Religo. Il viaggio di Simone Cerio nelle comunità cristiane LGBTQ+
Dialogo di Katya Parente con il fotografo documentarista Simone Cerio
Scatti fotografici che hanno la capacità di toccare il cuore, suggestioni visive e interviste che raccontano e fanno pensare, grafica pulita ed essenziale: sono questi alcuni dei punti di forza di “Religo” (editore Crowdbooks, 2022, 128 pagine), un viaggio per immagini e parole nel mondo (del pellegrinaggio) cattolico LGBT. Ospite di oggi ne è l’ideatore e curatore, Simone Cerio.
Prima di tutto chi è Simone?
Sono un fotografo documentarista italiano. Sono cresciuto dentro un’agenzia di fotogiornalismo dove raccontavo storie per giornali, dopo anni passati su e giù per le redazioni, ho iniziato a non trovarmi più a mio agio con un tipo di lavoro che stava iniziando a cambiare troppo rapidamente, e che proprio nella sua velocità non forniva più gli stimoli che desideravo. Ho trovato allora una mia dimensione nella ricerca e nella produzione di progetti a lungo termine.
Oggi cerco di fare sperimentazione attraverso l’uso di una linguistica fotografica sempre più ibrida, per trovare nuove modalità di dialogo con il pubblico, provando ad affrontare storie poco conosciute o poco trattate. Lavoro anni su un argomento che mi interessa, rimanendo agganciato a temi come l’identità e le disuguaglianze. Sono anche un insegnante di fotografia, mia altra grande passione. Prima di tutto questo studiavo le balene. E magari un giorno riprenderò a farlo.
Qual è l’idea alla base di Religo?
L’idea alla base di Religo è di raccontare il percorso che i credenti cristiani, con una particolare accezione verso i giovani, compiono verso una conoscenza di sé e della propria fede. Ciò produce un vero e proprio cammino, fatto di trappole, sofferenze, abbandoni, rifiuti, per poi trasformarsi in conferme, consapevolezze, riavvicinamenti e alla fine amore, l’unica cosa che conta davvero. Ho provato a rendere fotograficamente queste tappe, perché volevo far capire che ci possiamo definire cristiani solo se ci identifichiamo in un passaggio o in un cammino, e mai nella meta in sé.
Quello che ho visto e vissuto, all’interno delle storie che ho avuto la fortuna di incontrare, è il resoconto di ciò che una persona può ritrovare in questo libro.
Solo quando l’ho pubblicato mi sono reso conto che questo cammino così esposto è lo stesso che ognuno di noi compie nella propria esistenza, a prescindere da ciò che sta cercando. Tutti spero possano ritrovarsi in queste pagine.
Molte delle fotografie sono state scattate durante il pellegrinaggio del 2017. Con che spirito lo hai intrapreso?
Il pellegrinaggio era la perfetta metafora della reinterpretazione di quel percorso, e offriva anche spunti fondamentali per comprendere le persone e le storie che portavano con sé in quei chilometri condivisi a piedi, in maniera più intima e profonda. Quindi la prima motivazione che mi ha spinto ad intraprendere due diversi pellegrinaggi, a distanza di un anno l’uno dall’altro, era questa, ma solo alla fine ho capito che quel percorso di comprensione lo dovevo compiere prima su me stesso, per poter rioffrire ad altri un pensiero più veritiero.
È stata un’esperienza molto forte, ricca di discussioni utili, confidenze importanti e nuove amicizie, ma la cosa che porto maggiormente nel mio cuore è stata la co-presenza di genitori che volevano camminare insieme ai propri figli. Un gesto che tuttora conservo nel mio cuore con estrema gratitudine.
Spesso siete stati ospitati da strutture religiose. Che idea ti sei fatto del rapporto tra comunità LGBT e Chiesa?
Quella che dovrebbero avere tutti. La Chiesa è una realtà complessa, così come lo è la comunità LGBT: più ci approcciamo ad una realtà eterogenea e più non bisogna fare l’errore di generalizzarla. L’unica cosa importante è il segno dell’incontro verso l’altro. Finché ci sarà questa volontà da ambo le parti ci sarà crescita reciproca.
Ciò che ho visto fa riferimento solo ad un atteggiamento positivo e di ascolto da parte della comunità cattolica. Le strutture ci hanno sempre accettato (tranne una volta…), ma il rapporto tra comunità LGBT e comunità Cattolica è come quello tra un adolescente e la propria mamma: bisogna litigare ora per volersi bene dopo.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Sto lavorando ad un nuovo progetto sulla disuguaglianza di salute a cui tengo molto. È un lavoro complicato perché sto fotografando un concetto e non una storia, ma è la sfida che mi sono posto. Nel mentre cerco di portare avanti altri argomenti con un’attenzione sempre sull’essere umano e sulle sue fragilità, con un atteggiamento intimo e sussurrato, come sono ormai tutte le storie che tratto.
La fotografia, l’arte, come narrazione, ambito privilegiato per incontrare l’altro, conoscerlo ed entrare in un contatto profondo con lui – per conoscerlo e, in fondo, anche per riappropriarsi della propria identità. Perché è attraverso il dialogo che ci si svela – e si inizia ad amarsi di quell’agape che dovrebbe essere la costante di ogni rapporto. Simone ce l’ha ribadito ancora una volta, con immagini che parlano al cuore.