Saggia o guerriera? Regina o straniera? Quattordici tipologie di donne nella Bibbia
Articolo di Roberto Righetto pubblicato su Avvenire del 9 Ottobre 2018
Insieme alla sorella Linda il monaco e teologo tedesco scrive un libro per dire come nelle Scritture la versatilità femminile sia centrale e promossa nella sua pienezza.
Saggia o guerriera? Artista o straniera? Regina o selvaggia? Sono alcune delle tipologie di donne che, prendendo spunto dalla Bibbia, il noto teologo tedesco Anselm Grün ha scelto di proporre nel suo ultimo libro, scritto assieme alla sorella Linda Jarosch.
Regina e selvaggia. Donna vivi quello che sei! è il titolo del volume (San Paolo, pagine 190, euro 12,00), a indicare due degli archetipi della femminilità che esprimono efficacemente le caratteristiche fondamentali della donna, di colei che vuole avere un ruolo nella società e al contempo essere libera e non farsi ingabbiare in nessuno schema. Come si capisce affrontando la lettura del volume, in realtà i due autori non hanno voluto formulare degli aut aut, né inseguire mode o tendenze, ma delineare alcune immagini dell’essere donna oggi al fine di aiutare le donne stesse a comprendere la loro essenza, mettendole in contatto col potenziale che già si trova nella loro anima.
Il libro è nato da un confronto fra i due: il primo è un monaco benedettino e notissimo autore, non solo in Germania, ma in tutto il mondo, di opere di spiritualità che sono divenute veri e propri best seller; la seconda è una consulente aziendale che tiene corsi e seminari presso varie imprese. E il libro stesso si dipana con le loro riflessioni intervallate, tenendo conto delle acquisizioni portate negli ultimi decenni dal femminismo, ma anche senza rigettare le differenze fra uomo e donna, che portano pienezza e ricchezza.
Sono 14 le sfumature della femminilità che Anselm e Linda presentano e che incarnano in figure precise della Bibbia. La regina è ben rappresentata da Ester, la ragazza ebrea che riesce a convincere il re dei Persiani Artaserse a prenderla in sposa e a vincere gli intrighi del dignitario reale Aman, salvando il suo popolo dalla distruzione. La sua vicenda ha ispirato i poeti Max Brod e Fritz Hochwalder, che hanno trasposto la storia nel Novecento segnato dalla persecuzione degli ebrei. La regina qui incarna in ogni donna il desiderio di grandezza, il rispetto della sua dignità e la forza che le fa vincere ogni disistima di sé. Fino all’accettazione del proprio corpo anche se non corrisponde ai modelli vincenti: «Criticare il corpo degli altri – annota al riguardo Linda Jarosch – è fra le offese più profonde che si possono fare. Col nostro corpo esprimiamo anche la nostra sensibilità più intima, i nostri sentimenti, la storia della nostra vita». Essere regina significa avere grandezza interiore e consapevolezza della propria unicità, essere in armonia con se stessa e poter così irradiare energia positiva.
L’immagine della selvaggia corrisponde a Tamar la cananea, accolta dall’evangelista Matteo nell’albero genealogico di Gesù. Il racconto biblico in questi caso rinuncia a ogni intento moralizzante e descrive i puri fatti facendo emergere la forza di Tamar che non si lascia intrappolare e in nome della vita si mette in gioco per ottenere giustizia. Thomas Mann l’esalta nel romanzo Giuseppe e i suoi fratelli e la chiama «la decisa»: colei che con l’aiuto della sua femminilità non vuole essere ripudiata e, rimasta vedova, vuole continuare a dare la vita. Così accadrà e diverrà madre di due gemelli. L’archetipo della selvaggia qui rappresenta la libertà: Tamar di fronte ai soprusi del suocero non sopporta passivamente ma prende l’iniziativa e alla fine i fatti le danno ragione. Essere selvaggia significa avere fiducia più nella propria voce interiore che nelle voci provenienti dall’esterno, saper lottare per i propri diritti. «La selvaggia – scrive ancora Linda – percepisce il proprio fuoco interiore, sa di avere dentro di sé qualcosa di indomito. Ma la sua forza è sempre al servizio della vita e non vive la propria femminilità contro l’uomo». Conosce bene i propri lati distruttivi, l’odio, l’ira, la malignità, ma sa superarli.
Il volume passa in rassegna altre 12 tipologie, fra cui Debora la giudice e Anna la saggia, Giuditta la guerriera e Miriam la profetessa, sino alle sorelle Marta e Maria, «l’ospite e l’artista». Senza dimenticare Eva, la madre, l’archetipo femminile per eccellenza di fronte al quale molte donne oggi, ad esempio le single, reagiscono in modo allergico perché hanno paura di restare prigioniere di un’immagine che non sentono propria.
Grün spiega bene come in realtà anche le donne single possono ispirarsi al modello di Eva: «Il modo in cui si comportano sul lavoro, in cui trattano le persone, può avere qualcosa di materno ed essere al servizio della vita». Così Maria, la madre di Gesù, uscendo da cliché eccessivamente dolciastri, raffigura colei che trasforma la vita. La sua immagine esemplare di madre che protegge il figlio e non evita la sofferenza, ma la porta e la trasforma, può condurre le donne a riconoscere le propria capacità di trasformazione, per mettere in movimento molti processi di cambiamento: nei figli, nel partner, nell’azienda, nella società, nella politica e nella Chiesa. E poi Maria Maddalena,«colei che ama con passione»: Grün delinea il suo personaggio guardandosi bene dal cadere nell’errore che spesso l’ha identificata con la peccatrice che lava i piedi a Gesù con i capelli. Lei invece è stata sanata dal demonio e diviene una delle più fedeli discepole, tanto da essere la prima a incontrarlo dopo la resurrezione. Qui è la donna che ama e che illumina gli altri.
Ancora, Agar, la donna abbandonata ma che riesce a curare le proprie ferite e divenire madre, ritrovando la sua dignità. E poi la moglie di Abramo e rivale di Agar, Sara, che qui incarna «colei che ride»: la donna che non con superficialità ma con leggerezza e cordialità sa sdrammatizzare le situazioni. Mentre Debora, la giudice, diventa l’emblema delle donne che assumono un ruolo di responsabilità nella vita sociale e politica. «La donna – spiega Grün dirige in modo diverso rispetto all’uomo. Se quest’ultimo pensa solo al risultato, a lei premono anche le relazioni».
Rut la straniera, Lidia la sacerdotessa e Miriam la profetessa consentono di evidenziare lo scarso ruolo che ancor oggi, nonostante gli sforzi compiuti sotto Giovanni Paolo II e Francesco, riveste la donna nella Chiesa, che «è stata per lungo tempo – annota il monaco – una Chiesa di uomini nonostante siano per lo più le donne ad andare in chiesa e a impegnarsi in modo volontario». A sua volta Jarosch, quasi ripetendo quanto scritto da Lucetta Scaraffia sull’ultimo numero di ‘Donne Chiesa mondo’, supplemento mensile dell’Osservatore romano, non può fare a meno di sottolineare come «sempre più donne avvertono di non riuscire ad andare avanti nella Chiesa col proprio essere donna, di doversi adeguare totalmente al maschile», mentre «non vorrebbero togliere nulla al maschile, ma aggiungervi il femminile per vivere un di più nella comunione».
Giustamente il volume ricorda quanto scritto sulla questione dalla filosofa tedesca, discepola di Romano Guardini, Hanna-Barbara Gerl, che a Bassano il prossimo 9 novembre riceverà il premio per la Cultura cattolica. Citando il maestro, ricorda che quando fu proclamato il dogma dell’Assunzione di Maria al cielo, nel 1950, nel suo diario lo definì «un appello al potere della femminilità santa», aggiungendo: «Il mondo va in rovina nel maschile, letteralmente. Qui la Chiesa risponde al bisogno più profondo dell’umanità oggi».