Ricordando Matteo, vittima dell’omofobia dei suoi compagni di scuola
Nel 2007, nei giorni in cui si celebravano le esequie del giovane Matteo, morto suicida a seguito delle angherie omofobe dei suoi compagni di scuola, i cristiani omosessuali del gruppo Kairos di Firenze, sconvolti da questa assurda tragedia, lanciavano l’idea di dar vita a una veglia in memoria di tutte le vittime dell’omofobia chiedendosi “possibile che i nostri pastori cattolici, solitamente così loquaci in tema di omosessualità, non avessero per lui una parola?.
Nascevano così, nel 2007, le veglie ecumeniche di preghiera e i culti domenicali per ricordare le vittime dell’omofobia che hanno luogo ogni anno, nei giorni precedenti la giornata mondiale contro l’omofobia (17 maggio) in tutta Italia e in tante altre città del mondo.
Ma chi era Matteo, il giovane ragazzo dal cui suicidio sono nate le veglie? Questa è la sua storia?
A Torino un ragazzo tormentato a scuola si uccide Articolo di Vera Schiavazzi, tratto dal Corriere della sera del 5 aprile 2007
«Ti piacciono i ragazzi, sei gay…». E giù battute e parolacce. Forse i suoi compagni non capivano fino in fondo quanto lo ferivano con quelle frasi, ma per Matteo, 16 anni, seconda superiore in un grande istituto tecnico di Torino (italia), quel tormentone durato un anno e mezzo è stato troppo.
E martedì (3 aprile 2007) ha deciso di farla finita: prima una coltellata mirata al petto, poi il volo dalla finestra di casa, al quarto piano di un quartiere residenziale.
All’ospedale, per qualche ora, i medici hanno tentato di rianimarlo,ma è stato inutile. Matteo è morto e ora la Procura si accinge ad archiviare il caso: non ci sono dubbi, è stato un suicidio. A provarlo c’è anche una lettera che racconta ogni dettaglio nel linguaggio ironico e agrodolce degli adolescenti. E una conclusione: «Non ce la faccio più».
La madre di Matteo, Luisa (i nomi sono di fantasia) è arrivata in Italia più di vent’anni fa dalle Filippine. (…) Matteo era il secondo figlio, quello che le dava più soddisfazioni con i risultati a scuola:
«I problemi — racconta ora la donna, tra le lacrime — sono cominciati più di un anno fa, in prima superiore. Mio figlio era dolce, sensibile, non alzava mai la voce, non partecipava a certi giochi e non litigava con nessuno.
I compagni l’hanno preso di mira… ».
Luisa non è stata a guardare, dopo aver parlato a lungo con suo figlio ed essersi fatta raccontare nei dettagli quello che succedeva a scuola, è andata nell’istituto frequentato dal figlio, ha chiesto e ottenuto di incontrare la vicepreside che di Matteo era anche insegnante.
E per un po’ le cose sono andate a posto, almeno in apparenza. (…) La preside ricorda perfettamente quel ragazzino magro, silenzioso e studioso: «Matteo andava bene a scuola, aveva 7 e 8 in tutte le materie e 10 in condotta. Pensandoci oggi, la sua sensibilità poteva anche nascondere una grande fragilità, ma qui a scuola si traduceva soprattutto in studio e rispetto delle regole.
Siamo sconvolti, addolorati, abbiamo parlato con la mamma di Matteo da poco e siamo a disposizione per chiarire ogni dettaglio che possa servire a ricostruire questa tragedia».
A casa, a pochi isolati dalla scuola, dal liceo e dalle medie frequentati dagli altri due figli, Luisa non sa darsi pace e ricorda quegli scherzi pesanti, che quest’anno erano ricominciati: «Gli dicevo: “Matteo, stai tranquillo, non hai nessun problema, fai amicizia con i compagni, esci…”.
Ma lui non riusciva a seguire i miei consigli, dopo la scuola tornava subito a casa, giocava al computer o ci metteva dentro i suoi dvd. A volte piangeva, poi mi diceva: “Mamma, non è nulla, è passato”. Lo spingevo fuori perché frequentasse la piscina, due volte alla settimana lo faceva… ».
Lunedì mattina, Matteo è uscito alle 8 come al solito, ma poi ci ha ripensato ed è rientrato a casa: «Non voglio andare a scuola, mamma, sono stanco, lasciami riposare». Era così bravo, i suoi voti era così alti che la signora Luisa non si è preoccupata.
Martedì mattina Matteo ha rassicurato la madre: «E’ tutto a posto, ripasso la lezione e vado a scuola, vai a lavorare tranquilla ». L’ha lasciata uscire, poi si è ucciso. In quella lettera che ora è in mano ai carabinieri il suo ultimo, disperato, atto di accusa.