In Uganda riproposta la legge anti-gay
Articolo di Bernie Farber tratto dal sito del Globe and Mail (Canada), del 13 marzo 2012, liberamente tradotto da Stefano M.
Come canadesi dobbiamo stare attenti a non cullarci nell’autocompiacimento. Dopotutto, noi viviamo in un Paese che celebra la diversità, il pluralismo e l’accettazione. Il Canada è stata una delle prime Nazioni a regolamentare il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Purtroppo molti altri Paesi del mondo non sono così tolleranti.
Nell’ottobre del 2009 il deputato ugandese David Bahati ha presentato la proposta di legge di un deputato esterno al governo riguardo ai 500.000 gay e lesbiche della popolazione dell’Uganda. Denominata legge “Uccidi i gay”.
Questa legge drastica non avrebbe dovuto solo criminalizzare l’omosessualità ma, in alcuni casi, autorizzare la condanna a morte.
Comprensibilmente, c’è stata la condanna di molti Stati occidentali, unitamente alla minaccia di tagliare gli aiuti all’Uganda se queste misure barbariche fossero state approvate. Il Presidente Yoweri Museveni è riuscito a togliere il disegno di legge di Bahati dalla luce dei riflettori, facendo quello che molti governi fanno quando hanno bisogno di guadagnare tempo: ha formato una commissione per valutare le implicazioni di questa norma.
Questo ha messo la legge in secondo piano per due anni. Ma lo scorso ottobre il dibattito è stato riaperto e in febbraio Mr. Bahati ha ripresentato la sua legge.
Durante una recente visita in Canada, l’avvocato ugandese Adrian Jjuuko, capo del team legale per la Civil Society Coalition on Human Rights and Constitutional Law (Coalizione della Società Civile sui Diritti Umani e la Legge Costituzionale), ha detto che la legge di febbraio è identica a quella introdotta nel 2009. Anche se c’è stata qualche discussione su modifiche minori, continua a prevedere la pena di morte per atti omosessuali “aggravati”, e lunghi periodi di detenzione per coloro che non denunciano i loro amici o parenti omosessuali e coloro che sostengono i diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali e transessuali.
La legislazione anti-gay ha un forte sostegno nel parlamento ugandese. Il portavoce del parlamento ha chiesto un rapporto della Commissione entro 30 giorni. L’ultimo rapporto, sul quale Bahati ha avuto molta influenza, è cambiato poco, e c’è una forte preoccupazione che l’attuale Commissione riciclerà semplicemente lo stesso rapporto.
Quali sono le alternative? Museveni può rifiutarsi di firmare il decreto – in ogni caso, senza la sua firma diventerà automaticamente legge dopo 30 giorni. Il Presidente può bloccare il decreto e rimandarlo al Parlamento per un riesame. Se dovesse passare di nuovo, può bloccarlo ancora. Ma se dovesse passare la terza volta diventerebbe automaticamente legge senza la sua firma.
In alternativa, il Presidente può firmare il decreto rendendolo legge.
Sembra che Museveni voglia fare la cosa giusta. Ma l’ultima volta è stato aspramente criticato dai membri del parlamento per aver loro fatto pressioni perché rallentassero i lavori. Oggi il Parlamento ugandese è in un clima nazionalistico e può voler mostrare la sua forza legislativa per battere Museveni e la comunità internazionale, specialmente perché si aspetta entrate significative dal petrolio.
Bisogna agire immediatamente. Nell’ottobre 2010, un popolare giornale ugandese ha pubblicato una lista di nomi di gay, esortando che venissero giustiziati. Nel gennaio 2011, David Kato, un attivista LGBT di Kampala, è stato ucciso durante una brutale aggressione in casa sua.
Come leader dei diritti umani, il Canada ha l’obbligo di parlarne. Come individui che onorano la vita e la dignità umana, abbiamo anche la responsabilità di difendere quelli meno fortunati di noi. Sappiamo che forti reazioni da parte di stimati attivisti per i diritti può avere un effetto benefico e siamo stati in grado di ottenere dei cambiamenti quando abbiamo lavorato insieme per il bene comune. Il silenzio non è un’opzione.
* Bernie Farber è l’ex direttore generale del Congresso Ebraico Canadese.
Testo originale: Gay bashing in Uganda: Silence is not an option