Sfide pastorali nel confrontarsi con le persone omosessuali. Guardare la persona con amore
Articolo di Georg Dietlein* pubblicato sulla rivista Anzeiger für die Seelsorge, (Germania), 2/2016, pp.34-36, liberamente tradotto da Emilio M.
Contrariamente a quanto suggeriscono i media in Germania, il Sinodo dei Vescovi a Roma non si è occupato esclusivamente dell’accesso alla comunione da parte dei divorziati risposati. C’è stata anche una discussione controversa – basata sull’ideale della famiglia cristiana – su altre situazioni di vita in cui la Chiesa deve dare una risposta pastorale: le coppie conviventi non sposate, i divorziati soli, le madri single, i non praticanti e i non credenti che chiedono il matrimonio, e anche le coppie conviventi dello stesso sesso, che dopo tutto sono coperte da 11 dei 159 paragrafi del documento preparatorio.
Il sottotitolo di questo articolo (Guardare la persona con amore) chiarisce già che qui si tratta soprattutto di risposte pastorali e meno di valutazioni teologiche morali – proprio come nel caso del Sinodo dei Vescovi a Roma. Il fatto che gli atti omosessuali siano “intrinsecamente sbagliati” secondo l’insegnamento della Chiesa e sollevino questioni morali è un lato della medaglia. Tuttavia, spesso si dimentica l’altra faccia, molto più importante: come possiamo noi, come Chiesa, avvicinarci alle persone con tendenze omosessuali e accompagnarle pastoralmente? Come possiamo adattare, per così dire, la cura pastorale di Gesù, che ci dice: “Neppure io ti condanno. Va’ e non peccare più d’ora in poi!”. (Gv 8:11)
È sorprendente come alcuni ambienti ecclesiastici vogliano ancora “curare” l’omosessualità. I ricercatori non sono ancora completamente d’accordo sulle origini esatte dell’omosessualità. Tuttavia, c’è consenso sulla seguente affermazione: l’orientamento omosessuale è una caratteristica che si sviluppa presto nella vita, è relativamente stabile e non può essere modificata in modo significativo.
Accettare sé stessi
Il fatto che un atteggiamento di stima, rispetto e tolleranza nei confronti delle persone omosessuali non sia ancora arrivato in alcune parti della nostra società è dimostrato, ad esempio, dal fatto che l’insulto “frocio” è uno dei più popolari nei cortili delle scuole tedesche. Non tutti sono in grado di considerare correttamente l’omosessualità, per cui alcune persone provano ancora avversità verso gay o lesbiche che si baciano in pubblico o che camminano per strada tenendosi per mano. Ma anche un orientamento omosessuale non vissuto può cambiare l’intera immagine che abbiamo di una persona. Distinguere tra l’orientamento omosessuale e gli atti omosessuali non è sempre stato facile nemmeno per alcuni rappresentanti della Chiesa.
Finora l’autorità didattica della Chiesa non si è discostata esplicitamente dal definire un orientamento omosessuale come “disordinato”. Questa valutazione può certamente essere criticata e messa in dubbio – da un lato, perché non aiuta molto le persone omosessuali ad accettare la loro inclinazione e ad integrarla nella loro personalità, e dall’altro, perché il loro orientamento sessuale in quanto tale non è riprovevole, modificabile o colpevole. Se si possa definire naturale o innaturale un’inclinazione omosessuale è in definitiva una questione di concetto di natura. Se si utilizzasse l’appellativo “naturale” in senso creazionistico-teologico, si dovrebbe di conseguenza descrivere anche il celibato come innaturale o addirittura contro natura. In ogni caso, se questo termine viene utilizzato in senso moralistico appare fuori luogo.
Verso una pastorale per le persone omosessuali
In un’intervista con Antonio Spadaro Sj, Papa Francesco ha usato una frase che può contribuire ad ampliare il punto di vista spesso moralmente teologico della Chiesa sulla omosessualità in un contesto pastorale: “Quando Dio guarda una persona omosessuale, la guarda con amore o la condanna e la respinge?”. In questo contesto si inserisce anche una frase che Papa Francesco ha pronunciato sull’aereo dal Brasile a Roma: “Se una persona è omosessuale e cerca Dio, chi sono io per giudicarla?”. Queste domande retoriche possono contribuire a sensibilizzare sul fatto che l’accettazione delle persone omosessuali pesi più degli sbrigativi giudizi su di uno stile di vita che non è necessariamente problematico
Per lungo tempo, una pastorale per le persone omosessuali è stata considerata un argomento delicato per molte diocesi. Tuttavia, si sta delineando un clima di rinnovamento in questo campo. Ad esempio, l’Arcidiocesi di Colonia e l’Arcidiocesi di Friburgo hanno designato due referenti in questo settore. Va sottolineato che una pastorale per le persone omosessuali non dovrebbe mai consistere nella creazione di una cultura parallela all’interno della Chiesa. L’accompagnamento adeguato non dovrebbe essere isolato dall’assistenza spirituale generale. Si tratta di integrare pienamente le persone omosessuali nella vita quotidiana della Chiesa, ma anche di considerare attentamente il loro stile di vita particolare e le loro domande, preoccupazioni, problemi e bisogni. Messe LGBT o “servizi di culto queer” con paramenti arcobaleno sono stati altrettanto controproducenti quanto i mercatini di Natale gay e lesbici che hanno dato origine a una cultura parallela, contraria o addirittura di protesta. Le persone di orientamento omosessuale non sono definite esclusivamente dalla loro inclinazione sessuale e non devono essere ridotte a essa. Giustamente, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, nel 1981, sottolineava in una lettera al gruppo “Omosessuali e Chiesa” di Monaco che non si dovrebbe vedere la persona in questione solo come omosessuale, “come se la sua esistenza si riducesse alla sua sessualità e la definisse completamente”.
Note di teologia morale
La fisicità dell’essere umano è un grande dono. Essa orienta l’essere umano verso l’altro e lo rende capace e bisognoso di amore e di relazione. La nostra sessualità, che tra l’altro ha più sfaccettature della sfera genitale, è un mezzo di comunicazione in cui si esprimono amore, fedeltà e devozione. Tuttavia, noi esseri umani dobbiamo anche coltivare e ordinare la nostra sessualità in continuazione. Le persone possono infatti vivere sia l’orientamento eterosessuale che quello omosessuale in modo negativo e distruttivo. Il Magistero intende fornirci alcune indicazioni e consigli per non rimanere focalizzati solo su noi stessi nella nostra sessualità, ma per condividere questo prezioso dono in una relazione fedele e affidabile – il matrimonio – e al tempo stesso rimanere aperti alla vita. Questa “teologia del corpo” può essere estremamente importante e illuminante, come sanno bene soprattutto i giovani che hanno avuto esperienze negative in tal senso. Allo stesso tempo, come Chiesa, non dovremmo restringere la nostra visione a una “teologia morale della camera da letto” o su un dettagliato elenco dei peccati che informa su cosa sia consentito o meno “tra le lenzuola”. Ciò rischierebbe di distogliere lo sguardo da ciò che la Chiesa cerca di comunicare: che la sessualità è un dono prezioso che ha a che fare essenzialmente con l’amore, la fedeltà, la dedizione e la trasmissione della vita.
Una visione globale della omosessualità
Spesso dimentichiamo che c’è una grande differenza tra l’orientamento omosessuale, una relazione omosessuale e l’atto sessuale in sé. Così come non devo automaticamente presumere che ogni coppia eterosessuale abbia rapporti sessuali al di fuori del matrimonio, allo stesso modo non devo assumere che una relazione omosessuale, in cui due partner si prendono fedelmente responsabilità reciproca, sia necessariamente un grave peccato. Ci sono persone omosessuali single e coppie dello stesso sesso che hanno scelto consapevolmente di vivere la loro vita secondo il Vangelo e di astenersi (almeno) dalla sessualità genitale. Pertanto, sarebbe sbagliato condannare preventivamente le coppie omosessuali che si amano, si promettono fedeltà e si assumono responsabilità reciproche. Sebbene tale relazione non conduca mai a ciò a cui una partnership tra uomo e donna può e dovrebbe alla fine portare, per una persona con sentimenti omosessuali, una relazione, anche se casta, può essere il percorso più realistico e appagante rispetto a una vita da single, che comporta anche sfide e tentazioni.
Certamente, il percorso di una relazione casta sarà solo un’opzione per pochissime persone. È un cammino difficile, che comporta purificazione, maturazione e prove dell’eros, ma alla fine non è utopico, specialmente se confidiamo nella grazia di Dio che opera nella Chiesa e nei suoi ministri (il sacramento della riconciliazione, la direzione spirituale, le consulenze individuali e di coppia). Allo stesso modo, la Chiesa ritiene che il percorso della castità possa essere un’opzione per le persone divorziate e risposate (Giovanni Paolo II, Familiaris consortio 84). La Chiesa dovrebbe incoraggiare anche le coppie dello stesso sesso a intraprendere un tale cammino di astinenza e accompagnarle nei momenti alti e bassi di tale relazione. In questo modo, offre alle persone con inclinazioni omosessuali almeno un percorso per accettare il loro orientamento sessuale in modo positivo e integrarlo nella loro personalità. Quanto i partner gestiscano la sessualità in senso più ampio (tenerezza, intimità fisica, baci) è un’altra questione. Obiettivamente, non si tratta di un comportamento peccaminoso. Tuttavia, l’esperienza ci insegna che, come avviene per le coppie eterosessuali, lo scambio di affetto può facilmente sfociare in attività sessuali genitali e la vicinanza fisica ed emotiva può richiedere attività sessuale.
Guardare le persone con amore
Finché si esclude l’aspetto della sessualità genitale, può emergere anche un aspetto positivo nella relazione di due uomini o due donne che hanno un’attrazione omosessuale, anche se la Chiesa incoraggia ogni persona con inclinazioni omosessuali a una vita celibe. Quando i partner dello stesso sesso portano quotidianamente la loro croce insieme, si sostengono reciprocamente e assumono anche responsabilità legali l’uno per l’altro, tale relazione presenta somiglianze significative con una relazione eterosessuale non coniugale o prematrimoniale.
Chi desidera condividere una vita di castità con un partner dello stesso sesso intraprende un percorso in cui può realizzare il proprio orientamento sessuale in modo ordinato, con fedeltà e dedizione per tutta la vita. Se scegliere di rimanere single sia effettivamente meglio, è quantomeno discutibile. In ogni caso, una relazione di vita fedele e responsabile presenta un “plus morale” rispetto allo stile di vita di molti omosessuali che cambiano regolarmente partner. Naturalmente, sarebbe preferibile che le persone con inclinazioni omosessuali rinunciassero completamente alla sessualità genitale e, come afferma il Catechismo, “unissero le difficoltà che possono sorgere dalla loro condizione con l’offerta della croce del Signore”.
Fondamentale per la pastorale quotidiana sarà partire dal Vangelo di Cristo. Dio accoglie ogni persona come individuo e la accetta con i suoi errori, le sue debolezze e anche nella sua identità sessuale. Egli sa quanto sia difficile per molte persone oggi affrontare e accettare la propria identità sessuale. La Chiesa dovrebbe incoraggiare le persone con orientamento omosessuale a non reprimere la propria attrazione sessuale, ma ad integrarla nella propria personalità. Guardando positivamente al proprio corpo, l’essere umano diventerà ancora più capace di donarsi agli altri e accettare la propria vita come significativa. In questo modo, la persona sperimenterà anche l’amore con cui Cristo accoglie e guarda l’intera persona.
* Georg Dietlein, classe 1992, ha studiato cattolicesimo Teologia e diritto a Bonn, lavora come avvocato a Colonia.
Testo originale: « Die Person mit Liebe anschauen: Pastorale Herausforderungen im Umgang mit homosexuell empfindenden Personen