Seelsorge. L’arcivescovo di Berlino e la benedizione dell’amore omosessuale
Riflessioni Antonio De Caro*, prima parte
Mentre traducevo la lettera dell’arcivescovo di Berlino, ho notato che vi si ripete molte volte una bellissima parola, dal suono particolarmente dolce: Seelsorge, che vuol dire “cura dell’anima”. E in effetti la lettera è rivolta a tutte quelle persone (sacerdoti, diaconi, anche donne e uomini laici) che, sia pure in diversi ruoli, si prendono cura della serenità delle anime e del loro percorso spirituale.
Il tema della lettera, che ha interessato molte persone, è ancora una volta la benedizione delle coppie omosessuali. Essa segna una tappa importante del dialogo fra omosessualità e Chiesa Cattolica Romana, quello stesso dialogo che rappresenta la principale missione del La Tenda di Gionata.
Tra momenti di gioia, entusiasmo, ma anche amarezza e delusione, anche noi ci occupiamo di Seelsorge, poiché speriamo che i nostri -forse piccoli- contributi (le esperienze, gli incontri, le riflessioni, le preghiere) possano portare un po’ di serenità alle anime di tante donne e uomini disorientati e respinti, e accompagnarli sulla via della grazia, della vita comunitaria e della salvezza. Per questo, per molti di noi è così difficile abbandonare la Chiesa in cui siamo cresciuti, poiché -al di là delle sofferenze che spesso ci ha provocato- riconosciamo in essa la presenza del Signore che ci guida verso l’incontro pasquale e può redimerci senza disprezzare la nostra natura e il nostro modo di amare.
Ormai da diversi anni la Chiesa Cattolica Tedesca si è confrontata seriamente, e anche con grande fatica, con il tema dell’amore omosessuale. Il suo Percorso Sinodale ha approvato una delibera che rende possibile, in Germania, la benedizione delle coppie omosessuali; l’arcidiocesi di Berlino aveva aderito a tale percorso, per cui l’arcivescovo H. Koch dimostra una grande lealtà nel momento in cui ricorda alle guide spirituali che quella adesione ora comporta la necessità di calarne i nuovi orientamenti nella concreta vita pastorale. È una lealtà che si potrebbe anche chiamare umiltà (direi assolutamente anti-clericale), cioè rinuncia all’esercizio del potere autoreferenziale e rispetto delle decisioni sinodali, e sarebbe bello se fosse imitata da molti altri vescovi (che invece in Italia si affrettano a destituire i sacerdoti «disobbedienti», come Francesco Cesaro, Giulio Mignani, Luca Favarin), poiché essa non sminuisce certo l’autorevolezza del vescovo: ammiriamo in H. Koch anche la saggezza pastorale che lo ha condotto a cercare un equilibrio fra la libertà della Chiesa locale e l’unità della Chiesa universale. Pur aprendo concretamente nuovi spazi di ascolto e di benedizione, H. Koch cerca di tenere conto anche delle ragioni contrarie, di mantenere aperto un canale di dialogo con Roma e di garantire la comunione fra i fedeli. È davvero un bell’esempio di sinodalità: il vescovo riconosce e accetta anche operativamente ciò che è stato deliberato dall’assemblea (cioè dall’ecclesia, che comprende religiose, religiosi, laiche e laici), senza imporlo a nessuno.
L’arcivescovo Koch riporta le ragioni dei fedeli contrari e di quelli favorevoli alla benedizione dell’amore omosessuale. Quindi, implicitamente, sta affermando un importante criterio di pastorale e forse anche di teologia morale: le norme e le scelte della Chiesa devono avere una motivazione etica. La Chiesa non può più pretendere obbedienza cieca, in nome della tradizione, senza discutere.
Se i dettami del Magistero non rivelano la plausibile, ragionevole e costruttiva tutela di un bene, di un bene efficace e comprensibile per gli esseri umani e per la loro salvezza, tali dettami fanno solo ripiombare le persone nella schiavitù della legge. Forse questo aspetto non viene ancora adeguatamente portato alla luce.
La Chiesa non può più chiedere l’assenso morale se il valore morale non diviene evidente. Per questo qualunque affermazione come “è la dottrina costante da duemila anni” è vuota e umiliante per la coscienza degli esseri umani e dei battezzati. È una forma di autoritarismo clericale volta solo a mantenere il potere.
Koch riporta alcune delle motivazioni dei fedeli contrari alla benedizione dell’amore omosessuale. Esse mi sembrano particolarmente degne di riflessione. L’amore omosessuale costituirebbe un peccato (che Dio quindi non potrebbe benedire) poiché contrario al disegno del Creatore inscritto nella creazione. Inoltre, la benedizione dell’amore omosessuale potrebbe confondersi con il sacramento del matrimonio e indebolirlo. Infine, la sessualità omosessuale non può essere approvata in quanto vissuta al di fuori del matrimonio,
Secondo queste idee, per il nostro Dio, che ha rivelato in Gesù Cristo il suo immenso amore, il piano puramente biologico (la differenza fra i sessi che consente la procreazione) sarebbe più importante della capacità di amore dell’anima umana. Il nostro Dio considererebbe la materialità dell’aspetto genitale più importante della forza etica dell’amore che cerca l’altr* per costruire insieme una vita di dono reciproco.
Mi sembra davvero una visione angusta, che ci restituisce un Dio arbitrario, astioso, insensibile. Un Dio incapace di apprezzare e promuovere l’impulso di amore delle sue creature. Un Dio che la (mia) coscienza non può riconoscere né amare. Inoltre, non si comprende in che modo benedire l’amore omosessuale possa indebolire il matrimonio sacramentale.
Le persone omosessuali che si amano, che scelgono una vita insieme e chiedono la benedizione di Dio stanno seguendo la loro natura e la loro vocazione relazionale: essa rimane distinta rispetto alla vocazione al matrimonio tradizionale, che deve essere scelto solo da chi possiede tutte le risorse (come l’orientamento eterosessuale) per costruire quel tipo di famiglia.
La mia relazione d’amore omosessuale non intende “convertire” nessuno all’omosessualità né deprezzare l’amore eterosessuale che sceglie di farsi progetto di famiglia né impedire ad altre donne e uomini di scoprire e vivere la loro vocazione al matrimonio tradizionale. Anzi, è auspicabile che tutt* fossero liber* di vivere in modo autentico e responsabile la loro apertura alla relazione che comunica l’amore anche attraverso i gesti dell’intimità.
È poi grottesca l’obiezione che l’omosessualità costituisca un peccato in quanto comporterebbe un esercizio anarchico della sessualità al di fuori del matrimonio: in un paradossale (se non colpevole) corto circuito, coloro che la sollevano sono proprio quei credenti bigotti e integralisti che escludono l’amore omosessuale da qualsiasi forma di riconoscimento e benedizione. Vi condanniamo perché non potete sposarvi, e siamo noi a decidere che non potete sposarvi.
L’evento pasquale e la fede in Gesù, invece, sono in grado di redimere la sessualità, etero- come omosessuale, plasmandola sempre di più come atteggiamento di dono reciproco, come relazione matura e responsabile che cerca, custodisce e costruisce giorno dopo giorno il bene dell’altr*.
La benedizione delle coppie omosessuali-nelle forme sperimentali già ritenute possibili in Germania, Austria e anche in Italia ha un suo profilo liturgico ed eucologico, che rievoca l’amore di Dio e ne invoca la Grazia come garanzia per questa crescita morale e spirituale.
* Antonio De Caro (Palermo 1970) collabora con La Tenda di Gionata per promuovere il dialogo fra condizione omosessuale e fede cristiana. Ha già tradotto dal tedesco i seguenti contributi: Teologi, biblisti e liturgisti cattolici si confrontano su “La benedizione delle unioni omosessuali (2020), “Mit dem Segen der Kirche?” La chiesa cattolica tedesca e le unioni omosessuali nell’ottica della pastorale (2019). Sul tema ha pubblicato anche i seguenti saggi: La violenza non appartiene a Dio. Relazioni omosessuali e accoglienza nella Chiesa (2021) e Cercate il suo volto. Riflessioni teologiche sull’amore omosessuale (2019).