Ri/costruire. Le veglie per le vittime dell’omofobia e lo scandalo della preghiera
Riflessioni di Daniela Tuscano tratte da dimelaltra.blogspot.com/
Un segno implica un gesto; un gesto privo di segno è eco muta. Non si propaga, non crea nessuna onda. Insieme, producono invece un vortice continuo, una sinfonia moltiplicata. Le veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia posseggono questa valenza provocatoria. Innanzi tutto perché preghiere. Le preghiere di omosessuali già si presentano come un ribaltamento dell'Ordine religioso e del perbenismo clericale La loro preghiera è scandalosa perché non reagiscono con rabbia agli insulti e alle provocazioni. Neppure alle maledizioni. E ciò nondimeno non chinano il capo rassegnati. Non chiedono tolleranza, ma ascolto.
Un antidoto al consumismo religioso. Tale mi sentirei di denominare le imminenti veglie per le vittime dell’omofobia che i volontari/e del progetto Gionata stanno organizzando in tutt'Italia il prossimo 4 aprile (ma in alcune città, come Milano, si comincerà due giorni prima: qui di seguito il programma in dettaglio). Si tratta del secondo appuntamento di questo genere: lo scorso anno ne avevo parlato nel mio vecchio blog, e altrove.
Le date hanno un valore evocativo molto importante e i ragazzi di Gionata ne sono consapevoli: l'appuntamento, infatti, cade in occasione dell'anniversario della morte di Martin Luther King . L'apostolo afroamericano della non-violenza gandhiana. Il senso e il sunto della forza della preghiera, l'interiorità attiva della contemplazione.
La cosiddetta "cultura del fare" ha lambito, potremmo dire inquinato, anche la nostra vita spirituale, o ciò che ne resta. Anche a molti, troppi sedicenti cristiani la preghiera appare inefficace, vuota, senza nerbo. "Servono azioni, non parole" udiamo spesso ripetere dai pragmatici che poi, guarda caso, nel momento utile non si trovano mai, perché proprio quel giorno gli è capitato un parente dall'India, l'improcrastinabile partita a bridge, un maledetto compito di matematica.
Qualche predicatore la definisce "sindrome di Marta" (dal nome dell'indaffaratissima sorella di Lazzaro, contrapposta all'orante Maria, del Vangelo di Giovanni). Ma secondo me non rende giustizia alla povera Marta, la quale era sì affannata, ma in buona fede. Perché lei ce l'aveva comunque, la fede. Le Marte attuali no. E risultano, al massimo, la sbiadita parodia dell'originale.
I cristiani senza Cristo di oggi assomigliano stranamente ai credenti senza Dio di ieri. E di sempre. Perché questa generazione chiede un segno? è l'eloquente titolo (ripreso da Mc 8, 12) dell'itinerario quaresimale appena concluso dal nostro arcivescovo, card. Tettamanzi.
"La richiesta di un segno […] proviene dai farisei; essi non hanno compreso il valore del gesto e poco dopo gli stessi discepoli si mostreranno incapaci di cogliere in modo compiuto […] il senso della presenza e dell'azione di Gesù", leggiamo nell'Introduzione.
Il cardinale si pone, insomma, sulla scia del suo illustre predecessore Carlo Maria Martini il quale, insediatosi nella diocesi più importante d'Italia nel fatidico 1980, alba della Milano da bere, degli yuppies, dell'efficientismo rampante, aveva iniziato il suo percorso pastorale con una lettera stupendamente provocatoria: La dimensione contemplativa della vita.
Segno contro gesto, gesto senza segno: gusci vuoti. Un segno implica un gesto; un gesto privo di segno è eco muta. Non si propaga, non crea nessuna onda. Insieme, producono invece un vortice continuo, una sinfonia moltiplicata, più d'un coro, un concerto cosmico.
Le veglie di questi giorni posseggono questa valenza provocatoria. Innanzi tutto perché preghiere. Le preghiere di omosessuali già si presentano come un bouleversement, un ribaltamento dell'Ordine religioso, del perbenismo clericale. Sono contemplative, ma non contemplate. Gli eterni farisei ne sono infastiditi.
Non religiose, bensì fedeli. "La fede è il contrario di religione, sebbene questa può diventare un momento e un passaggio verso la prima. Essa nasce da un incontro personale e fisico con qualcuno con cui s'instaura un rapporto di conoscenza e di sentimenti che diventano comunione e scambio di vita. Non espressione di paura, ma atto di amore, perché solo gli innamorati sanno credere e affidarsi all'imprevedibilità dell'incontro e al mistero dell'altro" (don Paolo Farinella, Crocifisso tra potere e grazia, Gabrielli 2006).
Le persone omosessuali credenti pregano con la loro stessa esistenza manifesta. Diventano comunione mistica e umile con la natura, come l'albero e il neonato. Quando, coi loro volti, escono dalle catacombe in cui sono stati – talora, si sono – confinati.
La loro preghiera è scandalosa perché non reagiscono con rabbia agli insulti e alle provocazioni. Neppure alle maledizioni. E ciò nondimeno non chinano il capo rassegnati. Non chiedono tolleranza, ma ascolto. Rapporto, scambio di vita, appunto.
La loro preghiera non si esaurisce in un episodio. Gli uomini e le donne contemplativi, omosessuali o eterosessuali, bianchi o neri, professionisti o senzatetto, consacrati o laici, non vivono di riti. Teodoreto di Ciro li chiamava "atleti". Sanno, infatti, che dal tempio si esce. Ma comprendono pure che, per percorrere il mondo, devono sostare e dialogare. Con sé stessi e con gli altri.
Mi sento di ringraziare (e di incoraggiare) questi amici per la loro fiducia. Essi, descritti e considerati l'incarnazione del materialismo e dell'immanenza, sanno essere, nel chiuso delle grette metropoli, radice antica e slancio d'infiniti mondi.