Scoprirsi prete e gay, un cammino di transizione spirituale
Testimonianza di don Giuseppe tratta dal libro Amori consacrati. Testimonianze di suore, frati e preti omosessuali in Italia, a cura di Franco Barbero, Gabrielli Editori, 2019, pp. 27-30
Mi chiamo Giuseppe, don Giuseppe per molti, o semplicemente “il don”. Vorrei cominciare con la fine. Avere fatto pace con la realtà omosessuale mi ha aiutato a comprendere tutta la mia vita in senso positivo: una vita complessa, un’identità insieme unica e molteplice.
Nel momento in cui mi sono detto “Giuseppe sei gay”, mi sono anche detto “non sei solo questo, sei una pluralità di realtà”. A partire dal momento in cui ho detto Giuseppe è gay, è stato come dire Giuseppe è biondo, e quindi senza che questo generi ansia, e l’ho integrato nella mia vita: io sono anche questo e finalmente questa parte di me non era un capitolo a parte.
Per la mia generazione non è semplice. Ho 46 anni e sono prete da 20. Averlo integrato mi ha reso felice e lo sento come una risorsa, anche per il mio ministero, anche quindi per il mio essere prete, perché l’affettività e la sessualità non sono delle cose da nascondere, ma sono delle grandi risorse spirituali e pastorali. Il modo in cui le ho riscoperte e amate e quindi vissute, non più come qualcosa di pericoloso ma come una parte di me, ne fanno una risorsa.
E visto che faccio il prete avere integrato la sessualità nella mia personalità è una fonte di libertà che si comunica alle persone. Se fossi montatore di caldaia avrebbe un impatto sulle relazioni diciamo minore, ma visto che il mio mestiere è di mettere in relazione il Vangelo con la vita, ha un impatto forte sulle persone.
Scoprirsi prete (gay): un cammino d’approfondimento spirituale
La pace tra il cammino cristiano e l’essere omosessuale è stato rivitalizzante da un punto di vista spirituale: ho contemporaneamente scoperto i gruppi di cristiani omosessuali e riscoperto la Parola, scoperto me stesso come un tutto complesso ed organico e riscoperto la Parola di Dio per me. Ricordo una notte di Natale quando ascoltando il testo della liturgia che diceva “il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce”, avvertii la profonda sensazione che era per me, quel popolo ero io. In quel momento ho sentito una parola vera, come in un momento di estasi.
Un’altra volta, mentre leggevo il vangelo al mattino presto, mezzo addormentato davanti alle signore anziane della messa feriale, ho trovato questo passo “bussate e vi sarà aperto, chiedete e vi sarà dato”. Subito mi sono detto, “vero !” Io avevo chiesto di essere liberato dai pensieri impuri, di essere guarito dall’omosessualità ecc. e Dio mi ha detto “sì risponderò alla tua preghiera, ma non come la pensi tu. Ti darò io cose buone”. E così sento che Dio mi ha dato degli amici nuovi, altri preti gay con cui confrontarmi, una consapevolezza, un accettare quello che sono, ma non passivamente. Sento di aver ricevuto da Dio molto di più di ciò che avevo chiesto.
Quando ho cominciato a frequentare i gruppi di credenti omosessuali, la prima cosa che volevo era cominciare a conoscere persone come me, poi in un secondo tempo è nato il desiderio di vivere fisicamente la sessualità. Prima della mia consapevolezza vivevo la mia affettività come una scatola chiusa e solo con me stesso. Avere una relazione era per me una cosa totalmente estranea e impossibile come andare sulla Luna.
Quindi mi ero messo il cuore in pace. Ma a partire dal mio cambiamento ora sentivo un gran bisogno di scoprire tutto e di riempire di senso le cose che stavo capendo. Perciò ho iniziato a frequentare i gruppi, a incontrare altri preti gay, a incontrare persone come me.
Meno male che Dio non ha ascoltato le mie preghiere quando gli chiedevo di “guarire” dalla mia omosessualità! Dio è proprio un padre che dà cose buone perché Lui sa di cosa hai realmente bisogno. Questa scoperta mi ha molto promosso come prete e come uomo.
All’interno della Chiesa chi vive l’omosessualità in maniera integrata, anche se a volte ancora in maniera problematica, come è per me, è quasi “costretto” a evolversi spiritualmente per raggiungere una maggiore libertà e ”adultità” nella fede. Il bambino è colui che deve chiedere in tutto il permesso alla maestra, anche per prendere la penna o uscire dall’aula.
Tanti cristiani omosessuali, così come tanti preti, rischiano di vivere più come bambini invece che da adulti la loro vita di fede ed ecclesiale, aspettando sempre che sia il Magistero a dare l’ok per le coppie omosessuali. E finché la Chiesa non produrrà un documento o un permesso, restano solamente a livello di paura o di critica, rimangono, a mio avviso, succubi di loro stessi e facendo rimanere succubi gli altri. Poi però si riservano spazi separati di sfogo della loro affettività e sessualità. Ma tutto questo non fa crescere loro stessi e la Chiesa.
Ho iniziato ad affrontare tutto questo a 30 anni passati, e fin da subito ho sentito di dover crescere come persona umana. È facile uscire, sfogarmi in qualche pulsione, poi confessarmi e rientrare come se niente fosse. Ma io non ci riesco perché questa sarebbe davvero una doppia vita. Invece la sintesi mi costringe a crescere come cristiano e come prete.
Dopo essermi scoperto omosessuale, ho avuto subito la necessità di comunicare la mia nuova consapevolezza alle persone a me care. Sono di una famiglia molto credente e molto aperta : l’ho detto subito alle mie sorelle, a mio fratello e ai miei cognati. Non hanno manifestato problemi nei miei confronti ma al contrario una piena accoglienza, e mi hanno chiesto di aiutarli a capire perché era una realtà che non conoscevano o conoscevano poco. L’ho detto anche agli amici più vicini, e qualcuno dopo questo si è aperto di più sulla sua vita di coppia eterosessuale. L’apertura genera apertura. Di questo sono convinto. L’ho vissuto e lo vivo in famiglia ma anche nel mio lavoro pastorale, con giovani e anziani, eterosessuali ed omosessuali.
È nell’anno 2000, l’anno del Giubileo e della Porta Santa, che ho iniziato a vivere questa liberazione dal sapore biblico. Il profeta Isaia scrive nel suo libro al capitolo 9: “il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”, un cammino che per me è stato travagliato e ancora in corso, ma che mi fa sperimentare la luce e la guida di Dio. Quando ho varcato questa “porta santa” della mia vita che pensavo fosse invalicabile, mi sono sentito in pace. Ho accettato quello che sono e questo mi ha anche fatto scoprire di più l’essere “uomo”.
Uno dei motivi dell’omofobia è che l’omosessualità sembra rimettere in questione l’essere uomo o donna. Nella mia generazione c’erano pochi modelli: l’idea è che tutti i maschi giocassero a calcio e l’omosessuale fosse solo un depravato ed un “non uomo”. Ma poi si scopre che non è proprio così e che l’essere uomo non dipende né dall’amare il calcio né dall’orientamento sessuale.