Sant’Ambrogio, Teodosio e l’auriga gay
Riflessioni di Gianni Geraci*
É difficile, a distanza di più di millecinquecento anni, giudicare alla luce dei valori che abbiamo, una figura fatta di luci e di ombre come quella di sant’Ambrogio. É difficile anche perché, in alcuni episodi di cui fu protagonista non è chiaro stabilire il ruolo da lui avuto.
Ambrogio, Priscilliano e Santiago de Compostela
Un esempio è il ruolo che ebbe in rapporto al martirio del vescovo Priscilliano di Avila, il primo eretico affidato dalla Chiesa cattolica al potere civile e, per questo, giustiziato nel 385. Priscilliano predicava un forte ascetismo e, soprattutto, era ostile al crescente intreccio di interessi che si stava affermando tra le autorità ecclesiastiche e il potere imperiale.
Fu accusato anche di professare idee eterodosse sulla natura di Gesù e sulla teologia trinitaria, nonché di praticare la magia. Contro di lui si scagliarono alcuni vescovi spagnoli, guidati dai Idazio di Merida, prima attraverso la convocazione di un concilio a Saragozza, poi con una serie di lettere tese a ottenere la condanna del rivale. Di certo quella scritta ad Ambrogio non fu secondaria, perché subito dopo l’imperatore Graziano, su cui Ambrogio aveva un forte ascendente, condannò Prisciliano, lo sollevò dalla sede episcopale di Avila e lo esiliò.
Sta di fatto che l’ostilità nei confronti di Priscilliano di due vescovi importanti come Ambrogio, vescovo di Milano e di Damaso, papa e vescovo di Roma, permisero a Idazio di scatenare nei confronti del rivale tutta la sua ostilità, motivata anche dal crescente successo che avevano nella penisola iberica le idee di Priscilliano, non tanto per le loro presunte caratteristiche eterodosse, ma per la loro aderenza alla semplicità del messaggio evangelico e per il fatto che denunciavano con forza la crescente commistione tra potere politico e autorità ecclesiastica.
Riuscì infatti ad ottenere da Magno Clemente Massimo che, nel frattempo si era insediato a Treviri come Cesare delle Gallie, la convocazione del rivale presso la corte imperiale e la sua decapitazione. A nulla era valso il tentativo di Martino, vescovo di Tours, di scagionare colui che, a suo avviso, non era altro che la vittima di un complotto portato avanti da vescovi collusi con il potere temporale.
Dopo l’esecuzione di Priscilliano furono tante le voci che si levarono per condannare quel delitto. Tra queste ci fu anche quella di Ambrogio (che a Martino di Tours, tra l’altro, era molto legato) che, però, qualche responsabilità ce l’aveva, visto che non poteva di certo essere estraneo alla condanna di Priscilliano fatta qualche tempo prima, da parte di Graziano.
Prima di proseguire vale la pena seguire brevemente la vicenda di Priscilliano il cui corpo, secondo una tradizione alternativa a quella ufficiale, sarebbe quello che viene venerato come corpo di San Giacomo Maggiore nel santuario di Santiago de Compostela. Secondo questa tradizione si deve proprio la presenza delle reliquie di un vescovo molto amato come Priscilliano il grande successo che ebbe Santiago de Compostela come meta di pellegrinaggi da tutta la penisola iberica fin dai primi secoli del Medioevo.
Ambrogio, Giustina e la libertà religiosa
Uno degli elementi che possono spiegare il distacco con cui Ambrogio trattò il povero Priscilliano è senz’altro la diversa visione che avevano dei rapporti tra potere politico e autorità ecclesiastica. Predicatore convinto della semplicità evangelica e della rinuncia a qualunque influenza sulle cose mondane, Priscilliano non poteva trovare l’approvazione di Ambrogio che, invece, influenzò la curia imperiale in più di una circostanza.
Dal suo punto di vista uno dei compiti del potere politico era infatti quello di appoggiare le istanze della chiesa contro le religioni non cristiane e contro le eresie. D’altra parte son più di uno gli episodi che attestano questo suo punto di vista fortemente teocratico.
Il primo è lo scontro con l’imperatrice Giustina che, essendo vicina all’arianesimo, in nome del pluralismo religioso, dopo la morte dell’imperatore Graziano, in quanto tutrice del nuovo imperatore Valentiniano II, intimò ad Ambrogio di cedere agli ariani una delle basiliche della città di Milano.
Ambrogio, che non era d’accordo, si barricò con i fedeli nella basilica portiana (che i più identificano con l’attuale basilica di San Vittore al Corpo di Milano) e, a rischio di far scoppiare una vera e propria guerra civile, non cedette fino a quando la stessa Giustina non si arrese a quella che, dal nostro punto di vista, di figli del XX secolo, sembra una vera e propria prepotenza.
Il secondo lo vede protagonista di una controversia contro suo cugino, il senatore Quinto Aurelio Simmaco che, a nome del Senato romano (dove la presenza dei pagani era ancora importante), aveva chiesto il ritorno nella curia senatoriale della statua raffigurante la Dea Vittoria che era stata rimossa dall’imperatore Graziano. Ambrogio, in nome della superiorità del cristianesimo su tutte le altre religioni considerava illegittima qualunque forma di culto che non fosse quella cristiana e, sulla base di queste premesse, tanto fece e tanto scrisse che, alla fine, l’imperatore Teodosio non ascoltò le istanze del Senato.
Il terzo è senz’altro il più lontano dalla nostra sensibilità e riguarda l’atteggiamento che Ambrogio tenne dopo che un gruppo di cristiani aveva dato fuoco alla sinagoga di Callinico, una città della Siria.
Teodosio, giustamente, decise di punire i responsabili e di obbligare il vescovo della città, accusato di aver istigato i facinorosi che avevano scatenato questo progrom ante litteram, di ricostruire l’edificio religioso a sue spese. Ambrogio, venuto a conoscenza della decisione imperiale, la contrastò con decisione e costrinse l’imperatore a revocare il provvedimento che aveva preso.
D’altra parte non sono pochi gli storici che attribuiscono all’influenza di Ambrogio l’editto di Tessalonica del 380, quando gli augusti Graziano e Teodosio, posero fine alla libertà religiosa affermata da Costantino nel 313 con l’editto di Milano e proclamarono il cristianesimo unica religio licita.
Ambrogio, Teodosio e l’auriga gay
C’è però un episodio in cui sembra che Ambrogio abbia saputo superare quell’idea così lontana dal nostro modo di sentire di una chiesa collusa con il potere temporale che mette in riga solo quando quest’ultimo minaccia i privilegi che la chiesa stessa aveva ottenuto grazie a questo appoggio. L’antefatto fu la rivolta del popolo di Tessalonica (l’odierna Salonicco) contro la guardia imperiale che aveva arrestato un auriga famoso pochi giorni prima delle gare che si dovevano tenere nell’ippodromo della città.
Privare la città di uno dei suoi idoli in concomitanza con uno degli eventi sportivi più importanti era, per gli abitanti di Tessalonica, qualcosa di inaudito che solo dei barbari potevano concepire. Per questo chiesero con insistenza il rilascio dell’auriga arrestato. Il rifiuto categorico opposto a questa richiesta provocò un tumulto popolare nel corso del quale venne lapidato il comandante della guardia cittadina, il generale Buterico. La risposta di Teodosio non si fece attendere e fu spietata: aspettò che l’ippodromo si riempisse, ne fece bloccare le uscite e fece passare a fil di spata tutti gli spettatori presenti che, secondo le cronache del tempo, erano più di settemila.
Venuto a conoscenza dell’accaduto Ambrogio, come del resto era già capitato in occasione della già citata distruzione della sinagoga di Callinico, non esitò a rivendicare a proprio favore quella libertas discendi, ovvero la prerogativa di ergersi a giudice delle decisioni imperiali quando queste erano sbagliate. E si mosse con la consueta energia, impedendo all’imperatore di entrare in chiesa e chiedendogli di fare pubblica penitenza per rimediare all’enorme ingiustizia che aveva compiuto.
La cosa che meraviglia è che Teodosio, con un’atto di umiltà impensabile per un uomo di potere della sua epoca, si arrese e fece penitenza riconoscendo i suoi errori. Probabilmente l’imperatore era sicuro di non incorrere nella condanna del vescovo di quella che, allora, era la città più importante dell’Impero, perché riteneva le ragioni che avevano spinto il generale Buterico a non rilasciare l’auriga, sacrosante e condivisibili per un uomo di chiesa come Ambrogio.
Marta Sordi, infatti, ci ricorda che l’auriga del cui perdono il popolo di Tessalonica si era fatto paladino, era stato arrestato, in base a una legge che lo stesso Teodosio aveva emanato l’anno precedente in cui si punivano i comportamenti omosessuali.
Epilogo
Sarebbe senz’altro un’esagerazione del tutto fuori luogo usare questo episodio per far passare Ambrogio come paladino dei diritti delle persone omosessuali ed è quindi improprio fare riferimento alle scelte che lui ha fatto per giustificare le scelte che facciamo noi.
Quello che resta di tutta la vicenda è questo insolito intreccio tra il destino di un auriga gay e la vicenda terrena di un vescovo che difese con decisione (io parlerei tranquillamente di prepotenza) il suo diritto di porsi al di sopra del potere imperiale e che, comunque, ci ha lasciato alcune delle più belle pagine che la storia della teologia cristiana ha mai dedicato alla misericordia di Dio.
* Alcuni pensieri in libertà che partono da un particolare secondario ricordato da Marta Sordi nel libro che dedica ad Ambrogio e alla tradizione romana.