Seguire Gesù senza mettere Dio in imbarazzo
Riflessioni di Anna Maffei, pastora battista, tratto da Riforma del 17 dicembre 2010
Nel film del 1977 «Oh God! » il protagonista, interpretato dall’attore John Denver, riceve messaggi da Dio che ha poi il compito di comunicare al mondo.
In una delle scene va ad ascoltare un predicatore nel contesto di una campagna evangelistica e a un certo punto interrompe il sermone dicendo al predicatore che Dio ha un messaggio proprio per lui. A quel punto lo guarda dritto negli occhi e gli dice: «Dio ti chiede di stare zitto, lo stai mettendo in imbarazzo!».
Questo episodio è l’incipit di un libro che sto leggendo in questi giorni e che si intitola «Seguire Gesù senza mettere Dio in imbarazzo» (nella versione inglese il titolo è «Following Jesus without embarassing God»).
È un libro di Tony Campolo, predicatore evangelico americano da sempre impegnato nell’evangelizzazione ma proprio per questo consapevole della responsabilità connessa a tale compito.
Chi di noi può dire di non aver almeno una volta pensato ad una frase simile a quella del film? Se facciamo zapping fra i tanti canali televisivi, quanti tele-evangelisti troviamo che ameremmo far tacere?
Le ragioni sono tante. Quando il culto è spettacolo del miracolo esibito, quando la predicazione è presuntuosa pretesa di sapere esattamente cosa Dio pensa su qualsiasi argomento, quando l’Evangelo viene presentato con toni minacciosi e l’accusa moralistica prende il posto dell’annuncio della grazia, quando l’Evangelo è business, mezzo di arricchimento per predicatori e chiese, e quando la ricchezza è contrabbandata come espressione di benedizione divina, allora grideremmo volentieri: «Basta, state mettendo Dio in imbarazzo!».
Così in molti siamo diventati sospettosi delle parole stesse missione, evangelizzazione, campagna evangelistica, appello alla nuova nascita.
Per paura di essere identificati con modelli missionari sbagliati, abbiamo finito per parlare dell’Evangelo soltanto fra le mura delle nostre chiese.
L’evangelizzazione è stata identificata con il proselitismo, il proselitismo con colonialismo culturale e mentalità di conquista e l’evangelizzazione è stata di fatto, se non in principio, accantonata.
Ma se siamo lettori assidui della Scrittura non possiamo evitare di considerare che la fede cristiana, è vero, non va esibita ma condivisa sì. Che non dobbiamo essere invadenti – Cristo non lo fu mai – ma neppure pensare che il messaggio evangelico sia di nostra esclusiva proprietà.
C’è un testo degli Atti degli apostoli che è stato posto all’attenzione di un recente raduno delle chiese battiste sulla missione.
Il testo racconta di una visione che l’apostolo Paolo ebbe durante il suo impegno evangelistico nella città di Corinto. In quella visione notturna il Signore gli disse: «Non temere, ma continua a parlare e non tacere perché io sono con te, e nessuno ti metterà le mani addosso per farti del male, perché io ho un popolo numeroso in questa città» (18, 9-10).
Questo appello al coraggio significava per Paolo superare il timore di soffrire per mano dei suoi oppositori sulla base di due verità. La prima: Io sono con te. Cristo stesso era con Paolo mentre annunciava l’Evangelo. Era con lui per dargli forza, chiarezza, potenza di parola, lungimiranza, fede.
La seconda ragione era che Cristo aveva in Corinto un popolo numeroso. Il Signore offrì a Paolo in visione un particolarissimo sguardo dal futuro. Quello sguardo chiamò Paolo, gli diede direzione, ispirazione. Gli diede coraggio. Paolo rimase a Corinto un anno e mezzo.
Visione e vocazione sono qui collegate strettamente. La vocazione è lo sguardo di Dio su di noi: egli ci vede non per quello che siamo ma per quello che saremo, per quello che Egli potrà fare anche attraverso di noi inserendoci nel suo progetto di salvezza per il mondo.
La visione ci indica la direzione, essa ci attira verso il futuro di Dio: «Io ho un popolo numeroso in questa città».
Se Paolo non avesse obbedito alla visione non ci sarebbe stata la bella e complicata chiesa di Corinto e quindi non avremmo avuto quelle miniere d’oro che sono le lettere di Paolo ai Corinzi.
Che perdita irreparabile sarebbe stata! C’eravamo anche noi, allora, in un certo senso in quel «popolo numeroso» indicato da Cristo nella visione di Paolo!
Occupata da questi pensieri considero le nostre paure, mentre mi martellano nel cuore quelle parole visionarie: «… continua a parlare e non tacere perché io sono con te».
È giusto – penso – non voler imbarazzare Dio con modelli evangelistici inadeguati ed offensivi, eppure non rischio di imbarazzarlo anche io con il mio timoroso silenzio?