Rileggendo l’insegnamento del magistero cattolico sulle relazioni omosessuali
Testo dei teologi Todd A. Salzman* e Michael G. Lawler** tratto dal loro libro The Sexual Person: Toward a Renewed Catholic (La persona sessuale. Verso un’antropologia cattolica rinnovata)***, Georgetown University Press, USA, 2008, capitolo 7, paragrafo 6-9, libera traduzione di Antonio De Caro del gruppo Davide di Parma
La nostra analisi dei testi biblici, che si può estendere ai testi teologici del Magistero egualmente condizionati da un contesto storico e sociale, va in direzione di un discernimento morale che proponiamo come strada per arrivare ad un giudizio di coscienza sulla moralità o l’immoralità delle azioni e delle relazioni omosessuali. La tradizione insegna che le azioni omosessuali sono intrinsecamente disordinate per le seguenti ragioni: esse “sono contrarie alla legge naturale”, i cui principi si riflettono nella stessa natura umana; “esse precludono all’atto sessuale il dono della vita”; ed “esse non derivano da un’autentica complementarietà affettiva e sessuale”.[1] Prenderemo in considerazione ciascuno di questi insegnamenti uno dopo l’altro.
L’argomento della legge naturale
In primo luogo, in ogni essere umano vi è, per “natura” – e ricordiamo che “natura” è sempre una categoria frutto di interpretazione, pertanto vi può essere una dialettica per giudicare ciò che è o non è “natura”-, un orientamento sessuale. Il significato dell’espressione “orientamento sessuale” è complesso e non universalmente condiviso, ma il Magistero ne offre una descrizione. Esso distingue fra “una ‘tendenza’ omosessuale”, che risulta essere ‘transitoria’, e “omosessuali che lo sono in modo definitivo per via di un istinto innato di qualche tipo”. Procedendo, esso dichiara che “sembra appropriato intendere l’orientamento sessuale come una dimensione della personalità profondamente radicata e riconoscere la sua relativa stabilità in una persona”.[2]
L’orientamento sessuale è in prevalenza eterosessuale, omosessuale o bisessuale. Questa realtà “naturale” e rivelata nella storia, nella società e nell’esperienza può essere oscurata dall’ovvia preponderanza statistica di persone ad orientamento eterosessuale, ma in nessun caso è negata da tale preponderanza statistica. Noi concordiamo completamente con la Congregazione della Dottrina della Fede (CDF) quando insegna che “non può esserci vera promozione della dignità dell’essere umano se non è rispettato l’ordine essenziale della sua natura”.[3] Dissentiamo dalla Congregazione della Dottrina della Fede (CDF), tuttavia, sull’interpretazione esclusivamente eterosessuale di tale “ordine essenziale della natura”.
“Natura” e legge naturale hanno sempre avuto un posto predominante nella teologia morale cattolica e, nell’insegnamento ufficiale della Chiesa, non solo l’omosessualità ma anche l’attività sessuale preconiugale, extraconiugale, contraccettiva e non riproduttiva (anche all’interno del matrimonio) sono condannate come contrarie alla legge naturale. Qualsiasi attività sessuale che trasgredisca “le leggi della natura saggiamente ordinate”[4] da Dio e non sia aperta alla trasmissione della vita, insegna il Magistero, è moralmente sbagliata. I principi fondamentali che determinano questo giudizio morale sono contenuti “nella legge divina – eterna, oggettiva e universale – per mezzo della quale Dio ordina, dirige e governa l’intero universo e i comportamenti della comunità umana… Questa legge divina è accessibile alle nostre menti”.[5]
È precisamente questo “accessibile alle nostre menti”, come spiegato nel nostro Prologo, che suscita serie questioni ermeneutiche. Già nel XIII sec, Tommaso d’Aquino insegnava che la legge naturale non è “nient’altro che la luce dell’intelletto posta in noi da Dio“.[6] Egli aggiunge, tuttavia, che sebbene i precetti della legge naturale siano universali ed immutabili, la loro applicazione varia a seconda delle circostanze dell’esistenza delle persone. Abbiamo fatto la stessa osservazione nel capitolo 2 e qui occorre solo riprendere sinteticamente la nostra argomentazione.
Gli uomini e le donne, collocati in un preciso contesto storico e dotati di ragione, non hanno accesso a una “natura” pura e incontaminata. La “natura” si rivela alla nostra attenzione, comprensione, giudizio e decisione solo come nudo insieme di fatti. Ogni cosa che vada al di là di questo insieme di fatti è il risultato di un’interpretazione da parte di persone attente, intelligenti, razionali e responsabili; cioè, noi facciamo esperienza della “natura” solo se interpretata e socialmente codificata. L’esperienza non interpretata della “natura”, come effettivamente di ogni altra realtà, è ristretta a quel nudo insieme di fatti, priva di significato, una qualità che non appartiene originariamente alla natura ma è assegnata ad essa da esseri razionali tramite atti interpretativi. “Il vasaio, non il vaso, è responsabile della forma del vaso”.[7]
È inevitabile che differenti gruppi di donne ed uomini egualmente razionali e storicamente collocati – per esempio, teologi tradizionalisti e revisionisti – possono trarre differenti interpretazioni di “natura” e degli obblighi morali che ne derivano, e che ogni interpretazione data può essere erronea. Dato che ogni interpretazione della “natura” è una realtà socialmente codificata che dipende dalla prospettiva e dall’interpretazione umana, la realtà della “natura” va sempre subordinata ad uno scrutinio, anche se l’interpretazione è avanzata dal Magistero della Chiesa.
La nostra antropologia sessuale riconosce l’orientamento sessuale come una dimensione intrinseca della “natura” umana. Ciò posto, che cosa sia naturale nell’attività sessuale, che è un’espressione della persona sessuale, sarà variabile, a seconda che l’orientamento sessuale della persona sia omosessuale o eterosessuale. Gli atti sessuali omosessuali sono “naturali” per persone con un orientamento omosessuale, proprio come gli atti sessuali eterosessuali sono “naturali” per persone con un orientamento eterosessuale. Sono naturali perché essi coincidono con, e riflettono, la fondamentale “natura” umana di una persona creata ad immagine e somiglianza di Dio.
Non stiamo qui tentando di affermare che l’attività omosessuale sia morale perché è naturale per le persone ad orientamento omosessuale; ciò equivarrebbe a trattare fatti naturali come giustificazione e cadere nell’errore naturalistico. Ogni atto sessuale, omosessuale o eterosessuale, deve essere non solo naturale, ma anche, come spiegato nel cap. 4, giusto, amorevole e in accordo con la complementarità olistica.
L’argomento della procreazione
In secondo luogo, l’affermazione del Magistero che gli atti omosessuali “precludono all’atto sessuale il dono della vita” è stata affrontata nel cap. 4, e non c’è bisogno di ripeterla qui. Basti dire che, se si esamina “l’apertura alla trasmissione della vita” in termini biologici, allora atti eterosessuali potenzialmente riproduttivi e non riproduttivi (in modo permanente o temporaneo) sono essenzialmente differenti. Come Koppleman osserva contro Finnis, “i genitali di una persona sterile sono adatti alla generazione non più di quanto una pistola con il percussore rotto sia adatta a sparare”. È un’estensione concettuale, egli continua, “insistere a dire che gli atti sessuali di persone irrimediabilmente sterili sono dello stesso tipo degli atti sessuali di organi fertili che, occasionalmente, non raggiungono il loro scopo”.[8]
La complementarietà eterogenitale, pertanto, diventa, come per la Nuova Teoria della Legge Naturale, la differenza essenziale che distingue atti eterosessuali non riproduttivi da atti omosessuali. Se si esamina “l’apertura alla trasmissione della vita” in termini metaforici, allora le coppie sia omosessuali sia eterosessuali possono manifestare il “significato iconico” di Hanigan nella loro unione interpersonale corporea e negli atti sessuali.[9]
L’argomento della complementarietà
In terzo luogo, benché il Magistero condanni con coerenza gli atti omosessuali per il fatto che essi violano la complementarietà eterogenitale e riproduttiva, non spiega per quale motivo essi violerebbero anche la complementarietà personale, limitandosi ad affermare che gli atti omosessuali “non procedono da un’autentica complementarietà affettiva e sessuale”.[10] Questa affermazione, tuttavia, solleva la domanda se tali atti possano mai essere veramente umani, o no, a livello della complementarietà sessuale e personale.
Anche se il Magistero non ha affrontato questa domanda, coppie omosessuali monogame, amorevoli ed impegnate l’hanno affrontata nella loro esperienza e attestano che i partner davvero sperimentano complementarietà affettiva e comunione in ed attraverso le loro azioni omosessuali. Margaret Farley nota che la testimonianza dell’esperienza di queste coppie depone a favore “del ruolo di tali amori e relazioni nel sostenere il benessere umano e guidare gli esseri umani a fiorire” e “si estende ai contributi che gli individui e i partner danno alle famiglie, alla Chiesa e alla società nel suo complesso”.[11]
Ciò coincide precisamente con il nostro principio fondamentale dell’impatto relazionale immediato e mediato degli atti sessuali autenticamente umani. “Espressi in una maniera che è autenticamente umana, queste azioni significano e promuovono quel reciproco dono di sé per mezzo del quale gli sposi [immediatamente] si arricchiscono l’un l’altro [e mediatamente arricchiscono la loro famiglia e la comunità] con volontà gioiosa e grata”.[12] La posizione di Farley è ampiamente sostenuta dai racconti e dalla ricerca scientifica sulla natura delle relazioni omosessuali.
Circa 20 anni fa, mentre riconosceva che la questione delle relazioni omosessuali è controversa, Farley apprendeva i racconti delle esperienze di coppie omosessuali e commentava che “noi abbiamo alcune chiare e profonde testimonianze su come le relazioni omosessuali possano migliorare la vita e come l’attività sessuale in queste relazioni possa essere integrata e produrre integrazione. Abbiamo la prova che l’omosessualità può essere un modo per incarnare amore responsabile ed amicizia umana capace di sostegno”. Lei conclude, logicamente, che “questa prova basta da sola per pretendere dalla comunità cristiana e politica di riflettere da capo sulle norme [e le leggi] per l’amore omosessuale”.[13]
Il suo giudizio concorda con quello di Bernard Ratigan, gay, inglese, attivo come psicoterapeuta, che nota “il divario fra la caricatura di noi [gay] nella Chiesa e le nostre vite reali sembra così gigantesco”. Legittimamente, si chiede “sulla base di quali prove il Vaticano fonda le sue affermazioni su di noi?” e procede evidenziando che la psicoanalisi “si è evoluta: prima si preoccupava solo del sesso genitale, ora pensa molto di più in termini di relazioni umane ed amore”.[14] Così ha fatto anche la teologia morale cattolica revisionista.
Questa richiesta di prove può essere avanzata anche alla più recente affermazione sugli omosessuali fatta dalla Conferenza Episcopale Cattolica degli Stati Uniti. Parlando di una inclinazione omosessuale, i vescovi notano che essa “predispone verso ciò che è autenticamente non buono per la persona umana”. La predisposizione è verso atti omosessuali che sono “non ordinati al raggiungimento dei fini naturali della sessualità umana” e perciò “agire assecondando tale inclinazione semplicemente non può contribuire al vero bene della persona umana”.[15] L’affermazione che gli atti omosessuali, per definizione, non possono contribuire al bene della persona umana sembra contraddire le esperienza relazionali di coppie omosessuali impegnate e monogame. Sebbene questa affermazione non citi studi scientifici per verificare la sua posizione, ci sono numerosi studi che esplicitamente la contraddicono.
Lawrence Kurdek ha condotto ricerche estensive su coppie gay e lesbiche e nota le seguenti caratteristiche che emergono confrontando queste relazioni con coppie eterosessuali sposate. Le coppie gay e lesbiche tendono ad avere una distribuzione più equa del lavoro domestico, dimostrano maggiori capacità di risoluzione dei conflitti, ricevono meno sostegno dai membri delle proprie famiglie ma maggiore sostegno dagli amici e, ciò che è più significativo, sperimentano livelli simili di soddisfazione relazionale a confronto con coppie eterosessuali.[16]
Non solo gli studi empirici mettono seriamente in discussione la pretesa del magistero che gli atti omosessuali, per definizione, sono dannosi per la persona umana e le relazioni umane; tali studi mettono in discussione anche la posizione del Magistero sugli effetti nocivi sui bambini dei genitori omosessuali.
La Congregazione della Dottrina della Fede (CDF) si pronuncia contro la genitorialità omosessuale basandosi su queste affermazioni “come l’esperienza ha dimostrato, l’assenza di complementarietà sessuale in queste unioni crea ostacoli nel normale sviluppo dei bambini eventualmente affidati alle cure di queste persone… Consentendo a persone che vivono in tali unioni di adottare bambini significherebbe in realtà fare violenza a questi bambini”.[17] Non solo tale affermazione retoricamente scorretta e discriminatoria,[18] ma è anche empiricamente infondata. La CDF non offre prove scientifiche, qui o altrove, per fondare la sua posizione che le unioni omosessuali sono un ostacolo al normale sviluppo dei bambini. Ci sono, tuttavia, abbondanti prove del contrario.
Mentre riconosce che la ricerca sulla genitorialità gay e lesbica è ancora in evoluzione, specialmente riguardo ai padri gay, Patterson riassume le prove disponibili da 20 anni di studi: “Non c’è prova per suggerire che donne lesbiche e uomini gay siano inadatti ad essere genitori o che lo sviluppo psicosociale [e anche sessuale] fra bambini di uomini gay o donne lesbiche sia compromesso in qualche aspetto a confronto dei figli di genitori eterosessuali. Non un singolo studio ha dimostrato che figli di genitori gay, uomini o donne, sia svantaggiato in qualche aspetto significativo a confronto con i figli di genitori eterosessuali”.[19]
Nella sua panoramica della ricerca, Laird va oltre e suggerisce che i dati scientifici indicano che i genitori omosessuali sono più capaci di allevare i figli e più tolleranti dei genitori eterosessuali, e i loro figli sono, a loro volta, più tolleranti ed empatici.[20] Questa abbondanza di prove ha condotto l’Associazione Psicologica Americana ad approvare e diffondere un’importante risoluzione. Dato che “i genitori gay, donne ed uomini, hanno la stessa probabilità dei genitori eterosessuali di offrire sostegno ed un ambiente sano ai loro figli, … [e dato che] la ricerca ha dimostrato che la correzione, lo sviluppo e il benessere psicologico dei bambini non ha relazione con l’orientamento sessuale dei genitori e che i bambini di genitori gay, donne ed uomini, hanno la stessa probabilità di fiorire, rispetto a quelli di genitori eterosessuali”, l’associazione si oppone ad ogni discriminazione basata sull’orientamento sessuale.[21]
Anche l’importante Lega Americana per il Benessere infantile, interamente centrata sui bambini, è convinta dai dati che non ci sono differenze significative fra le attitudini e le capacità parentali di genitori eterosessuali e gay, uomini e donne.[22] Nel 1994 il regolamento della Lega raccomanda che “persone gay e lesbiche che si candidano come genitori adottivi siano valutati nello stesso modo di tutti gli altri candidati. Dovrebbe essere riconosciuto che l’orientamento sessuale e la capacità di allevare un figlio sono temi separati”. La lega raccomanda inoltre che occorrerebbe fornire informazioni vere sui gay e le lesbiche, “per dissipare luoghi comuni su gay e lesbiche”.[23] Non è l’orientamento sessuale di genitori gay e lesbiche che produce risultati negativi nei bambini, bensì la discriminazione contro di loro provocata dalle falsità diffuse sui loro genitori.
Il Concilio Vaticano Secondo elogia i progressi delle scienze umane che portano alla comunità umana “una conoscenza di sé sempre migliore” e “influenzano la vita dei gruppi sociali”.[24] Papa Giovanni paolo II insegna che “la Chiesa apprezza la ricerca sociologica e statistica quando essa si dimostra d’aiuto nel comprendere il contesto storico in cui deve dispiegarsi l’azione pastorale e quando conduce ad una migliore comprensione della verità”.[25]
La domanda di cui ci stiamo occupando, vale a dire quella sull’effetto di genitori omosessuali sui loro figli, è un classico caso in cui le scienze sociali hanno portato chiaramente ad una migliore comprensione della verità. Ci sono abbondanti dati sociali e scientifici per sostenere l’affermazione che comunione e complementarietà affettiva sono evidenti nelle relazioni omosessuali e che, in caso di genitori omosessuali, queste complementarietà agevolano sia la complementarietà genitoriale sia la crescita positiva dei figli.[26]
Queste valutazioni sulle esperienze relazionali e genitoriali delle coppie omosessuali richiamano il principio di John Courtney Murray: l’intelligenza pratica, in quanto distinta da quella teoretica, viene difesa dall’ideologia mantenendo “una stretta relazione con l’esperienza concreta”.[27]
Come abbiamo visto prima riguardo agli studi scientifici su persone in una relazione omosessuale e i bambini allevati da genitori gay, uomini e donne, le posizioni del Magistero su queste persone tendono ad essere ipotesi teoriche non confermate dall’esperienza pratica delle persone. La posizione del Magistero che gli atti omosessuali “non procedono da un’autentica complementarietà affettiva e sessuale” è soggetta alla stessa accusa, ipotesi teoriche non suffragate dall’esperienza pratica.
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[1] CCC, 2357; CRP, 4.
[2] United States Conference of Catholic Bishops, Always Our Children, 4-5. Vedi anche PH, 8.
[3] PH, 3.
[4] HV, 11.
[5] Ibi 3.
[6] CCC 426.
[7] Alfred North Whitehead, Symbolism: Its Meaning and Effect (New York: Putnam’s, 1959), 8.
[8] Andrew Koppleman, Natural Law (New), in Sex from Plato to Paglia: A Philosophical Encyclopedia, a cura di Alan Soble (Westport, CT: Greenwood Press, 2006), 11:708.
[9] Todd A. Salzman and Michael G. Lawler, Quaestio Disputata: Catholic Sexual Ethics: Complementarity and the Truly Human, TS 67, no. 3 (September 2006): 631-35; David Matzko McCarthy, The Relationship of Bodies: A Nuptial Hermeneutics of SameSex Unions, in Theology and Sexuality: Classic and Contemporary Readings, a cura di Eugene F. Rogers Jr. (Oxford: Blackwell, 2002), 200-16.
[10] CCC, 2357.
[11] Margaret A. Farley, Just Love: A Framework for Christian Sexual Ethics (New York: Continuum, 2006), 287. Frans Vosman sostiene la stessa idea, notando ad esempio che gli omosessuali contribuiscono al “bene sociale” in termini di “reciproco sostegno, cura e giustizia”. Frans Vosman, Can the Church Recognize Homosexual Couples in the Public Sphere? INTAMS Review 1, no. 12 (2006): 37.
[12] GS, 49.
[13] Margaret A. Farley, An Ethic for Same-Sex Relations in A Challenge to Love: Gay and Lesbian Catholics in the Church, a cura di Robert Nugent (New York: Crossroad, 1983), 99100. Nel suo libro più recente, Farley ritorna sulla questione delle esperienze gay e lesbiche e giudica che “abbiamo davvero forti prove a favore del ruolo di tali relazioni [gay e lesbiche] nel sostenere il benessere umano e guidare gli esseri umani a fiorire. La stessa prova si estende ai contributi che gli individui e i partner danno alle famiglie, alla Chiesa e alla società nel suo complesso”; Farley, Just Love, 287. Il recente documento vaticano su omosessualità e sacerdozio è colpevole anche di ignorare l’esperienza di molti uomini gay. Dopo avere stabilito che gli uomini gay “devono essere accolti con rispetto e sensibilità; ogni segno di ingiusta discriminazione nei loro riguardi dovrebbe essere evitato”, il documento procede affermando ingiustamente che tali uomini “si trovano in una situazione che impedisce loro di relazionarsi in modo appropriato con gli uomini e con le donne”; Congregazione per l’Educazione Cattolica, Istruzioni sui criteri per il discernimento vocazionale con riguardo a persone con tendenze omosessuali, 2; disponibile su www.vatican.va/roman_curia/congregations/. Non è fornita alcuna prova per un’affermazione così radicale; sono ignorate le prove del contrario, ben note a chiunque accolga gay e lesbiche con “rispetto e sensibilità”.
[14] Bernard Ratigan, When Faith and Feelings Conflict, The Tablet, December 10, 2005, 13.
[15] United States Conference of Catholic Bishops, Ministry to Persons with a Homosexual Inclination: Guidelines for Pastoral Care, Origins 24, no. 36 (November 23, 2006): 381.
[16] Lawrence A. Kurdek, What Do We Know about Gay and Lesbian Couples?, Current Directions in Psychological Science 14 (2005): 251; Lawrence A. Kurdek, Differences between Partners from Heterosexual, Gay, and Lesbian Cohabiting Couples, Journal of Marriage and Family 68 (May 2006): 509-28; Lawrence A. Kurdek, Lesbian and Gay Couples, in Lesbian, Gay and Bisexual Identities over the Lifespan, a cura di Anthony R. D’Augelli e Charlotte J. Patterson (New York: Oxford University, 1995), 243-61; e Lawrence A. Kurdek, Are Gay and Lesbian Cohabiting Couples Really Different from Heterosexual Married Couples?, Journal of Marriage and Family 66 (2004), 880-900. Vedi anche Ritch C. Savin-Williams e Kristin G. Esterberg, Lesbian, Gay, and Bisexual Families, in Handbook of Family Diversity, a cura di David H. Demo, Katherine R. Allen, e Mark A. Fine (New York: Oxford University Press, 2000), 207-12; e Philip Blumstein e Pepper Schwartz, American Couples: Money, Work, Sex (New York: Morrow, 1983).
[17] CRP, 7.
[18] Vedi Stephen J. Pope, The Magisterium’s Arguments against `Same-Sex Marriage’: An Ethical Analysis and Critique, TS 65 (2004): 530-65.
[19] Charlotte J. Patterson, Lesbian and Gay Parenting (Washington, DC: APA Press, 1995), www.apa.org/pi/parent.html. Vedi anche Marybeth J. Mattingly e Robert N. Bozick, Children Raised by Same-Sex Couples: Much Ado about Nothing, Conference of the Southern Sociological Society, Atlanta, 2001.
[20] Joan Laird, Lesbian and Gay Families, in Normal Family Processes, a cura di Froma Walsh (New York: Guilford, 1993), 316-17.
[21] APA, Resolution on Sexual Orientation and Marriage, 2004, http://www.apa.org/ releases/gaymarriage_reso.pdf.
[22] Ann Sullivan (a cura di), Issues in Gay and Lesbian Adoption: Proceedings of the Fourth Annual Peirce-Warwick Adoption Symposium (Washington, DC: Child Welfare League of America, 1995), 24-28.
[23] Ibi 41.
[24] GS, 5.
[25] FC, 5.
[26] Per una revisione di questi dati, vedi Osnat Erel e Bonnie Burman, Interrelatedness of Marital Relations and Parent-Child Relations: A Meta-Analytic Review, Psychological Bulletin 118 (1995): 108-32; Paul R. Amato e Alan Booth, A Generation at Risk: Growing Up in an Era of Family Upheaval (Cambridge, MA: Harvard University Press, 1997), 67-83; Stacy J. Rogers e Lynn K. White, Satisfaction with Parenting: The Role of Marital Happiness, Family Structure, and Parents’ Gender, Journal of Marriage and Family 60 (1998): 293-316; e David H. Demo e Martha J. Cox, Families with Young Children: A Review of the Research in the 1990s, Journal of Marriage and Family 62 (2000): 876-900.
[27] John Courtney Murray, We Hold These Truths: Catholic Reflections on the American Experience (New York: Sheed & Ward, 1960), 106.