Matrimonio gay. I vescovi irlandesi sapranno confrontarsi con la realtà?
Articolo di Michael Kelly pubblicato sul quotidiano Irish Independent (Irlanda) il 4 giugno 2015, traduzione di finesettimana.org
I messaggi dei prelati irlandesi e del Vaticano dopo il referendum sul matrimonio omosessuale avrebbero difficilmente potuto essere più in contrasto tra loro. I cardinali romani hanno paragonato gli Irlandesi a dei pagani e hanno insistito sul fatto che il “Sì” rappresentava una “sconfitta per l’umanità”.
Nel frattempo, in Irlanda, l’arcivescovo di Dublino Diarmuid Martin ha definito il risultato un “confronto con la realtà” per la Chiesa e il Primate di tutta l’Irlanda, arcivescovo Eamon Martin ha detto che la gerarchia ha molto da imparare dal referendum. Per i vescovi è programmato un incontro a Maynooth entro la fine di questo mese. Pochi – se pure ce ne sarà qualcuno – saranno in disaccordo con la necessità di questo “confronto con la realtà”. La Chiesa e l’opinione pubblica irlandese non sono sulla stessa lunghezza d’onda: il referendum è la prova eclatante di questo.
L’intoppo è mettersi d’accordo su che cosa dovrebbe essere questo “confronto con la realtà”. Per i cattolici progressisti, consiste nel rendersi conto che molti cattolici non sono più d’accordo con la loro chiesa su molti argomenti. Il risultato del referendum, sosterranno, dimostra che la gente è più avanti della sua chiesa su tali argomenti. Dall’altro lato, per i cattolici conservatori, il risultato del referendum è una schiacciante accusa ad una chiesa che ha miseramente fallito nel presentare i suoi insegnamenti in maniera coerente.
Il gran numero di cattolici che ha votato “Sì”, sosterrà, è il risultato del fatto che i vescovi si sono addormentati al timone per decenni e hanno mancato di dare priorità all’insegnamento. Per cui, la prognosi su che cosa è necessario che la Chiesa faccia, dipende ampiamente da che parte uno si pone nella politica ecclesiale. La profondità dell’interesse mostrato per il referendum è stato una assoluta sorpresa per molti membri della gerarchia cattolica. Mentre le lettere pastorali dei vescovi parlavano di ontologia e di complementarietà, coloro che difendevano il “Sì” parlavano semplicemente di amore e di uguaglianza. Quella che per i vescovi era una battaglia ideologica, era invece, per molti cattolici praticanti, semplicemente un problema di diritti per una minoranza maltrattata.
La preponderanza del voto dei giovani nel referendum sul matrimonio gay mostra l’abisso tra la Chiesa e la maggioranza della giovane generazione. L’arcivescovo Diarmuid Martin ha osservato che “la Chiesa ha davanti a sé un compito gigantesco per trovare il linguaggio che le permetta di parlare ai giovani e di far giungere a loro il suo messaggio”. L’arcivescovo Martin lo comunicherà senza dubbio al Vaticano.
Lui e l’arcivescovo Eamon Martin rappresenteranno l’Irlanda in un sinodo-chiave a Roma nell’ottobre prossimo, dove si discuterà di omosessualità e di altri insegnamenti controversi della Chiesa, come il divorzio o il divieto del controllo artificiale delle nascite. La fase del sinodo dell’anno scorso provocò controversie dopo che nella relazione intermedia si affermava che gli omosessuali avevano “doni e qualità da offrire” e chiedeva se il cattolicesimo potesse accettare i gay e riconoscere aspetti positivi nelle relazioni tra persone dello stesso sesso. Alla fine, le parole usate furono “annacquate”, ma si tratta di un dibattito che si intensificherà man mano che si avvicina l’incontro di ottobre.
Sarebbe un errore per la Chiesa pensare che i “Sì” e i “No” del referendum abbiano distinto nettamente i fedeli cattolici da un lato e coloro che hanno da tempo abbandonato la Chiesa dall’altro. Molti cattolici praticanti hanno votato a favore del matrimonio omosessuale. Tom Curran, segretario generale del partito Fine Gael, ha fatto di tutto per sostenere le sue credenziali cattoliche. Allo stesso modo, l’ex presidente Mary McAleese ha detto di sostenere il “Sì” proprio perché credeva nell’interpretazione cristiana del matrimonio.
Costituiva quasi un magistero alternativo di cui la Chiesa doveva tener conto. Non ci si può aspettare uno spostamento nell’insegnamento di fondo, ma piuttosto nel tono e nell’enfasi. I leader cattolici trarranno conforto dal fatto che non è affatto sicuro, sulla base delle esperienze di altre tradizioni, che un cambiamento radicale sia una ricetta per la crescita. La Chiesa d’Inghilterra, che ha virtualmente accolto ogni riforma progressista, ha visto il numero dei suoi membri ridursi della metà in soli 30 anni, mentre il numero dei cattolici è rimasto stabile. La Chiesa d’Irlanda, che aveva due vescovi che sostenevano pubblicamente il matrimonio omosessuale, ha recentemente annunciato che la frequenza settimanale è crollata al 15%. Di questo 15%, solo 7.540 (13%) erano persone sotto i 30 anni. Assumendo le loro decisioni a Maynooth, la gerarchia dovrà affrontare e accettare il fatto che molti cattolici praticanti che cercano sostegno spirituale nelle braccia della Chiesa hanno poco interesse in pronunciamenti ecclesiali sul matrimonio o su problemi di sessualità umana.
Al contempo, molte delle 734 000 persone che hanno votato “No”, erano probabilmente motivate in questo dalla loro fede. Tutto ciò crea ovviamente tensione, ma il cattolicesimo è sempre sopravvissuto proprio perché è stato in grado di gestire la tensione e cimentarsi con essa.
Il problema più controverso è che cosa fare con i più giovani. Il famoso televangelista USA degli anni 50, l’arcivescovo Fulton Sheen, ha detto una volta che la Chiesa non si adatta ad un’età specifica perché è fatta per tutte le età. “Se sposa lo spirito di un’età, si troverà vedova alla generazione successiva”. Forse. Ma è sicuramente anche vero che una chiesa senza i giovani di una generazione, è una chiesa senza futuro nella generazione successiva.