Sentirsi donna in un corpo di uomo. Per un approccio scientifico che rispetti l’essere umano
Testimonianza di Marie-Noelle tratta del dicembre 2005, liberamente tradotta da Erica
Fino ad ora, la maggior parte di articoli e lavori scientifici che parlano di omosessualità, transessualità, intersessualità , o bisessualità sono scritti da persone che non sono in queste condizioni. La maggior parte di questi autori si permette di parlare di una condizione che non conoscono, e senza nemmeno cercare di capire come vivono le persone che si trovano in questo movimento.
Ci sono, fortunatamente, alcune eccezioni, come Mildred Brown [1], Randi Ettner [2] Marina Castaneda [3] e Anne Fausto-Sterling [5]. Ma la maggior parte non si preoccupa nemmeno di far finta di capire le condizioni di cui parlano e si permettono di utilizzare un linguaggio scientifico e medico per cercare di giustificare i loro pregiudizi e incomprensioni.
A questo titolo, le produzioni di J. Michael Bailey e quelle di Colette Chiland sono le più caratteristiche. Alcuni autori come J. Michael Bailey, arrivano perfino ad osare di affermare che tutte le persone che non sono d’accordo con loro sono nel rifiuto!
Questa situazione che esiste da decenni, ha per conseguenza che vi è una vera guerra di trincea tra le persone transessuali e il corpo medico. Il conflitto è forse meno vivace tra omosessuali e terapeuti, ma è anche assai resistente e questi ultimi non sono obbligati a passare nelle mani degli psichiatri per salvaguardare la propria esistenza.
A loro volta, le persone intersessuate devono ricorrere a metodi molto aggressivi per fare sentire la loro voce e per impedire che continuino mutilazioni forzose, che impongono loro alcuni medici violentemente omofobi [5]. In “Un modo di essere” [8], Carl Rogers racconta la storia di una donna di nome Ellen West e la maniera terrificante in cui è stata ‘presa in carico’ dagli psichiatri negli anni ’40. Questa storia ci fa venire freddo alla schiena e ha di che provocare disgusto in molti lettori!
Ma si scopre che, 60 anni dopo, il trattamento che subiscono, tra le altre, le persone transessuali è spesso ancora peggio! La mancanza di etica dei medici che hanno il coraggio di comportarsi in questo modo, e di infliggere i loro pregiudizi ad alcuni dei loro pazienti ha qualcosa per cui si deve reagire.
Ma il fatto che tutto un potere scientifico tolleri tali pratiche e legittimi l’uso del linguaggio medico, al fine di stigmatizzare le persone e di trasformare in “malati” persone che cercano semplicemente di essere se stesse è sufficiente per interrogare tutta la società.
Le persone transessuali che hanno gestito la loro transizione e hanno trovato il loro posto nella società hanno imparato a diffidare come della peste bubbonica di studi scientifici che vengono eseguiti su di loro.
Si vuole bene loro come a cavie, come soggetti che rispondono a questionari, ma non le si vogliono soprattutto nelle equipe di ricerca per individuare gli studi, i questionari, ecc. Inevitabilmente, esse non si ritrovano in nessuno dei risultati pubblicati senza di loro quando non è contro di loro, e la sfiducia non fa che aumentare.
Negli Stati Uniti, le reti sono sufficientemente organizzate per poter reagire agli attacchi più oltraggiosi. Per esempio, il caso dell’ “affare Bailey” in cui la comunità LGBTI ha potuto mettere in evidenza e lottare con successo contro le proposte diffamatorie ed i comportamenti che non avevano niente a che vedere con l’etica alla quale un ricercatore dovrebbe conformarsi.
Alcuni anni fa, Milton Diamond [10] era stato ugualmente in grado di dimostrare che i “lavori” di John Money sui quali i medici si basavano per operare forzosamente neonati intersessuali e per negare qualsiasi appoggio alle persone transessuali erano dei falsi.
Ma piuttosto che incoraggiare il dialogo, questi successi hanno prodotto il silenzio. Non potendo più fare qualunque cosa impunemente gli istituti accademici ed i ricercatori hanno preferito cambiare argomento e soprattutto non parlare con le persone che hanno stigmatizzato in maniera ingiustificabile.
Sono passati più di venti anni ed è ancora Carl Rogers che ha avuto il coraggio di chiedere quando i ricercatori ed i terapeuti “avranno finalmente il coraggio di sbarazzarsi della loro professionalità” [8], con tutto ciò che ha di disumanizzante. La situazione molto conflittuale che ho appena descritto dimostra chiaramente quali conseguenze catastrofiche questa disumanizzazione possa produrre.
L’interrogativo di Carl Rogers mi sembra essenziale per giungere ad un metodo scientifico e a dei lavori di ricerca, che siano profondamente rispettosi delle persone, che metterà fine alla negazione della parte affettiva di ogni essere umano da parte del mondo accademico e che permetterà di realizzare un riavvicinamento tra il mondo delle persone LGBTI ed i terapeuti, che siano parte del mondo accademico o no .
Tale metodo deve:
• Rispettare e tenere pienamente conto della dignità degli esseri umani
• Astenersi da qualsiasi forma di manipolazione e di uso di questi ultimi (non si trattano gli esseri umani come delle cose)
• Abolire la distanza ( cosiddetta scientifica o terapeutica) che conduce a tali errori
• Cercare di capire gli esseri umani studiati come dovessero capire se stessi
• Integrare persone appartenenti a gruppi sociali studiate nelle equipe di ricerca e di dipartimento.
• Promuovere il dialogo tra le persone (e i gruppi) studiati e l’equipe di ricerca.
• Consentire ai singoli (e ai gruppi) studiati di influire sui protocolli di ricerca, o anche cercare di creare propri lavori.
• Tenere pienamente conto sia della dimensione affettiva delle persone studiate che dei membri dell’ equipe di ricerca
• Evidenziare e rendere esplicite le priorità dei membri dell’equipe di ricerca, compreso nel lavoro di pubblicazione
E’ a questo prezzo che sarà possibile portare avanti lavori pertinenti, in cui le persone si possano riconoscere e che consentono una riconciliazione tra il mondo accademico e le persone del movimento LGBTI.