Anche in questa circostanza, l’elenco dei premi è disarmante: sette premi Goya, un Nastro d’argento ai costumi, e il premio Lumière, assegnato dall’accademia cinematografica francese.
Infine segnalo Regression, 2015, thriller psicologico imperniato sulla psicosi del satanismo diffusasi negli Stati Uniti d’America all’inizio degli anni 90’, che si concluderà con un nulla di fatto.
Come si evince dalle trame brevemente descritte, non ci sono lungometraggi a tematica LGBT, dunque, perché un Focus su Alejandro Amenábar?
Nel 2004, poco prima della proiezione a Venezia di Mare dentro, il cineasta fa “coming out”, dichiarando il proprio orientamento sessuale durante un’intervista. Negli anni successivi si è speso per i diritti delle persone lesbiche, gay, trans, e, nel 2015, si è sposato in Spagna con David Blanco, compagno di undici anni più giovane di lui.
In conclusione, sebbene nei soggetti dei suoi film non siano ancora emerse storie dal vissuto a noi vicino, è impossibile “dribblarne” il rilievo. Anzi, è rubricabile tra i cinque registi spagnoli viventi di maggior peso artistico, con estimatori su scala globale.
Per completezza informativa, segnalo che nell’autunno del 2019 è uscito While at war, film storico sulla figura del grande filosofo spagnolo Miguel de Unamuno, il quale, dapprima sostiene il colpo di stato del luglio 1936, dopodiché, resosi conto della svolta fascista, rinnega la sua scelta.
Rara. Una strana famiglia
In concorso alla 66° edizione del Festival Internazionale del Cinema di Berlino vince il premio Miglior Film nella sezione K+ Generation, ideata per le pellicole i cui protagonisti sono adolescenti. Non passa inosservato nemmeno al nostrano Giffoni Film Festival, sebbene non riceva riconoscimenti specifici.
Diverse le onorificenze nelle competizioni cinematografiche di lingua spagnola, come per esempio il Sebastiane Latino (lungometraggio latino-americano che meglio rappresenta la difesa delle rivendicazioni lgbtq), alla 64° mostra del Cinema di San Sebastian, oppure Miglior Film e Migliore Attrice Protagonista (Giulia Lubbert) al festival portoghese Queer Lisboa.
Il soggetto è tratto da una storia realmente accaduta in Cile, nella quale, un uomo, intraprende un’azione legale nei confronti della ex moglie per ottenere la custodia dei tre figli (nel film solo due) dove l’omosessualità della donna avrà un peso significativo nel giudizio finale.
Regia e sceneggiatura si presentano asciutte, forse troppo minimaliste: del resto perfettamente aderenti ad una scelta narrativa che privilegia il punto di vista di una adolescente, nel quale si fanno strada pulsioni e necessità sconosciute il cui valore di verità si assimila nella maturità. Lo spazio entro cui tutto questo si verifica è quello dell’interiorità, dunque difficile da comunicare, soprattutto quando, per via dei quattordici anni, non si posseggono le parole per farlo.
Ma forse, la scelta stilistica, il tono che agli occhi di un europeo appare dimesso, possono essere compresi a fondo se pensiamo alla situazione cilena, nella quale, il pregiudizio sulla famiglia lgbtq trova alto indice di gradimento nazionale.
Malgrado la presenza di cineasti acclamati in tutto il mondo come Pablo Larraín e Sebastían Lelio (cfr. le schede de Il Club e Una donna fantastica sul nostro sito), i quali, tanto si spendono per abbattere ostacoli e tabù.
SCHEDA DEL FILM:
Regia: Pepa San Martín.
Sceneggiatura: Pepa San Martín, Alicia Sherson.
Fotografia: Enrique Stindt; montaggio: Soledad Salfate.
Musiche: Ingnacio Pérez Marin; costumi: Mary Ann Smith.
Casa di produzione: Manifactura De Peliculas, Le tiro Cine Argentina.
Produttore e produttore esecutivo: Macarena Lopez, Marianne Mayer Beckh, Nicolas Grosso.
Paese di produzione: Cile, Argentina.
Distribuzione in italiano: Nomad Film Distribution.
Cast: Giulia Lubbert (Sara), Emilia Ossandon (Catalina), Mariana Loyola (Paula), Agustina Muñoz (Lia), Daniel Muñoz (Victor), Sigrid Alegria (Nicole), Coca Guazzina (Icha).
Genere: drammatico, commedia; anno: 2016; durata: 90 minuti.
TRAMA:
Sara e Catalina sono due sorelle che, a seguito della separazione dei genitori, vivono e affrontano la quotidianità con la propria madre Paula. Con loro Lia, compagna di Paula, legata alle bambine da un affetto sincero alla quale le stesse si adagiano amorevolmente. Ma per Sarà l’adolescenza è alle porte, con tutte le paure, le sfide, l’incomunicabilità che questa comporta: la quale, se dosata a puntino, può distruggere qualsiasi equilibrio faticosamente raggiunto.