Le parole dimenticate del Catechismo per le persone omosessuali
Articolo di Terence Weldon tratto dal blog Queering the Church (Inghilterra), 16 gennaio 2012, liberamente tradotto da Mauro F.
Molte persone ritengono di conoscere bene la dottrina del Catechismo sull’omosessualità: detta in breve, si può benissimo essere gay, l’importante è non comportarsi come tale (il che ha senso tanto quanto dire: si può benissimo essere mancini, l’importante è non scrivere con la sinistra – ma non è di questo che voglio occuparmi oggi).
“L’omosessualità …. si manifesta in forme molto varie lungo i secoli e nelle differenti culture. La sua genesi psichica rimane in gran parte inspiegabile.
Appoggiandosi sulla Sacra Scrittura, che presenta le relazioni omosessuali come gravi depravazioni, la Tradizione ha sempre dichiarato che «gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati». Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati.” (Catechismo della Chiesa cattolica, parte terza, n.2357)
Queste persone tuttavia non tengono in considerazione un altro paragrafo del Catechismo, altrettanto importante, che è stato troppo spesso ignorato da chi per primo dovrebbe saperne di più (vedi alcuni vescovi cattolici e la burocrazia vaticana). In questo paragrafo si esige che noi veniamo accettati con “rispetto, compassione e delicatezza”.
“Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione, oggettivamente disordinata, costituisce per la maggior parte di loro una prova.
Perciò devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza. A loro riguardo si eviterà ogni marchio di ingiusta discriminazione …” .(Catechismo della Chiesa cattolica, parte terza, n.2358)
Gay e lesbiche cattolici farebbero bene a considerare attentamente quest’ultimo passo, memorizzarlo, e citarlo ogniqualvolta si imbattano in cattolici avversi, “ortotossici”, pronti a citare il passo precedente.
Vi sono buone ragioni per mettere in dubbio le affermazioni e conclusioni del paragrafo più ostile (ciò che viene detto sulle Scritture è tuttora dibattuto da numerosi esegeti, così come lo sono le affermazioni sulla “legge naturale”), ma non vi è nessun motivo, per quel ch’io sappia, di contestare la parte riguardante il rispetto, la compassione e la delicatezza.
Persino laddove si ostenta profonda devozione a tale importante insegnamento cattolico spesso se ne ignorano le piene implicazioni.
La settimana scorsa (ndr 12 gennaio 2012) è apparso su America (sito dell’omonimo settimanale cattolico americano) un lungo e prezioso articolo, ‘Respect, Compassion and Sensitivity‘, di Fr. James Martin SJ, gesuita, in cui il significato e i vari risvolti di questo paragrafo (del Catechismo) vengono analizzati in profondità.
Prima di giungere al punto nodale, egli fa un’apprezzabile osservazione su una parte già più familiare – in cui il Catechismo descrive l’inclinazione omosessuale come una “prova”, in genere considerata intrinseca alla condizione, per la quale il rimedio proposto è sopportarla con forza d’animo, “unire al sacrificio della Croce del Signore le difficoltà che (queste persone) possono incontrare in conseguenza della loro condizione”.
Tuttavia, nell’esperienza di gay e lesbiche, le difficoltà non nascono tanto dall’orientamento in sé quanto dall’ostilità della chiesa e dalle basi etero – normative della società. (Per alcuni l’oppressione si sviluppa anche dall’omofobia interiorizzata, indotta da vessazioni esterne).
“… mentre alcuni gay e lesbiche potrebbero non gradire che la loro situazione sia vista come una “prova”, il Catechismo ricorda ai cattolici che in molte culture contemporanee essere omosessuali è situazione ancora carica di difficoltà.
Accettarsi come persone amate da Dio può costituire per loro una dolorosa lotta. Come risaputo, gli atti di bullismo, i pestaggi e, in casi più rari, l’omicidio, fanno spesso parte della vita di un ragazzo o di una ragazza omosessuali.
Di conseguenza il tasso di suicidi tra i ragazzi gay è notevolmente maggiore che tra i ragazzi eterosessuali.
In altre parti del mondo la situazione è ben peggiore: in alcuni paesi gli atti omosessuali possono condurre al carcere o alla pena capitale” (cit. tratta da ‘Respect, Compassion and Sensitivity‘ di Fr. James Martin SJ).
Il punto fondamentale dell’articolo sta nell’approfondimento del paragrafo sul rispetto, la compassione e la delicatezza, in cui si esplora a cosa condurrebbe la loro autentica osservanza. Condivido qui di seguito alcuni passaggi. (L’articolo completo è sul sito di America)
Rispetto
La parola “rispetto”, ci ricorda fr. James, suggerisce qualcosa di più dell’astenersi dal denigrare gli omosessuali o dal trattarli come cittadini di serie b, qualcosa di più anche della semplice accettazione.
Queste accezioni, a suo parere, costituiscono il minimo accettabile. (E alcuni laici e vescovi cattolici, secondo me, spesso non considerano nemmeno questo minimo). Pertanto, cosa si richiede davvero col “rispetto”?
“Una delle cose principali da fare, quando si rispetta una persona, è mettersi in suo ascolto. Se un bambino interrompe un adulto, o non da retta all’insegnante, gli si dice: “abbi un po’ di rispetto.”
Non si può certo dire di rispettare qualcuno se non ci si interessa minimamente di quanto dice, cosi come delle sue esperienze personali.
Dunque, è necessario che I cattolici ascoltino attentamente le storie di gay e lesbiche per mostrare loro vero rispetto. Ritengo infatti che uno dei motivi alla base dei rapporti esacerbati tra chiesa e mondo LGBT sia proprio l’assenza di ascolto (da entrambe le parti).
Cosa significherebbe per la chiesa ascoltare le vicende di gay e lesbiche? In primo luogo, significherebbe disporsi con animo volenteroso ed onesto a considerare i percorsi di crescita che bambini e adolescenti omosessuali attraversano.
Significherebbe prestare attenzione alle voci di giovani che si sentono perseguitati o vittime del bullismo, nonché prendere seriamente in considerazione la diffusa minaccia dei suicidi tra i ragazzi e le ragazze omosessuali, il che, dopo tutto, è una “questione di vita”.
Significherebbe inoltre ascoltare cosa comporta essere gay e lesbiche adulti, in particolare all’interno di una comunità religiosa. Ciò implicherebbe un altro, e più difficile tipo di ascolto: sforzarsi di comprendere il sentimento diffuso tra gli omosessuali cattolici per cui la propria chiesa non li “rispetta”.
Significherebbe porsi la gravosa domanda: “Perché questo?”
Compassione
Potremmo pensare di conoscere il senso della parola “compassione”, eppure Martin fa notare che, nel suo uso scritto e nell’etimologia, il significato è ben più forte di quanto non appaia nell’uso quotidiano.
Soffrire con i gay significa essere vicino a loro, stare con loro, in solidarietà. Significa appoggiarli visibilmente, combattendo “ogni marchio di ingiusta discriminazione”.
Significa prendere le loro difese quando altri li sbeffeggiano o li sminuiscono, significa avanzare lungo strade che potrebbero condurci oltre le nostre zone di sicurezza, col possibile risultato di essere sbeffeggiati a nostra volta.
Significa schierarsi con loro. D’altro canto, è quello che fece Gesù. Al di là di questo, significa testimoniare quell’amore che Gesù dimostrava verso chi viveva ai margini della società – un amore davvero speciale.
Quasi non vale la pena ricordare che gli strenui sforzi di alcuni vescovi cattolici di opporsi all’uguale diritto al matrimonio sono in diretta contraddizione con l’essere “solidali” con noi.
Delicatezza
Secondo Martin, ciò richiede che la chiesa cattolica, nell’occuparsi di persone omosessuali, riconosca che la nostra esperienza ci ha spesso lasciato ferite e cicatrici.
Questo implica un uscire dai nostri schemi abitudinari per metterci in ascolto e fare attenzione nel presentare la dottrina nel suo complesso.
Vi è uno squilibrio, egli osserva, nel modo in cui gli insegnamenti sull’omosessualità sono spesso presentati in termini di divieto (l’ostilità del paragrafo 2358) ma non di dovere verso i fratelli – per non parlare poi di alcuni discorsi sconsiderati come quello del cardinale George o del Ku Klux Klan.
Ciò che conta non è solo ciò che viene detto ma il come viene recepito.
Questo modo di procedere mi ha sempre lasciato di stucco.
Come se la prima cosa che un prete debba dire ad un ritiro per coppie di sposi cattolici non sia “Benvenuti” ma “niente sesso extra-matrimoniale!” O come se un vescovo invitasse a pranzo un gruppo di capitani di industria cattolici salutandoli con: “Niente salari disonesti!”
O un gruppo di fisici cattolici a cui venisse detto all’inizio di una conferenza: “Niente aborti!”.
Gli omosessuali hanno spesso la percezione che quanto la chiesa afferma su di loro sia solo una lista di divieti. Questo perché a volte è tutto ciò che sentono.
Quale risposta da noi omosessuali cattolici?
L’articolo di Fr. Martin è indirizzato alla chiesa nel suo complesso e suggerisce con che spirito i cattolici dovrebbero disporsi verso gay e lesbiche.
Ma per coloro di noi che sono gay e lesbiche, quali lezioni si possono trarre, in che modo si dovrebbe rispondere alla Chiesa? Queste sono le conclusioni che porto con me.
In primo luogo, ci viene ricordato che l’assenza di ascolto (ascolto attento) è data da entrambe le parti. Come fatto notare in questo sito, le reazioni isteriche seguite alle osservazioni iniziali del card.
George hanno costituito in gran parte una reazione eccessiva, in quanto si ignorava il fatto che lui si riferisse ad “alcuni” attivisti gay, e non a “tutti”.
Altrettanto si può dire sul discorso del Papa della scorsa settimana, in cui le reazioni e i commenti si basavano su un’inaccurata e fuorviante testata del Reuters, e non su quanto egli ha realmente detto riguardo sui matrimoni gay (vale a dire, proprio nulla)
Ritengo inoltre che le parole “rispetto, compassione, delicatezza” siano applicabili anche all’interno della nostra comunità nel momento in cui interagiamo tra noi.
Dell’assenza di tale applicazione abbiamo avuto un esempio qui nel sito la scorsa settimana, per l’uso di una parola offensiva (spero in seguito di poter riflettere più a fondo su questo).
Le osservazioni di Martin sul card. George possono essere riferite anche alla nostra comunità religiosa queer e ad altri gruppi LGBT:
“Le parole contano. Le parole possono ferire. Le parole possono anche risanare”.
E’ senz’altro vero che chi mantiene posizioni di prestigio nella Chiesa necessiti di “ascoltare” le voci dei cattolici LGBT. Ma dove andare a trovare quelle voci?
La percezione e persino l’esperienza diretta dell’ostilità, per numerose persone della nostra comunità, sono tanto forti e dolorose che esse o si tengono del tutto fuori dalla vita sacramentale della chiesa, o se vi prendono parte, lo fanno in modo assai segreto, timorose di svelare la propria sessualità.
Sebbene apertamente dichiarati negli altri ambiti di vita, tendono a “segregarsi” in ambito ecclesiale.
Tale segregazione, tuttavia, si rivela negativa a livello di benessere emozionale o spirituale, ed è anche in contrasto con I versetti delle Scritture citati verso la conclusione della lettera circolare sulla cura pastorale delle persone omosessuali: “dite la Verità con amore”, e “la Verità vi renderà liberi”.
Non è facile, ma è necessario che i cattolici LGBT trovino il coraggio di dichiararsi all’interno della Chiesa e parlare con franchezza della loro vita, cosicché altri possano trovare quelle voci alle quali dovrebbero dare ascolto.
Gli invisibili transessuali
Lungo il testo ho fatto riferimento solo a gay e lesbiche, e non ai trans, poiché l’articolo di partenza si fondava sui passi del Catechismo, che parla di sessualità, non di genere.
Ritengo tuttavia che quanto Martin ci insegna su “rispetto, compassione e delicatezza” si applica egualmente alla comunità transessuale; ed è importante che anche noi lo applichiamo nell’interagire l’uno con l’altro.
Nel tentare di trasformare questo sito da un palchetto da comizi in un più ampio portale web, mi auguro che questo ci dia l’opportunità di ascoltarci l’un l’altro, e di aiutarci quindi a crescere.
Ciò sarà possibile solo mettendo in atto, come il Catechismo richiede, il paradigma del rispetto, della compassione e della delicatezza.
Titolo originale: Homosexual and the Catechism