Ho scoperto di essere sieropositivo in un bar gay
Testimonianza di Jeff Leavell pubblicata su VICE (Stati Uniti) il 20 giugno 2017, libera traduzione di Marta Pettinelli.
Come ci si sente ad uscire da un momento sconvolgente grazie al sostegno di persone sconosciute?
Sono un quarantanovenne gay e sieropositivo. Se avete già letto altre mie testimonianze, queste parole non vi suoneranno nuove. Le dico sempre. Ma credo siano importanti da dire e bisogna farlo più forte possibile. Perché nessuno è solo.
Quando non scrivo o non coltivo le mie relazioni, faccio il buttafuori nei bar gay della città dove vivo, Los Angeles. Amo questo lavoro perché ho l’occasione di vedere la mia comunità in tutta la sua ampiezza, da una prospettiva in cui vedo in che modo diventiamo qualcosa di magnifico quando sappiamo essere solidali.
A Los Angeles le organizzazioni di servizi sociali come la “AIDS Healthcare Foundation” utilizzano ambulatori mobili per fare test dell’HIV gratuiti. Si sistemano fuori dai bar gay più popolari come l’Eagle, o in quartieri gay come il West Hollywood nelle sere in cui sanno ci sarà molto movimento. In meno di un quarto d’ora, si può fare il test per l’HIV e saperne i risultati.
Nei mesi scorsi, mentre lavoravo all’Eagle, vidi che un ragazzo stava entrando in uno di quei furgoni. Quando uscì, capii subito che le notizie che aveva ricevuto non erano delle migliori.
Chiamerò questo ragazzo Patrick; era un cliente assiduo del locale, un ventenne alla mano e molto simpatico. Lavorava come contabile in una società di produzione. Un ragazzo normale.
Quando uscì dal furgone, Patrick si diresse verso di me, barcollando e allibito. “Tutto bene?”, gli chiesi dopo aver controllato il documento. “Posso sedermi?”, rispose lui indicando il mio sgabello.
Uno dei baristi notò che Patrick aveva l’aria stordita e mi chiese se andava tutto bene. Gli chiesi di portargli una bottiglia d’acqua.
“Perché sono entrato in quel furgone?” mi chiese, posando i suoi occhi su di me. “Perché non ho aspettato di vedere il mio dottore?”.
“Non è andata come ti aspettavi?” gli risposi. Forse sarebbe stato meglio dirgli qualcosa di più profondo, credo. Ma purtroppo sono solo un buttafuori: non ho letto manuali di istruzioni su cose come queste.
“Dovrei incontrare degli amici stasera. Come posso stare lì a parlare di stronzate quando…”. Tese la sua mano, prendendo la mia. “Cosa dovrei fare adesso?”
“Anche io sono risultato sieropositivo in uno di quei test,” gli dissi “Ero al Faultline. Festino alcolico della domenica. Stavo lavorando alla porta e non mi sarei mai immaginato di entrare lì dentro. Ero semplicemente annoiato, non ci ho neanche pensato seriamente.”.
Ricordo bene il momento in cui il medico mi disse i risultati: il mondo mi crollò addosso. Ero in grado di sentire ciò che mi stava dicendo, ma non aveva significato. Quando mi passò il foglio con scritto l’orario e la data dell’appuntamento con un dottore, me lo sono messo in tasca senza guardarlo e sono uscito barcollando dalla porta. Proprio come Patrick.
Quel giorno ero tornato alla mia postazione, all’entrata del locale, provavo a sorridere e a flirtare coi ragazzi come se tutto fosse normale, ma non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione: mi sentivo come se tutto intorno a me stesse crollando.
Un mio amico, Kevin, uscì dal locale per prendersi una pausa. Lo guardai e subito scoppiai in lacrime. Dissi a lui ed al mio manager cosa mi era successo e chiesi di andare a casa. Volevo vedere Alex, il mio compagno, avevo un impellente bisogno di dirglielo. Il mio manager mi disse che anche lui era sieropositivo e che sarebbe andato tutto bene. “Adesso può sembrare terrificante, ma nei prossimi giorni andrai dal dottore, prenderai delle medicine e presto non ti sembrerà più la cosa più importante della tua vita” mi disse. “Presto te ne dimenticherai”.
Al tempo non detti ascolto alle sue parole.
Kevin mi dette un passaggio a casa. Parcheggiò ad un isolato da casa mia, e provai con Kevin il discorso che avrei detto a mio compagno.
“E che fece il tuo compagno alla fine?”, mi chiese Patrick, quando gli raccontai la mia storia.
“Mi strinse a lui” dissi, “Non potevo fermare le lacrime, e lui non mi lasciò un attimo. Continuò a dirmi che sarebbe andato tutto bene. Che noi saremmo stati bene. E aveva ragione. Tu lo stai affrontando molto meglio di come lo affrontai io.”
Patrick rise, stringendomi ancora la mano. Non l’aveva mai lasciata andare mentre gli raccontavo la mia storia.
Un gruppetto di ragazzi che gironzolava nella zona si avvicinò a noi: uno di loro disse a Patrick che anche lui era sieropositivo e che era in cura da un dottore fantastico. Gli disse che se voleva, lui poteva dargli il suo numero e che lo avrebbe accompagnato se avesse preso l’appuntamento. Un altro ragazzo gli disse che il suo compagno sieropositivo era diventato un atleta professionista, in salute e felice.
“Non ti importa nulla se è sieropositivo?” chiede Patrick al ragazzo. “Non hai paura di essere contagiato?”
“Basta che t’informi” rispose il ragazzo. “Come faresti con qualsiasi altra cosa. Ti informi e poi pensi con cosa ti senti a tuo agio e poi, insieme, fate sì che funzioni. Io lo amo, ed il fatto che sia sieropositivo non me lo fa amare di meno.”
Dopo qualche minuto quei ragazzi portarono Patrick dentro il locale per offrirgli una birra. Era una vista meravigliosa: una comunità che si unisce per aiutare un solo membro.
Mi ricordo un’altra volta in cui lavoravo alla porta del Faultline, un sabato sera, ed un altro ragazzo uscì dal furgone dei test con lo stesso sguardo confuso e terrorizzato. Dopo mi disse il suo nome: Mike. Parlammo per qualche minuto. Mi confessò che lui ed il suo ragazzo avevano deciso di fare il test insieme.
“Perché lo abbiamo fatto?” mi disse con lo stesso tono di voce di Patrick. “I suoi risultati sono negativi, i miei no. Non è mai venuto in mente a nessuno di noi due che uno dei due potesse essere…” e rimase in silenzio.
“È appena entrato per prenderci delle birre. Per festeggiare. Devo dirglielo.”
Volevo raccontare al ragazzo di Alex di come il mio compagno si fosse preso cura di me dopo averglielo raccontato. Che non voleva dire che una relazione doveva finire per questo. Volevo dirgli che tutto sarebbe andato bene.
Ma non conoscevo il suo ragazzo. E non potevo neanche sapere che ciò che avrei voluto dire sarebbe accaduto. Circa un’ora dopo i due sono usciti infuriati dal locale. Il compagno del ragazzo era furioso. E ubriaco. Continuava ad urlare cose come “Brutto stronzo! Hai l’AIDS! Vaffanculo!”
Mike piangeva, scongiurando il suo ragazzo di non lasciarlo.”Ti prego,” singhiozzò Mike “Non andartene.”
Io guardavo, scioccato, il suo ragazzo montare in macchina e andare via.
Noi due rimanemmo lì, nei momenti subito successivi dell’accaduto. Abbracciai Mike e dopo qualche minuto arrivarono dei suoi amici per vederlo. Mike disse loro cosa era successo: i suoi amici stavano intorno a lui, lo abbracciavano, lo tenevano stretto e gli dicevano continuamente quanto gli volessero bene.
“Ehi,” dissi al ragazzo notando che i suoi amici lo stavano portando altrove per prendergli del cibo “Andrà tutto bene.”
“Io non ti credo”, mi rispose.
“È vero. Prometto”.
È facile sentirsi impauriti quando tutto il mondo ti sta cadendo addosso. Quando pensi che nessuno ti amerà ancora una volta. Ci sono stati tanti momenti in cui mi sono sentito sporco e sgradevole, ma in ogni singola volta la mia comunità mi si è stretta attorno e mi ha protetto, prendendosi cura di me.
Quando ai notiziari sento parlare delle crudeltà che la mia comunità è costretta a sopportare in tutto il mondo, della guerra che viene condotta contro la comunità nel mio paese, penso a ragazzi come Patrick e Mike e agli uomini che si sono uniti per abbracciarli e proteggerli. Penso a coloro che fecero lo stesso per me. Penso a quanto siamo forti. Sono grato a tutti i ragazzi, froci e checche, a tutti quei ragazzi che là fuori stanno lottando per la loro identità di genere e a coloro di noi che rimangono a testa alta: noi siamo più forti di quelli che vorrebbero condannarci per chi amiamo o per come siamo.
Noi siamo coraggiosi.
Sono un quarantanovenne gay e sieropositivo e non me ne vergogno. Sono orgoglioso di essere me stesso. Sono orgoglioso della comunità LGBT e sono orgoglioso di Patrick e Mike.
Dovremmo esserlo tutti. E mandate a quel paese chiunque vi dica che siete differenti. Loro non ci conoscono.
Testo originale: I Found Out I Was HIV Positive at a Gay Bar