“Scene di caccia in Bassa Baviera” di Peter Fleschmann (1969)
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Scheda di Luciano Ragusa proposta durante il cineforum del Guado di Milano il 10 Marzo 2019.
Il contesto cinematografico. Il vento di cambiamento che gli anni sessanta recano con sé, non risparmia l’universo cinematografico tedesco, che, prima di essere investito dal talento dei nuovi autori, sonnecchiava tra vecchi schemi produttivi, e un tacito accordo, tra critici e governo, sull’immagine che la “settima arte” doveva dare della Germania post-bellica. In questo solvente statico nasce, nel 1962, il “Nuovo cinema tedesco” (Neuer Deutscher Film o Junger Deutscher Film), quando un gruppo di brillanti e giovani cineasti firmano un manifesto di denuncia contro i desueti modi di produrre cinema e, nello stesso tempo, rivendicano una libertà espressiva fino ad allora ostaggio di canoni estetici antichi.
Il manifesto rimane “lettera morta” fino al 1965, quando viene varata una legge che consente ai nuovi registi provvisti di un soggetto, di un produttore e di un piano di lavorazione, di accedere ad un fondo senza interessi, a sua volta integrato con una parte degli utili fatti dalle pellicole finanziate.
Un ulteriore intervento governativo si avrà nel 1968, quando da ciascun biglietto strappato in sala, 10 centesimi di marco vengono dirottati per ammodernare le sale cinema e per premiare i produttori i cui film superano i 500 mila marchi d’incasso. Il sistema s’inceppa subito, perché la quasi totalità dei film con incassi elevati provengono dagli Stati Uniti, a discapito di quei registi tedeschi che optano per un linguaggio non convenzionale, o comunque di moda in quel periodo.
Dopo diversi tentativi, tra cui la formazione di una rete distributiva indipendente, si giunge, nel 1974, alla firma di un accordo con la televisione, che partecipa così alla produzione delle pellicole, alcune delle quali, pensate per il piccolo schermo.
Ma chi sono i protagonisti di questa rivoluzione? Influenzati dal “Neorealismo” italiano, e dalla “Nouvelle Vague” francese, i giovani cineasti tedeschi si sono fatti conoscere negli ambienti culturali europei con film a basso costo; a seguito dell’apprezzamento ottenuto, hanno poi avuto accesso a produzioni di maggior caratura economica, fino a raggiungere i vertici della cinematografia mondiale. Rainer Werner Fassbinder (1945-1982), Alexander Kluge (1932), Werner Herzog (1942), Margarethe von Trotta (1942), Wim Wenders (1945), Volker Schlondorff (1939), Edgar Reitz (1932), sono tra i più noti registi che, dalla seconda metà degli anni sessanta, hanno dato lustro al “Nuovo cinema tedesco”.
I primi successi internazionali arrivano con la pellicola I turbamenti del giovane Torless (1966), diretto da Volker Schlondorff, tratto dall’omonimo romanzo scritto nel del 1906 da Robert Musil e premiato a Cannes come miglior film. Nello stesso anno esce La ragazza senza storia, diretto da Alexader Kluge e premiato con il Leone d’argento a Venezia.
Lo stesso Kluge, con Artisti sotto la tenda del circo: perplessi, vince, nel 1968, l’ultima edizione del Festival di Venezia, prima della pausa non competitiva che è durata fino al 1979.
La cosa buffa è che, quando dopo più di dieci anni, si riprendono ad assegnare premi durante il Festival di Venezia, il cinema tedesco ottiene il Leone d’oro nel 1981 con Anni di piombo di Margarethe von Trotta e nel 1982 con Lo stato delle cose di Wim Wenders. Questi riconoscimenti sono il segno che il “Nuovo cinema tedesco” era ormai entrato nel tessuto connettivo del grande schermo, con una proposta costantemente di altissimo livello.
Un’ultima notazione: tra i registi firmatari del manifesto, solo Volker Schlondorff, nel 1980, è riuscito a vincere il premio Oscar nella categoria Miglior film Straniero, con la pellicola Il tamburo di latta, tratto dal romanzo del premio Nobel Gunter Grass.
Scene di caccia in Bassa Baviera. Proiettata per la prima volta in Francia nel 1969, nell’ambito della “Settimana Internazionale della Critica” a Cannes, la pellicola riceve un buon riscontro sia di critica che di pubblico. In Germania, invece, ottiene pesanti stroncature, in particolar modo dall’establishment bavarese, che vede nel film, un gratuito gesto d’offesa alla Baviera.
Il risultato di queste polemiche sono stati alcuni atti di violenza che si sono verificati durante la proiezione del film, quando alcuni spettatori lanciavano contro il grande schermo delle bottiglie di birra per manifestare la propria rabbia e il proprio dissenso.
Peter Fleischmann, del resto, regista esponente del “Nuovo cinema tedesco”, si era posto come obiettivo quello di rovesciare i canoni relativi alla descrizione della vita ordinata della campagna tedesca, dipinta sempre dalla cinematografia autoctona come il migliore dei mondi possibili.
Ciò che ha infastidito i bavaresi e, forse, tutto il popolo tedesco, è stata la capacità che Fleischmann ha avuto di infilare il coltello nella piaga di una realtà apparentemente tranquilla in cui, però, si nascondeva una violenza quotidiana per niente dissimile da quella che veniva denunciata nelle grandi città.
Una violenza in cui la caccia al diverso, si trasforma in procedimento catartico che ha come scopo quello di ripristinare l’illusione di un universo perfetto, suggellato dalla ripetizione perenne degli stessi cicli regolati dalla società e dalla natura.
In questo “universo perfetto” i “corpi estranei“ vanno espulsi, perché si vive meglio nella monotonia in cui tutto è al suo posto, mostri vengono nascosti sotto il letto e il necessario prevale sul contingente (nazismo quotidiano?).
Di Peter Fleischmann è da ricordare anche La smagliatura, film del 1974, dedicato al regime dei colonnelli in Grecia, con la partecipazione, in qualità di protagonisti di Ugo Tognazzi, di Adriana Asti e di Michel Piccoli.
Della pellicola in oggetto sono invece da sottolineare le presenze di Angela Winkler, poi scritturata in film importanti quali Il caso Katharina Blum di Margarethe von Trotta (1975), Il tamburo di latta di Volker Schlondorff (1979), Sills Maria di Oliver Assayas (2014); e di Hanna Schygulla, musa ispiratrice di parecchi film di Fassbinder (uno su tutti Le lacrime amare di Petra von Kant del 1972) e interprete di tantissimi film tra cui si possono segnalare Il nuovo mondo di Ettore Scola, Passion di Jean–Luc Godard, Passion (1982) e L’altro delitto di Kenneth Branagh,
Trama
Tornato al proprio villaggio, nella Bassa Baviera, dopo un periodo di detenzione, il giovane Abram cerca di guadagnarsi da vivere facendo il meccanico. Sin da subito si concentra attorno al ragazzo uno stillicidio di maldicenze, dovute soprattutto ai motivi della sua permanenza in carcere: si vocifera infatti che ad Abram, piacciano le persone dello stesso sesso, condizione sufficiente per perturbare la quotidianità dei compaesani, i quali, reagiscono con un crescendo inumano, intessuto di offese e di scherzi sempre più feroci.
Unici amici di Abram sono Ernst, adolescente con un ritardo mentale, e Hannelore, domestica a servizio nella casa del borgomastro.
Scheda
Regia e sceneggiatura: Peter Fleischmann.
Soggetto: tratto dall’omonimo dramma di Martin Sperr.
Montaggio: Barbara Mondry.
Fotografia: Alain Derobe.
Scenografia: Gunter Naumann.
Costumi: Barbara Baum.
Produttore: Rob Houwer.
Produttore esecutivo: Jurgen Dohme.
Casa di produzione: Rob Houwer Productions.
Interpreti: Martin Sperr (nel ruolo di Abram); Angela Winkler (nelle vesti di Hannelore); Else Quecke (nel ruolo di Barbara); Michael Strixner (nei panni di Georg); Maria Stadler (nelle vesti della macellaia); Hanna Schygulla (nel ruolo di Paula); Johann Lang (nei panni di Ernst).
Anno: 1969.
Genere: drammatico.
Durata: 80 minuti