Rompiamo il silenzio per comprendere i migranti
Articolo di Dacia Maraini pubblicato sul giornale Corrierre della Sera il 26 luglio 2018
Padre Alex Zanotelli ci invita a sottoscrivere un appello che ha chiamato «Rompiamo il silenzio sull’Africa». La conoscenza, dice Zanotelli è alla base di qualsiasi scelta consapevole. Non si possono prendere decisioni su un popolo in fuga senza sapere da cosa scappa, come scappa e come pensa di disporre del suo futuro. È l’ascolto che manca, il ragionamento, la voglia di capire e rimediare con umanità e consapevolezza.
Padre Zanotelli, che in Africa ci vive da anni, cerca di farci ragionare e rammentare. Ricordiamo prima di tutto che i paesi africani sono stati depredati dalle grandi nazioni europee delle loro ricchissime materie prime senza che nessuno (salvo un poco gli inglesi) abbia pensato di costruire in cambio strade, ospedali, scuole, una rete di sviluppo possibile. Troppo spesso si sono portate via grandi ricchezze lasciando solo miseria e inquinamento. E ricordiamo, quando li accusiamo di scappare da guerre micidiali, che «solo lo scorso anno l’Italia ha esportato in Africa armi per un valore di 14 miliardi di euro».
Se, come dice padre Zanotelli, crudeltà porta crudeltà, violenza produce violenza, e le armi semplici approdano ad armi sempre più sofisticate e cieche, si tratta oggi di fare un enorme sforzo comune di chiarezza, di razionalità, per costruire una pace della convivenza e della ragionevolezza, facendo lavorare l’intelligenza politica e una visione a lunga scadenza. Ma certo qui entriamo in un dilemma antico a cui non è facile dare risposta: come affrontare un popolo che chiede il diritto di sopravvivere emigrando in terre altrui?
Per fare lavorare l’immaginazione basterebbe leggere alcune testimonianze di nostri connazionali che fino alla fine dell’ultima guerra si sono trovati in condizioni molto simili di povertà, di paura, di assenza di futuro, per capire che chi non ha speranze in casa propria, emigra, anche a rischio della vita. E continuerà a farlo, nonostante tutti i divieti. Quali le alternative? La ragione ci dice che chiudere una frontiera e spingere le folle in arrivo verso il Paese vicino non è una soluzione ragionevole e a lungo andare porterà a soluzioni violente.
La ragione ci dice che i possibili rimedi possono essere solo due: o una integrazione sistematica e ben governata o ricreare situazioni di vivibilità nei Paesi devastati dalla guerra o dalle carestie, non dando soldi ai governanti corrotti ma investendo nella pace (l’Onu può farlo e già lo fa in qualche zona), costruendo strade, ospedali, scuole, case.
Contro ogni ragionevolezza invece ancora troppi, di fronte ai disperati che bussano alla porta del nostro Paese, credono che la sola cosa da fare sia sprangare ogni ingresso e tappare le orecchie alle grida di aiuto di chi sta affogando in mare. Se poi qualcuno più ardimentoso pensa di entrare per forza, si grida al diritto di prendere le armi e sparare: questa è casa nostra e nessuno può metterci piede! La cosa più incredibile è che proprio coloro che si sentono superiori perché praticano una religione che predica l’amore per il prossimo, siano i più feroci nel ribadire la legittimità di colpire chi entra nel proprio giardino. A questo punto mi chiedo, ma Cristo avrebbe mai detto: «Prima gli italiani»? O «prima i cristiani! gli altri intanto possono crepare»?
«È inaccettabile il silenzio sulla drammatica situazione nel Sud Sudan (il più giovane Stato dell’Africa) ingarbugliato in una paurosa guerra civile che ha già causato almeno trecentomila morti e milioni di persone in fuga», continua Padre Alex.
«È inaccettabile il silenzio sul Sudan, retto da un regime dittatoriale in guerra contro il popolo sui monti del Kordofan, i Nuba, il popolo martire dell’Africa e contro le etnie del Darfur.
È inaccettabile il silenzio sulla Somalia in guerra civile da oltre trent’anni con milioni di rifugiati interni ed esterni.
È inaccettabile il silenzio sull’Eritrea, retta da uno dei regimi più oppressivi al mondo, con centinaia di migliaia di giovani in fuga.
È inaccettabile il silenzio sul Centrafrica che continua ad essere dilaniato da una guerra civile che non sembra finire mai.
È inaccettabile il silenzio sulla grave situazione della zona saheliana dal Ciad al Mali dove i potenti gruppi jihadisti stanno preparandosi a costituire un nuovo Califfato dell’Africa nera.
È inaccettabile il silenzio sulla situazione caotica in Libia dov’è in atto uno scontro di tutti contro tutti, causato da quella nostra maledetta guerra contro Gheddafi.
È inaccettabile il silenzio su quanto avviene nel cuore dell’Africa, soprattutto in Congo, da dove arrivano i nostri minerali più preziosi.
È inaccettabile il silenzio su trenta milioni di persone a rischio fame in Etiopia, Somalia, Sud Sudan, Nord del Kenya e attorno al Lago Ciad, la peggior crisi alimentare degli ultimi 50 anni secondo l’Onu.
È inaccettabile il silenzio sui cambiamenti climatici in Africa che rischia a fine secolo di avere tre quarti del suo territorio non abitabile.
È inaccettabile il silenzio sulla vendita italiana di armi pesanti e leggere a questi Paesi che non fanno che incrementare guerre sempre più feroci da cui sono costretti a fuggire milioni di profughi.
Non conoscendo tutto questo è chiaro che il popolo italiano non può capire perché così tanta gente stia fuggendo dalle loro terre rischiando la propria vita per arrivare da noi».
Da ricordare fra l’altro che la maggior parte dei fuggitivi invadono i Paesi africani vicini. Non tutti vogliono venire in Europa. E, per inciso: l’Italia, fra i Paesi europei, è quello che ne ospita di meno. Allora perché la paura si è impadronita dell’animo degli italiani, tanto da farli prendere decisioni condivise da un dittatore sovranista reazionario come Erdogan? C’è qualcuno che punta su questa paura per prendere in mano le leve del potere?
Certamente qualcosa di autentico in questa paura c’è e non va presa alla leggera. Quando la gente si sente minacciata nella propria identità, non riesce a ragionare e si affida all’uomo forte, dimenticando i principi sacri della convivenza. Ma veramente esiste questo pericolo di perdita di identità? O il nostro concetto di identità è diventato talmente labile da fare pensare che basti un alito di vento straniero per mandarlo in frantumi? Veramente siamo convinti che un 10% di stranieri possa cancellare le nostre conquiste, mettere in dubbio la nostra cultura cristiana, buttare per aria la nostra Costituzione e cancellare quella saggia idea di separazione fra Stato e Chiesa per cui abbiamo combattuto per secoli?
William Reich scrive che in momenti di incertezza e paura, gli esseri umani regrediscono: tirano fuori lo spirito del branco che chiede un capo unico, aggressivo e pugnace, non importa se immorale, prepotente ed egocentrico. La storia insegna che quel capo branco li porterà inevitabilmente a una guerra rovinosa. La democrazia si sa, è una meravigliosa conquista, ma fragile e pericolosamente in bilico fra risse e lotte di poteri. In tempi di crisi sembra diventare ancora più fragile e addirittura inutile.
Eppure, nella sua fragilità, nelle sue difficili lotte fra maggioranze e minoranze, è la sola capace di insegnarci l’arte della convivenza e della progettualità, la sola capace di assicurare pace e leggi che proteggano i più deboli e assicurino lo sviluppo, la sola che si sollevi sopra la legge animalesca del più forte che domina e fagocita il più debole. Non vale la pena di difenderla all’interno di una Unione Europea, contro ogni tentazione di sovranismo e autarchia?