“Religione e diversità”: l’omosessualità nel dialogo interreligioso
Articolo di Graziella Merlatti pubblicato su Adista Notizie n° 3 del 26/01/2019, pag.9
Un volto inedito e liberante delle religioni del libro è quello apparso a Genova il 13 gennaio scorso, nella prestigiosa Sala del Munizioniere di Palazzo Ducale gremita. L’evento in programma era “Religione e diversità: l’omosessualità nel dialogo interreligioso”, promosso da Arcigay Genova, Progetto Algebar e Chiesa Valdese di Genova, dedicato al dialogo tra omosessualità e fede, in occasione della Giornata per il Dialogo tra omosessualità e religioni. È così emerso un volto nascosto dell’islam – ma anche dell’ebraismo e delle chiese cristiane – sconosciuto ai più, fatto di persone che credono nel cambiamento e nel dialogo.
Introdotti e moderati da Daniele Ferrari dell’Università di Siena, sono intervenuti don Giacomo Martino, parroco di S. Tommaso Apostolo, direttore della Migrantes e cappellano del carcere di Genova/Pontedecimo, Haim Fabrizio Cipriani, rabbino presso le comunità ebraiche di Marsiglia e Montpellier e fondatore del gruppo Etz Haim, Ludovic-Mohamed Zahed, imam di Marsiglia e William Jourdan, pastore della Chiesa valdese di Genova.
Don Giacomo Martino ha chiesto, «a nome della Chiesa cattolica, perdono per tutte le parole che hanno ferito, condannato persone per la loro diversità o fatto soffrire chiudendo la porta ad un dialogo rispettoso dei punti di vista di tutti». Rav Haim Cipriani è intervenuto attraverso un video. Si è soffermato sul termine biblico tradotto, impropriamente, come “abominio”.
Più esattamente, invece, la Bibbia utilizza un termine che può essere tradotto con la parola “inappropriato”, ossia non accettato socialmente. Usata ad esempio nel racconto di Giuseppe in Egitto, durante il quale si dice che gli ebrei non mangiavano con gli stranieri perché lo ritenevano “inappropriato”. E questo atteggiamento non era solo degli ebrei. Sono stati poi i cristiani – ha sottolineato – a porre il problema di Sodoma e Gomorra. Ma nella tradizione biblica il termine rappresentava solo «l’ignoranza del popolo che non voleva gli stranieri, non era questione di omosessualità. Oggi si tratta di un fenomeno diverso. E non è una scelta, ma una variante della sessualità presente in tutte le culture».
Ludovic-Mohamed Zahed, algerino, nel 2012 ha fondato a Parigi la prima moschea inclusiva d’Europa. Egli opera per una lettura inclusiva e misericordiosa della tradizione musulmana. Attualmente a Marsiglia guida una moschea LGBT e celebra matrimoni islamici tra coppie omosessuali. Anima un centro per lo studio all’interno dell’islam, che aiuta a superare i nazionalismi. «Donne che non amano un uomo, un uomo che non desidera una donna sono persone che fanno parte della tradizione islamica, non ci sono cose vietate tra persone se c’è consenso », ha detto. Se ciò non caratterizza ancora il senso comune all’interno dell’islam è perché c’è una differenza epistemologica tra la Sharia e il messaggio degli islamisti. È possibile per tutti un cammino mistico che porta verso Dio.
Occorre, ha detto Zahed, discutere e contestualizzare tra le generazioni la diversità dei generi e della sessualità. Secondo la tradizione, il Profeta accoglieva persone omosessuali, e oggi diremmo transessuali, e le proteggeva da quelli che li volevano uccidere. Zahed ha poi spiegato che moschee inclusive stanno nascendo ovunque nel mondo, anche guidate da persone omosessuali o transgender.
In Malesia una donna femminista ha fondato una moschea e un centro coranico inclusivo. È un fatto culturale che si va espandendo non solo nell’islam europeo, con esempi da Marsiglia a Parigi, da Copenhagen a Berlino. Seyran Ates, avvocata di origini turche che si batte per i diritti delle donne e delle minoranze, ha fondato a Berlino la prima moschea gay friendly d’Europa: un luogo in cui donne e uomini pregano insieme e le persone transessuali, gli atei o i fedeli di altre religioni sono tutti benvenuti.
Sherin Khankan, donna imam che promuove una lettura del Corano in chiave femminista, a Copenhagen ha creato la prima moschea in Europa guidata da sole donne. Insomma, anche l’islam, come il cristianesimo e l’ebraismo è plurale. E mentre in molti Stati islamici l’omosessualità è ancora punita con la pena di morte, le donne sono obbligate a pregare in spazi separati dagli uomini e non hanno diritto al divorzio, in Europa sta crescendo una nuova generazione di musulmani che sognano un’interpretazione moderna e democratica del messaggio del Profeta.
Il pastore William Jourdan ha quindi sottolineato come nel mondo protestante ci si sia confrontati e ancora ci si confronti sul tema dell’omosessualità, utilizzando a tratti toni e linguaggi “poco cristiani”; ma, come ha sottolineato Jourdan citando un’intervista al teologo protestante Jürgen Moltmann, «la Chiesa – e quindi la fede – si occupa dell’Evangelo e non del sesso». Jourdan ritiene che sia cambiata la consapevolezza con cui i testi biblici solitamente collegati al tema dell’omosessualità vengono letti e compresi.
Nella prima lettera ai Corinzi (ver. 6), ad esempio, vi è un catalogo di vizi che deve essere inteso come una esemplificazione di quanto l’apostolo Paolo ha detto in precedenza. Paolo si sta confrontando sul fatto che nella comunità di Corinto, anziché cercare vie di conciliazione tra fratelli, si portano altri membri della comunità dinnanzi ad un tribunale pagano, facendolo divenire strumento per esercitare ingiustizia verso il fratello.
In tale quadro, i termini che vengono solitamente tradotti con “effeminati” e “sodomiti” non si riferiscono probabilmente all’omosessualità come oggi intesa, bensì «all’esercizio di una forma di ingiustizia verso l’altro, che si esprime anche attraverso la mercificazione del corpo altrui, con un chiaro riferimento a pratiche in uso nel mondo greco-romano». Nelle traduzioni delle nostre bibbie «c’è incertezza lessicale rispetto al significato dei due termini» e nella loro interpretazione si dimentica spesso il contesto di riferimento.