Sei parabole LGBT del gesuita James Martin per tutti i cattolici
Articolo di padre James Martin SJ* pubblicato sul sito del settimanale gesuita America (Stati Uniti) il 5 marzo 2018, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Fin dalla prima edizione del mio libro Building a Bridge (Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt, Editore Marcianum, 2018) ho avuto il piacere di parlare in molte parrocchie, università, ritiri spirituali e istituzioni cattoliche. Ogni volta le persone LGBT e le loro famiglie hanno condiviso le loro esperienze con me: alcune di esse erano così significative che per me sono diventate quasi delle parabole. Nella nuova edizione rivista e ampliata del mio libro ho incluso sei di queste storie.
Una famosa definizione delle parabole è quella data dal biblista C. H. Dodd: una parabola è una storia concepita “per stuzzicare la mente perché pensi attivamente”. I racconti hanno la capacità di aprirci la mente lì dove le definizioni non possono arrivare. Questa è una delle ragioni per cui Gesù le ha utilizzate massicciamente nel suo ministero pubblico, come invito, rivolto a chi lo ascoltava, a vedere la vita da un’altra prospettiva. Spero che queste storie di cattolici e cattoliche LGBT vi stuzzichino la mente a pensare attivamente.
1. Uno dei miei più vecchi amici è un gay di nome Mark, che un tempo faceva parte di un ordine religioso cattolico. Circa vent’anni fa, dopo aver abbandonato l’ordine, uscì allo scoperto come gay e iniziò a convivere con il suo compagno, con il quale oggi è legalmente sposato. Il suo compagno è affetto da una malattia molto seria, che lo sta consumando lentamente: Mark si sta prendendo cura di lui da molti anni con grande devozione e amore.
Cosa ci insegna Mark sull’amore?
2. Un uomo anziano mi disse che suo nipote aveva fatto di recente coming out come gay. Gli chiesi cosa gli avesse risposto: mi disse che lo sospettava da tempo, e quando suo nipote lo fece sedere per dirglielo, prima che una sola parola gli venisse alle labbra, il nonno gli disse “Ti voglio bene qualsiasi cosa dirai”.
Cosa ci insegna questo nonno sulla compassione?
3. Dopo una conferenza in un’università cattolica di Philadelphia, un ragazzo mi disse che la prima persona con cui uscì allo scoperto come gay fu un sacerdote cattolico. Nel periodo del liceo, durante un ritiro, decise di rendere pubblica la sua omosessualità, ma era così nervoso che era “letteralmente squassato dai brividi”. La prima cosa che il sacerdote gli disse fu “Gesù ti ama, e la tua Chiesa ti accetta”; il ragazzo mi disse “Questo mi ha salvato la vita”.
Cosa ci insegna questo sacerdote sull’accettazione?
4. Una donna ottantenne, dai capelli bianchi come la neve e i pomelli rossi, venne da me dopo una conferenza in Connecticut e mi disse “Padre, devo dirle qualcosa”. La conferenza verteva su Gesù, non specificamente sulle questioni LGBT. Pensavo mi volesse dire cosa pensava di Gesù o che mi volesse parlare del suo pellegrinaggio in Terra Santa, invece mi disse “Padre, mia nipote è transgender, e le voglio un bene da morire. Vorrei solo che si sentisse accolta nella Chiesa”.
Cosa ci insegna questa nonna sulla fede?
5. In una parrocchia di Boston un uomo gay e una donna lesbica furono invitati a rispondere a una mia conferenza che aveva come tema i cattolici e le cattoliche LGBT, con lo scopo di avviare una vera discussione. Nella sua risposta la donna, di nome Maggie, scelse di parlare di una domanda che appare alla fine del mio libro: “Quando pensate al vostro orientamento sessuale o alla vostra identità di genere, quali parole utilizzate?”. La mia intenzione era di invitare i lettori a riflettere su alcuni passi biblici che riguardano i nomi e l’atto di assegnare un nome, per invitarli a “dare un nome” alla loro sessualità.
Mi aspettavo parole come “gay”, “lesbica” o “bisessuale”, ma quella sera, in quella parrocchia, Maggie disse che, quando lesse la domanda e pensò alla sua sessualità, la parola che le venne in mente fu “gioia”. Che sorpresa!
Cosa ci insegna Maggie sulla sessualità?
6. Ecco forse la sorpresa più grande: la stessa sera, a Boston, una coppia si trattenne per farsi firmare il libro. La coppia era formata da una donna transgender, ovvero una donna che aveva iniziato la sua vita da maschio, e una donna cisgender, ovvero una donna che era sempre stata femmina. (Ho cercato di aggiornarmi sulla terminologia, ma riconosco che questi termini invecchiano velocemente.)
La donna cisgender mi disse che erano sposate da molti anni, il che mi lasciò perplesso, visto che il matrimonio omosessuale era legale da pochi anni in Massachusetts. La donna capì la mia perplessità, sorrise e disse “L’ho sposata quando era ancora un uomo”.
Tacqui, molto sorpreso. Ecco qui una donna, apparentemente eterosessuale, che aveva sposato un uomo eterosessuale che ora era una donna. Come ci era riuscita? “L’amore è amore” disse.
Ecco qui un matrimonio che qualsiasi sacerdote, o quasi, definirebbe “irregolare”, per usare la terminologia ecclesiastica ufficiale, ed ecco qui un modello di fedeltà: anche dopo che uno degli sposi aveva compiuto la “transizione”, il matrimonio era intatto.
Cosa ci insegna questa coppia sulla fedeltà? Ora, cosa ci insegnano queste storie? Ci invitano a vedere la vita in modo nuovo? Cosa vuole insegnarci Dio?
* Il gesuita americano James Martin è editorialista della rivista cattolica America ed autore del libro “Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt” (Editore Marcianum, 2018). Padre James sará ospite, con un contributo sull’accoglienza delle persone lgbt nella chiesa cattolica, al prossimo incontro mondiale delle famiglie cattoliche di Dublino e porterà una sua riflessione anche al 5° Forum dei cristiani LGBT italiani (Albano Laziale, 5-7 ottobre 2018).
Testo originale: Father James Martin: Lessons for all Catholics from six L.G.B.T. parables