Scapoli e zitelle li creò: a che pro essere eunuchi per il regno dei cieli?
Riflessioni di Andrea da Crema, parte seconda
Ma a che pro, essere eunuchi? Per quanti e quante non sono fatti, appunto, per la vita matrimoniale. E qui è il nocciolo della questione, perché queste parole di Gesù si inseriscono dopo il discorso del matrimonio e del divorzio (il Signore è provocato dai farisei e incalzato dai discepoli stessi).
Non solo, Gesù, sottolinea a più riprese la difficoltà da parte della gente di capire che la vita a due, non è una strada per tutti, per quanto mal visti dai più (“Chi può capire, capisca”). Come noto, infatti, nel mondo ebraico era un dovere morale, anche per i rabbini, contrarre matrimonio. E Gesù e molti dei suoi discepoli, erano uomini (e donne) liberi e per questo guardati con sospetto e scherno. E queste parole di Gesù, certamente forti, controcorrente e nebulose, non sono assimilabili con il solo raziocinio umano, ma necessitano dell’intervento della Grazia di Dio; Grazia che si fa visibile solo per chi sa’ guardare oltre, tipico di un innamorato fedele alla sua natura originaria (o se preferite, alla sua “chiamata battesimale”).
Queste parole dure di Gesù, sono forse una controreazione alle ingiurie di chi lo attaccava a livello personale con queste domande-provocazioni, ma oggi più che mai, sono scelte diffuse e ancora screditate dai più, anche nel mondo laico e dunque ogni persona deve affrontare ed elaborare le sue argomentazioni con senso critico e autorevolezza (nessuno che si guardi veramente in profondità, è esente da tale “guado” per progettare poi la sua vita sulla roccia e non sulla sabbia; i risultati, frettolosi e distratti, sono invece sotto gli occhi di tutti).
Come il Signore, tanti sono toccati dal disprezzo, dalla derisione, dal facile giudizio, dalla emarginazione, dal pietismo, dalle minimizzazioni di un travaglio interiore, anche dagli amici; Ecco allora che diventa urgente manifestare a voce alta e ben scandita le proprie ragioni (e sentimenti), liberandosi di sovrastrutture e aspettative altrui (vivere la vita in verità, non come vorrebbero gli altri).
A partire da queste brevi considerazioni, vorrei dunque soffermarmi a riflettere sulle condizioni dei tanti “eunuchi moderni” che, per una serie di motivi anche molto diversi tra loro, scelgono/si trovano nella condizione di non vivere un percorso di coppia o matrimoniale/sponsale.
Come la malattia, solitamente, non è una scelta (non è né un merito né un de-merito avere la salute o la malattia!), anche il proprio status socio-affettivo non lo si sceglie ma lo si scopre, emerge, si sperimenta e si definisce, accogliendolo dentro di sé, con progressiva consapevolezza.
Così una persona può essere con-naturata ad una vita a due, altri alla solitudine; altri ancora sovrascrivono questi stati, più volte nel corso della loro vita. Dove è natura (vocazione), passaggio (discernimento) e percorso (meta/via)? Questo è il mistero e la fatica di una vita, che richiede grande lavoro e costanza personale, senza aver mai la pretesa di cogliere l’insieme del tutto.
Infatti, ci sono persone che, per la loro struttura psichica e maturità sessuale e relazionale non sono in grado di vivere una vita a due (e tutto quello che ne comporta) o semplicemente non sono con-formate per questa possibilità (si pensi p.e. il tipo di personalità, lo stato di salute psico-fisico, la situazione famigliare o professionale) o, peggio, le radici del loro rapporto genitoriale o le esperienze relazionali precedenti non gli permettono di evolvere, superando le ferite affettive pregresse ma rimanendovene imbrigliati e schiavi (è proprio il caso di dire “meglio soli che male accompagnati”).
Dall’altro canto, vi sono persone predisposte e strutturate per un percorso a due, sino anche ad una vita sponsale totalizzante e a lunga gittata; la loro barca relazionale, aperta e generosa, solca anche nuovi mari e orizzonti, con l’arrivo dei figli. Persone che sanno rischiare, senza riserve, gioiose.
Tra chi ha bisogno di spazio per sé e chi fa spazio per altri, c’è però una terza via, a ben vedere. Quanti consapevoli che non sono predisposti ad una vita matrimoniale o non sono così forti da sostenere la solitudo (o non gli è ancora chiaro o acquisiscono/maturano tardi tali strumenti o si ri-mettono in gioco tardi sul tavolo della vita) e vivono una o più “stazioni relazionali” nella loro vita, con un’altra persona (giorni, mesi o anni, con frequenza più o meno elevata). Come intuibile, questa terza via, è ben presente nella società occidentale odierna e meritevole di analisi (al di là di qualunque valutazione morale poiché non è lo scopo di questo breve saggio).
Infatti, seppur la volontà di potenza e di autodeterminazione (autonomia) personale, soprattutto in giovane età, sembra possibile finanche facilmente attuabile, si scontra inevitabilmente con il bisogno di dipendenza (“il mancante”) e di protezione (“la fragilità”) di cose e di persone (l’uomo è un animale sociale; siamo vivi se in relazione con altri).
Questa polarità interna (ed esterna) crea tensione e contrapposizione (potenza/fragilità e autonomia/dipendenza) e non basta una vita per livellarla, anzi, è un continuo lavoro su di sé, per far convivere assieme queste diverse voci nel nostro corpo sessuato (e dunque il desiderio è da educare, allenare e gestire).
Cosa ha da dirci il Vangelo su questa terza via, oggi così battuta? Cosa ha da dirci la vita, maestra per molti non credenti (ma pensanti)? Infatti, lo stato di “impegnato a scadenza” (o, se si preferisce, di “libero a tempo”), non investe solo la genitalità-sessualità (attiva o meno), ma anche, come cerchi concentrici progressivi, relazionalità, fecondità, spiritualità, socialità.
Come gli eunuchi potevano avere una sessualità attiva ma era a loro preclusa una qualsiasi formazione di famiglia, così i “moderni eunuchi”, almeno sul piano simbolico, si trovano a poter vivere una sessualità attiva senza una relazionalità a tutto tondo. La sessualità attiva, soddisfacente e serena può dunque essere presente, come non (più) ricercata. Questo ultimo elemento è meritevole di riflessione personale da parte del singolo, al fine di avere la sua risposta, sempre in fieri. Affettività e sessualità sono sullo stesso binario del nostro corpo sessuato; possiamo solo viverli con larga misericordia, a patto che l’altro non sia soggiogato e manipolato, ma reso più umano, più uomo, più donna.
Non ultimo, si pensi a quanti la vita non gli permette di esprimersi pienamente, bloccati per i motivi più disparati, vivendo una vita intera a metà – d’altronde ognuno fa il meglio che può con quello che dispone – tra la commiserazione dei più e inutili sensi di colpa. A loro dedico questo scritto: ai diversi e agli incompresi.