Samaritano chi è il tuo possimo? (Luca 10:25-37)
Testo pubblicato su Whosoever Magazine (Stati Uniti), Marzo/Aprile 1998, libera tradotta da Giuseppe Carletti
Chi è il mio prossimo? Questa è la domanda che un dottore della legge ebraica ha posto nella lettura del Vangelo (Luca 10:25-37). Oggi abbiamo bisogno di scommettere le nostre attitudini su chi sia la persona che rappresenti il nostro prossimo e su quale sia la risposta cristiana da dare a questa persona.Si sa, è semplice amare qualcuno che sia come noi, che ci piaccia e che confermi il nostro valore. Abbiamo diverse ragioni per negare il nostro amore cristiano e la compassione verso coloro che “non li meritano”:
– A qualcuno che ci ha fatto del male. Sembra logico e giustificato;
– a qualcuno che la pensa diversamente da noi;
– o se non vogliamo impegnarci nell’aiutare qualcun altro.
Abbiamo tutta una serie di ragioni per definire e limitare chi sia il nostro prossimo e per determinare che tipo di risposta questi meriti. Ma l’amore, l’amore divino, allarga le nostre vedute, allarga le nostre risposte ed aumenta il nostro impegno nella vita Cristiana.
Chi è il mio prossimo? I fisici affermano che ci sia un’interazione nella materia, tuttavia modesta e a solo livello molecolare, se ad esempio si fa forza – per un istante – su un blocco d’argento con un blocco d’oro per frantumarlo. Vi è un lieve scambio di molecole d’argento rilasciate sulla barra d’oro e di molecole d’oro rilasciate sulla barra d’argento.
Tutto nella vita è in rapporto in maniera simile. Non viviamo affatto nel vuoto. Coloro con i quali entriamo in contatto ci influenzano e noi, di conseguenza, li influenziamo. E’ mia ferma convinzione, avendolo riscontrato più volte nella mia vita, che Dio manda nelle nostre vite persone che hanno bisogno del nostro aiuto e persone che siano in grado di aiutarci. Chi, dunque, è il mio prossimo?
Rivediamo la vicenda narrata nel Vangelo. Un dottore della legge si alzò in piedi per esaminare Gesù. Gli pone una domanda filosofica “cosa devo fare per ottenere la vita eterna?”
Ma Gesù fece qualcosa che ogni maestro avrebbe fatto; rispose con una domanda, “Cosa vi è scritto nella Legge, in che modo tu la leggi?” Gesù sapeva che quest’uomo aveva già la risposta.
Il dottore rispose correttamente; “Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza, con tutta la tua mente ed ama il prossimo tuo come te stesso”. Egli comprese correttamente che la legge richiede totale devozione a Dio e amore verso il prossimo.
Nell’ultima parte c’è un interessante connotazione sull’amore verso il prossimo intendendo che si deve amare l’altro come se stessi. Chi vorrebbe mai amare gli altri come amiamo noi stessi? Dopo tutto, ci faremmo mai del male intenzionalmente? Ci rinnegheremmo da soli? Non va poi fatto a chiunque? Con i nostri amici più stretti, potrebbe essere possibile seguire la legge ed amare il prossimo come noi stessi.
Ma con certe persone … ad esempio con gli omofobi che vivono nella porta accanto o la destra religiosa che è proprio davanti a noi non è proprio possibile? Gesù rispondeva dicendo,”Hai ragione. Fallo e vivi.”
Il dottore però aveva un’altra domanda per il Maestro. Chiede, ”Chi è il mio prossimo?” Voleva sapere o voleva soltanto limitare l’estensione del potere della legge e di conseguenza limitare le sue responsabilità? Noi, purtroppo, facciamo lo stesso. Chi è il mio prossimo? La nostra idea di chi sia il nostro prossimo è senz’altro definita con chi vogliamo sia il nostro prossimo. Di certo non vogliamo determinate persone nella nostra vita come nostro prossimo.
Gesù risponde al dottore con una parabola, una storia con un significato ben preciso. Guardiamo la scena in cui si svolge questa storia. La strada da Gerusalemme a Gerico era notoriamente pericolosa. Gerusalemme sorge a 2.300 piedi sopra il livello del mare; il Mar Nero, vicino il quale sorgeva Gerico, è a 1.300 piedi sotto il livello del mare. Quindi in qualche modo a meno di 20 miglia questa strada si abbassa di 3.600 piedi. Questa strada era stretta, rocciosa e con curve improvvise rendendola il territorio di caccia ideale per tutti i tipi di furfanti e ladri.
Persino nel quinto secolo Gerolamo la chiama “la Via Rossa di Sangue”. Così come nel diciannovesimo secolo era necessario pagare del denaro, per la sicurezza, agli sceicchi del posto prima di attraversarla. Così quando Gesù raccontò questa storia, stava raccontando qualcosa che accadeva spesso sulla strada da Gerusalemme a Gerico. Guardiamo i personaggi di questa parabola.
Prima il viaggiatore. La nostra immediata impressione potrebbe essere che questi abbia provocato questo evento per via del suo comportamento imprudente. Chiunque di buon senso non si sarebbe messo in viaggio da solo, ma piuttosto si sarebbe nascosto al sicuro tra la folla, ma lui non lo fece, quindi ottenne ciò che meritava?
C’era il prete. Non ci aspetteremmo normalmente che una persona al servizio di Dio sia compassionevole, che guardi ai bisogni di chiunque e di ciascuno per essere in qualche modo più santo del resto di noi altri, meri mortali, che non siamo l’emblema di uno stinco di santo?
Ed anche questo prete si ferma abbastanza a guardare il samaritano ferito ma poi continua per la sua strada. Secondo la legge, se il prete avesse toccato un uomo morto sarebbe stato impuro per sette giorni.
Non poteva dire di riuscire a vedere se l’uomo fosse morto o no. E piuttosto di rischiare di perdere il suo turno di servizio al Tempio sceglie il Tempio e non la carità.
Il Levita, un uomo incaricato di prendersi cura dei dettagli del servizio al Tempio, rispose allo stesso modo come fece il prete. I banditi avevano l’abitudine di usare delle esche. Uno di loro avrebbe potuto recitare la parte dell’uomo ferito e quando qualche ingenuo viaggiatore si fosse fermato gli altri lo avrebbero assalito e schiacciato.
Il motto del Levita era “la sicurezza prima di tutto”. Non avrebbe corso nessun rischio per aiutare qualcun altro.
Poi c’era il Samaritano. Al tempo di Gesù gli ascoltatori della storia avrebbero immediatamente indicato il Samaritano come un tipo cattivo. A causa di questa storia abbiamo santificato la reputazione del Samaritano con l’aggettivo “buono” e così la nostra impressione emotiva del Samaritano non è quella che c’era al tempo di Gesù.
Gli Ebrei disprezzavano i Samaritani, li definivano con appellativi negativi, evitavano di associarsi con loro, credevano che fossero eretici per virtù, ovvero per il loro non essere di puro sangue ebreo.
I Samaritani erano nati dal connubio tra gli Ebrei e le popolazioni locali. Quindi non erano razzialmente puri. Se si voleva apostrofare qualcuno lo si chiamava Samaritano.
Ora, si può pensare a qualcuno nella nostra società che è disprezzato, guardato da capo a piedi e non incluso nella società con i pieni diritti e i privilegi degli altri cittadini solo a causa del modo in cui è nato? E così entrambi sia il prete che il Levita passano oltre il viaggiatore ferito e moribondo, ma il Samaritano, colui che sembra quasi un villano piuttosto che l’eroe di questa storia, si ferma e prova pietà.
Le parole “prova pietà” implicano un profondo sentimento di simpatia, una forte impressione che è in contrasto non solo con l’ostilità tra Ebrei e Samaritani. Il Samaritano probabilmente utilizzò dei pezzi della sua veste per farne delle bende, usò il suo vino come disinfettante ed il suo olio come lozione lenitiva. Mise l’uomo “sul suo asino” e pagò l’oste di tasca sua, con la promessa che avrebbe pagato di più qualora fosse stato necessario.
Notiamo due cose del Samaritano:
– Le sue intenzioni sono buone! Chiaramente l’oste era propenso a credergli.
– Era solo e propenso ad aiutare.
E’ il credo che seguiamo o la vita che viviamo la base sulla quale verremo giudicati? Chi è il mio prossimo?
E’ da notare che il dottore (della legge) non riusciva a dire la parola “Samaritano”. Il pregiudizio è una terribile sciagura. Ma la risposta di Gesù alla domanda tocca tre aspetti:
– Bisogna prestare aiuto persino se crediamo che una persona abbia portato i suoi problemi sopra se stesso;
– Il nostro aiuto deve essere tanto grande quanto l’amore di Dio;
– L’aiuto deve consistere in qualcosa di più che provare solo dispiacere. La compassione, ad essere realisti, deve tradursi in azione.
Bello, dirai. Ma non posso guardarmi attorno ad aiutare chiunque io veda abbia bisogno di me. Non ne ho le risorse. Qui c’è la parte buona. Dio ci ha dato il dono di aiutare e i mezzi per aiutare quando siamo guidati dallo Spirito Santo.
Questo aiuto deve essere tanto semplice quanto piacevole verso una persona che non ci piace. Si sa quanto l’infelicità possa essere contagiosa. Per la nostra società vedere la verità dei cristiani gay, lesbiche, bisex e trans (GLBT) è qualcosa di essenziale. Sottoponiamo ad una verifica prettamente teorica questo messaggio di compassione e gratitudine.
Diciamo che un uomo che è stato sotto gli occhi di tutti, è stato più di una volta mercante d’odio e ha promosso attitudini che non sono solo meschine per la nostra società, ma anche per ogni persona razionale e pensante cada in miseria – nasconderò il suo nome, si tratta del pastore omofobo Ted Kelps* – e tu, da solo, sei l’unico che possa aiutarlo a sopravvivere.
Il discorso umano sarebbe che si raccoglie quello che si semina, perchè si ha quello che a ciascuno spetta. Ma la grazia di Dio, l’amore di Dio ci richiede di più. Dentro di noi non possiamo amare coloro che ci odiano, ma in ultima analisi è l’amore di Dio che ha così cambiato le nostre vite, così rivoluzionato tanto il nostro essere che abbiamo trovato, nel profondo nella nostra anima, l’abilità di essere ciò che Dio ci chiama ad essere.
E’ la grazia di Dio che ci fortifica ad essere Buoni Samaritani in un mondo ostile.
– Per il dottore della legge, l’uomo ferito era un argomento di cui discutere.
– Per i ladri, l’uomo ferito era qualcuno da usare e sfruttare.
– Per gli uomini religiosi, l’uomo ferito era un problema da evitare.
– Per l’oste, l’uomo ferito era un cliente da servire per essere pagati.
– Per il Samaritano, l’uomo ferito era un essere umano di cui valeva la pena prendersi cura ed amare.
– Per Gesù, valeva la pena morire per ognuno di loro ed ognuno di noi.
Gesù ci ha chiamati in relazione così che le nostre vite riflettano la grazia divina verso gli altri, persino verso coloro che troviamo brutti, non amati, irragionevoli.
La grazia di Dio, il potere di Dio, il cambiamento di vita, la grazia rivoluzionaria prende il nostro spirito e lo rivoluziona. Noi da soli non possiamo fare quello che Gesù disse al dottore di fare – “fallo e vivi” – senza prima esserci appropriati del potere trasformante della grazia di Dio.
Preghiamo per chiedere a Dio la grazia di toccare i nostri cuori per aiutarci a riconoscere come nostro prossimo coloro che Dio metterà sul nostro cammino. Ed essi sapranno che siamo Cristiani per il nostro amore.
* Fred Phelps è un pastore americano omofobo che negli Stati Uniti, con i suoi seguaci, picchetta con cartelli omofobi i funerali gay, i gay pride, etc…
Testo originale: Neighbors