“Religo” di Simone Cerio. Viaggio per immagini tra i cristiani LGBT
- Fotografia tratta dalla mostra RELIGO di Simone Cerio
- Alcuni partecipanti al pellegrinaggio a piredi verso Roma del Progetto Giovanni Cristiani LGBT, un gruppo che si propne di crare rete tra ragazzi tra i 18 e i 35 anni
- Giulia Vuerta, 26 anni, con la sua compagna. Giulia è membro e co-fondatrice del Progetto Giovanni Cristiani LGBT, un gruppo che si propne di crare rete tra ragazzi tra i 18 e i 35 anni.
Dialogo di Innocenzo Pontillo col fotografo Simone Cerio
“Fuori la piccola chiesa fa ancora freddo, l’aurora ha i colori dell’arcobaleno, ma dentro le mura ce già l’inferno. Sergio rimane bello, biondo e impassibile quando la maledizione del prete lo travolge: “Per te non c’è posto in Paradiso. Ricorda”. (…) Il suo peccato agli occhi del prete è di far parte” di uno dei “30 gruppi LGBT cattolici presenti in Italia, dedicati all’accoglienza di tutte le persone con varie identità di genere o sessuale, e credenti in Dio”.
Con questa storia, che non lascia indifferenti, si apre il suggestivo racconto di Religo il progetto multimediale del fotografo documentarista Simone Cerio.
Giovane reporter italiano, classe 1983, Simone Cerio è specializzato in fotogiornalismo e collabora da tempo con importanti riviste nazionali ed internazionali. Cinque anni fa ha dato vita a Religo, un progetto multimediale fatto di materiali audio, video, foto e documenti, con cui ha voluto realizzare un vero e proprio viaggio attraverso le storie, i volti e la fede dei cristiani LGBT, in tre tappe con: la realizzazione di un web-reportage, di una mostra itinerante ed infine di un libro fotografico.
In occasione della nuova apertura della mostra Religo che farà tappa al MU.MI (Museo Michetti) di Francavilla sul Mare (Chieti), dal 29 Novembre all’11 Dicembre 2019 , abbiamo deciso di conoscere meglio il fotografo Simone Cerio e il suo progetto “Religo”.
Simone come è nato in te il desiderio di dar vita a questo progetto sui cristiani LGBT?
Sono appassionato di teologia e lavoro da tempo sul tema dell’Identità Sociale. Nella definizione classica della teoria si usa questa descrizione: “La SIT (Social Identity Theory) concettualizza il gruppo come luogo di origine dell’identità sociale: nell’uomo è spontanea la tendenza a costituire gruppi, a sentirsene parte ed a distinguere il proprio gruppo di appartenenza da quelli di non-appartenenza.”
Questa tendenza psico-sociale che ha l’uomo di definire la sua identità è il tema che mi ha da sempre affascinato e desideravo trovare una storia che potesse affrontarla da un punto di vista innovativo. Un giorno l’agenzia di fotogiornalismo in cui lavoravo mi girò un link in cui si parlava di un convegno sul tema “Omosessualità e Fede”, organizzato dal gruppo Ali D’Aquila di Palermo. Ho preso il primo aereo. Lì è iniziato il mio viaggio nelle comunità LGBT cristiane.
C’è stato un evento scatenante che ha dato origine al progetto “Religo”?
Durante quel convegno conobbi Valentina Coletta della REFO (Rete Evangelica Fede e Omosessualità) e Franchina, una catanese (transgender) che ha segnato gran parte del mio lavoro successivo. Erano due persone molto diverse ma estremamente sincere e profonde, e mi hanno introdotto nei vari ambienti dei gruppi di cristiani LGBT. Poco dopo il convegno, ero a Catania a fotografare la prima parte di Religo. Sono stati i miei Virgilio, senza di loro non sarei mai riuscito a raccontare questa storia.
Quale cammino umano e professionale hai percorso in questi anni all’interno della variegata realtà dei cristiani LGBT?
Seguo anche io un percorso di fede ed ho imparato con gli anni l’importanza dell’incontro con l’altro. “Religo” è stata la mia più grande catechesi, sia di vita che spirituale. All’inizio la cosa che mi ha maggiormente colpito era il desiderio, da parte dei miei protagonisti, di rimanere in una chiesa che faceva di tutto per farli sentire sbagliati.
Poi mi sono soffermato sull’enorme sofferenza che creava questo conflitto. Lo paragono ad una madre che non accetta fino in fondo le scelte del proprio figlio. Quando succede questo spesso assumiamo atteggiamenti atti a farci notare, come se dovessimo richiedere costantemente approvazione e affetto.
Io ho vissuto un’esperienza simile, e riconoscevo quell’urgenza di sentirsi amati. Decisi di lavorare su questo punto di vista, nel lavoro finale desideravo uscisse fuori in maniera chiara. Perché è un sentimento in cui possiamo tutti identificarci, a prescindere da chi vogliamo amare e da dove proveniamo.
Il risultato finale doveva essere donare dignità alle tante sofferenze incontrate, perché, in fondo, tutte le persone che ho conosciuto hanno avuto un momento di passaggio importante: c’è chi è ancora in cammino e chi si è “risolto”, trovando un senso a tutto.
Provenendo dal fotogiornalismo nei primi anni avevo estrema difficoltà a trovare il linguaggio giusto per definire al meglio il mio punto di vista. Il fatto di non avere davanti una storia facilmente riconoscibile ha permesso che mi avvicinassi alla fotografia documentaria, modificando completamente il mio approccio e stile fotografico.
Religo mi ha costretto a definire un metodo di ricerca e analisi, e poi a ridonare un’atmosfera, un bisogno, un’urgenza appunto. Ad un certo punto ho capito che la singola immagine non era più sufficiente. Così ho iniziato a utilizzare linguaggi misti, come il disegno, il video e l’archivio. Questo mix ha permesso la restituzione più completa e onesta della storia.
C’è un evento o una storia che hai incrociato in questo tuo viaggio di scoperta che vorresti condividere?
Non me la scorderò mai. Eravamo nella prima tappa del pellegrinaggio a piedi verso Assisi organizzato dal Progetto Giovani Cristiani LGBT, un evento che consiglio davvero a tutti a prescindere dal proprio orientamento. Eravamo seduti in cerchio, aspettando il proprio turno di presentazione.
Tocca a Beppe, un ragazzo che ho avuto il piacere di fotografare diverse volte (una persona squisita e sensibile). Tocca a lui parlare. E lo fa raccontando di quella volta che lo chiamò una persona di sua conoscenza, manifestandogli gratitudine per essersi esposto pubblicamente (come gay cristiano): così gli aveva salvato la vita.
Quella persona stava attraversando un momento molto buio della sua vita, stava pensando anche al suicidio dopo essersi allontanata dalla Chiesa, ma un giorno vide una foto di Beppe pubblicata su L’Espresso. Quell’immagine gli fece capire che c’erano persone che continuavano a camminare lungo una strada di verità, che c’era una possibilità di rinascita. Beppe mi guardò improvvisamente indicandomi e commuovendosi. Fu la prima volta nella mia vita che testai sulla mia pelle la potenza di una foto. Stavo facendo qualcosa di importante, ne avevo la prova ora. Il ritratto su L’Espresso l’avevo scattato io.
Come pensi che il progetto “Religo” possa raccontare questa realtà poco visibile, spesso ignorata dalle comunità cristiane?
Religo racconta la verità. Parla del percorso di sofferenza che un cristiano LGBT si trova ad affrontare lungo il suo cammino, ma con una sottochiave di profonda speranza e libertà, perché mostra l’attitudine più importante di un credente, quella del combattimento costante, per rimanere attaccato ad una dimensione trascendente e verticale.
Sono stato criticato sia dal mondo etero che da quello gay per aver scelto questo punto di vista: il primo desiderava più “affetto”, come se un abbraccio o un bacio in Chiesa bastasse a giustificare la scelta del tema (richiesta tipica del voyerismo religioso).
Il secondo invece voleva un approccio volto alla positività, come se la realtà LGBT cristiana fosse tutta un’oasi felice in cui rifugiarsi, quando il suo senso più profondo è proprio quello di creare una destrutturazione dell’idea di fede. E poi il mio progetto non parla alle comunità stesse, ma è rivolto proprio a chi crede che queste persone non esistano. La frase che mi viene rivolta più spesso è: “Ma i gay possono credere?”. Religo è stato prodotto per lasciare un documento approfondito e duraturo. Ed è rivolto proprio a chi fa finta di non vedere l’altro che è a fianco a lui.
La mostra Religo è già stata presentata in diverse città italiane e realtà espositive. Quale cammino e impatto pensi può vivere chi la visita?
Per il momento l’installazione ideata permette di seguire un percorso, che è paragonabile a quello che sta facendo la Chiesa per rinnovarsi. Ma la parte più impattante sarà la pubblicazione di un libro che uscirà nel 2020 come testimonianza per l’anniversario dei 40anni dalla nascita dei primi gruppi LGBT cristiani.
Per l’occasione ho ideato, insieme ad una mostra itinerante, un “home tour”: chi vorrà aprire la propria casa per ospitare una serata dedicata alla visione del progetto e al confronto, potrà farlo facendo una semplice richiesta ed invitando la propria cerchia di amici e parenti a condividere le storie raccontate lungo questi sei intensi anni di lavoro.
Credo sia il modo migliore di rendere tutto ciò che mi è stato dato. Ricostruendo la dimensione intima che contraddistingue non solo il mio lavoro, ma soprattutto le bellissime persone che ogni giorno desiderano continuare la loro relazione con Dio, lontana da (pre)giudizi ed etichette.