Rifiutare l’indifferenza. Un giallo esistenziale
Riflessioni sull’Ebraico e il pensiero biblico di Giuseppe Messina*
Terzo Comandamento: “Non pronunzierai il Nome dell’Eterno, tuo Dio, invano…” (Es 20, 7) Parte terza
Il termine etica sovente viene confuso con un altro: morale. Che significato possiamo attribuire a questi due termini? Il primo deriva dal greco ethos, il secondo dal latino mores ed entrambi rimandano al buon comportamento.
Il filosofo Paul Ricoeur ha proposto di differenziarle preferendo riservare il termine etica a ciò che ha per meta una vita compiuta. In questo caso l’etica diventerebbe l’orizzonte, il fine di una comunità si prefigge, il progetto al quale tende.
Non è in gioco solo il significato individuale dell’esistenza (chi sono? dove vado?), ma quello del divenire collettivo. Il termine esistere- ex-sistere- implica esso stesso questa uscita, questa apertura, questo avanzare. Dal semplice essere al mondo, si passa, pertanto, allo scopo dell’esistenza, al suo fine o alla sua finalità. La morale che sa troppo di catechismo e obblighi imposti da altri sarebbe costituita dalle norme concrete e universali istituite per realizzare l’etica, ma le norme possono cambiare. Esse sono trasmesse dalla tradizione e vengono rinnovate attraverso una decisione democratica. Le norme rappresentano una sorta di utensile per realizzare praticamente lo scopo che ci si è dato.
Con Ricoeur, si può dire altrimenti. L ‘etica è una promessa di felicità per sé e per gli altri. La morale è l’insieme delle regole per pervenirvi. C’è evidentemente, una dialettica tra etica e morale. Se la prima viene meno o si smarrisce, la morale si trasforma in pratiche imposte, onde, le persone, non riescono a capirne il senso; ci manca poco che non vengano osservate; esse sono svuotate del loro spirito, ossia della loro ispirazione. Come stupirsi, dunque, che la morale sia spesso offesa? Viceversa, senza norme morali, l’etica diviene un vago orientamento di vita, un grande principio vuoto. L’importante è mantenere la tensione dialettica tra etica e morale poiché l’equilibrio tra le due determina la saggezza.
Potremmo a giusto titolo porre la domanda: il Decalogo dipende dall’etica o dalla morale? Molto probabilmente da entrambe. A un primo sguardo, si ha l’impressione che le Dieci Parole dipendano da una morale visto dalla prospettiva ricoeuriana: queste sono le regole, le leggi, le norme, per realizzare una certa etica.
Per il momento non vediamo quale sia il progetto, l’etica delle Dieci Parole. Queste ci si presentano come un enigma: non basta capire ciò che è detto, bisogna scoprirvi un significato, un cammino, uno scopo per la nostra esistenza. Le Dieci Parole rappresentano una sorta di giallo esistenziale i cui indizi sono posti, ma la soluzione non è data prima di viverle. Quindi le Dieci Parole non sono affatto come gli episodi del tenente Colombo dove lo spettatore assiste all’omicidio.
Di conseguenza, dobbiamo leggere il Decalogo come un testo interattivo: il lettore è chiamato a scoprire, a scoprirsi.
Bisogna praticarlo come un gioco dicono i rabbini: io ti propongo una morale? Dimmi qual è la tua etica! Ecco la mia morale, inventati un’etica! Comandamento e libertà. Con una lettura siffatta si tiene meglio insieme la società moderna dei diritti di tutti gli individui e le Scritture.