Sesso, droga e poco rock and roll
Riflessioni inviateci da Massimo Battaglio
Questo articoletto potrebbe essere archiviato nell’angolo del bacchettone: quello che, sul sesso, ha sempre qualcosa in contrario.
Il problema nasce dal fatto che vedo sempre più pareri, diciamo così, “libertari”, nei confronti del chemsex, cioè dell’uso di stupefacenti durante il rapporto sessuale. Non è certo un problema tipicamente omosessuale; è un fenomeno diffuso in modo trasversale.
Eppure, i pareri che sento arrivano solo da amici attivisti lgbt, sinceri e all’avanguardia, che lavorano anche a nome di importanti associazioni. In ambito eterosessuale, non solo non si problematizza ma proprio non se ne parla.
Cari amici (vorrei dire loro): immagino che tutti voi siate contrari all’uso di stupefacenti nella vita, in particolare quando sono pesanti, danno dipendenza, distruggono lentamente la persona e richiedono, per la loro produzione, prassi di schiavizzazione e distruzione di intere popolazioni.
Perché, allora, il chemsex dovrebbe essere accettato in nome di una teorica libertà di autodeterminazione?
E’ giusto che chi si muove su questi argomenti sia immediatamente bollato come moralista?
Perché non ci si comporta con il chemsex come con qualunque altra tossicodipendenza, cioè valutandolo come espressione di un disagio contro le cui cause è necessario lottare?
Il sesso è un’area franca in cui non solo “tutto è lecito” ma tutto è bene anche se finisce male?
Sì, lo so, è in gioco il libero arbitrio, la responsabilità individuale che appartiene solo a se stessi, il valore educativo del poter compiere gli errori che si preferisce. E posso dire? Non sono mica tanto d’accordo (sono libero di non essere tanto d’accordo, no?).
Secondo me, la mia libertà non finisce solo quando si scontra con la libertà di un altro. Finisce anche quando lede la mia, di libertà. E un comportamento autolesionista è esattamente questo: autodistruzione della propria libertà. Bisogna parlarne senza moralismi e condanne ma nell’intento di liberarcene, non di tollerarlo o addirittura benedirlo.
E poi, sarà il mio retaggio cattolico e patapim e patapam ma non sono mica tanto d’accordo che ciascuno sia l’amministratore unico di se stesso. Quando mi offro a un compagno, non sono più solo mio. Almeno in quel momento, nel sesso, la mia e la sua vita sono affidate a entrambi e formano quella terza entità, la coppia, di cui entrambi siamo responsabili.
Ricordo il delitto Varani ma ricordo soprattutto un amico a me più vicino (in passato era stato anche più di un amico) che, trasferitosi a Londra (era un tipo che stava male ovunque lo mettevi), cominciò a sperimentare il chemsex. Tornò quando non ne poteva più, mezzo rovinato, ma non riuscì a smettere. Ricordo i suoi ultimi giorni. Non era nè libero, nè consapevole, nè tantomeno felice. Ora non è più qui per raccontarlo.
Piano, molto piano con la propaganda a strategie di morte!