Ratzinger, un altro Papa “santo subito”?
Riflessioni di Massimo Battaglio
Si chiude l’era Ratzinger? Temo di no. A vedere i commenti di questi giorni, mi sa che sta succedendo il contrario. L’epoca che lo stesso papa Benedetto XVI aveva voluto chiudere con le proprie dimissioni, rischia di riaprirsi a suon di popolo. Anzi: si riapre a suon di media, che influenzano il popolo giocando sull’irrazionalità.
Credo, pur non intendendomi affatto di teologia, che la stessa definizione “papa teologo” o addirittura “grande teologo”, “maggior teologo del Novecento” se non “di tutti i tempi” sia estremamente affrettata e superficiale. Non a caso, viene usata da giornalisti che, di ricerca teologica, ne sanno meno di me (sempre che sia possibile).
Credo che ci sia una differenza lampante tra la produzione di Ratzinger, vastissima ma sempre di parte, e quella di S. Agostino, S. Tommaso, S. Teresa d’Avila. E penso di poter rilevare che lo stesso Novecento abbia giovato del contributi teologici altrettanto luminosi, come quello di Hans Küng, Leonardo Boff e tanti altri.
Temo che la grandezza di Ratzinger in campo teologico sia dovuta in gran parte alla sua elevata posizione nella gerarchia ecclesiastica, posizione che gli permetteva di rendere influente il proprio pensiero senza confrontarsi con quello altrui. E infatti, con Küng e Boff, non si confrontò mai alla parti. Li mise semplicemente a tacere.
Chi è nella posizione dell’arbitro e non in quella del perito di parte, mi pare che dovrebbe avere un altro atteggiamento. E chi è al vertice, dovrebbe lavorare per l’unità, per la sintesi tra le posizioni di tutti, anche mettendo da parte le proprie passioni personali. Vale anche per papa Francesco, per carità, ma con la differenza che Francesco non ha mai condannato nessuno per le proprie idee.
L’uso della condanna, magari non scritta ma detta a voce altissima, è invece stato uno dei tratti più significativi del pontificato di Benedetto XVI e si è dispiegato, senza soluzione di continuità, dal terreno teologico a quello pratico, pastorale. Dagli anatemi contro il “relativismo”, si è passati allo slogan dei “valori non negoziabili”. Da lì si è arrivati all’invenzione del “gender”, definito “minaccia per la pace”. E da qui si è riaperta la stura a parole di disprezzo quotidiane e atti di discriminazione anche politica contro le persone omosessuali.
Quanta omofobia, quanta sofferenza ha generato, nella pratica di tutti i giorni, quel benedetto pensiero teorico! Ed è solo un esempio, tra i mille possibili.
Forse, la Chiesa, nel 2005 più che oggi, non aveva bisogno di un Papa teologo. Forse sarebbe stato più utile un buon mediatore, anche meno intellettualmente perfetto di Ratzinger ma più capace di leggere la realtà e lasciarsene interrogare. C’era davvero bisogno di “un umile lavoratore nella vigna del Signore“. Ho invece sempre avuto la sensazione che questa bella massima, con cui Benedetto XVI si era presentato al mondo, sia rimasta nelle intenzioni.
Nella prassi, papa Benedetto ha senz’altro lavorato nella vigna ma si è limitato a tracciare solchi, a creare divisioni, innanzitutto tra i cristiani e poi tra essi e il resto del mondo.
Mi permetto, da incompetente, di condividere alcuni dubbi. Cosa vuol dire, per esempio, che la Chiesa è “custode della fede“? Che io sappia, il termine “ecclesia” indica l’assemblea dei credenti. Nel nostro caso, è la famiglia dei credenti in Cristo. La fede è un fenomeno più ampio, che interpella tutti gli uomini “amati dal Signore” e quindi nessuno escluso. Si potrebbe dire addirittura che tutto il creato concorre a custodire la fede.
Leggiucchiando (perché non so far di meglio) gli scritti di Ratzinger, ho invece sempre avuto l’impressione che volesse discriminare tra una fede esatta – quella avallata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, appunto – e tante fedi imperfette o sbagliate – quelle che non si conformano o che nascono altrove.
Sicuramente sbaglio perché, ripeto, non me ne intendo. Ma il proliferare di espressioni come queste arriva anche a me, ultimo degli incompetenti. E, invece di rischiarare i miei dubbi e colmare la mia ignoranza, finisce per alimentare gli uni e l’altra.
Ma poi, perché questo accanimento nel contrapporre fede e scienza, ripetuto fino al testamento spirituale appena pubblicato?
Che io sappia, entrambe sono annoverate tra le virtù. La prima è una delle tre virtù “teologali”, che sono appunto fede, speranza e carità. L’altra sembrerebbe avere un’importanza minore, collocandosi tra le virtù cardinali, ovvero al pari con la giustizia, la fortezza e la temperanza. Ma quando San Paolo, nel suo stupendo inno all’amore (o forse bisogna dire: “Inno alla Carità”?), riassume tutte le virtù, dice chiaro chiaro che la fede non è la più grande di tutte. Il primato va alla Carità, mentre la fede se ne sta al calduccio proprio vicino alla scienza:
“Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza, e possedessi la pienezza della fede così da trasportare le montagne, ma non avessi la carità, non sono nulla” (Cor 13, 1-2).
E ancora:
“Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità! (Cor 13, 13)
Sì, è vero che a un certo punto dello stesso inno si dice che “la scienza svanirà” mentre non si dice che fine farà la fede. Ma resta il fatto che c’è qualcosa di più importante, forse perché riguarda tutti gli uomini senza distinzione di sesso, razza, orientamento politico e religione. Chissà.
Io che sono un cattolico di tutti i giorni, che non riesce a non commuoversi ogni volta che risente queste parole, a leggere Ratzinger, vado in confusione. Viene prima l’ex Papa o viene prima San Paolo? E che fine ha fatto la carità?
Per otto anni, sentendomi attaccato da tutte le parti e chiamato ogni giorno a giustificare il mio rimanere cattolico nonostante tutto (perché, si sappia, io e tanti miei amici, la fede, l’abbiamo comunque conservata, a modo nostro), ho spesso avuto la tentazione di scrivere al Papa per chiedergli: che fine ha fatto la carità?