Omosessualità. Una proposta etica
Intervista di Silvia Lanzi al teologo Giannino Piana
L’immagine di copertina è di quelle che colpiscono per la sua essenzialità. Una mano, dietro cui se ne intuisce un’altra come se fossero unite in preghiera. In primo piano, un anello formato da tanti piccoli cerchietti colorati che riprendono quelli dell’orgoglio gay. Un ossimoro per immagini. O forse no. Come argomenta con chiarezza all’interno di quelle pagine il teologo Giannino Piana. Un’analisi puntuale, densa e chiarissima, l’esposizione di una riflessione lunga e serena, di un pensiero assolutamente condivisibile.
È così che si presenta “Omosessualità – una proposta etica” uscita lo scorso anno per i tipi della Cittadella Editrice: una riflessione, appunto, di ampio respiro su cosa significhi essere omosessuali e di come sia possibile, anzi doveroso, rendere feconda questa modalità dell’esistenza. Il professor Piana*, ha risposto gentilmente alle domande, che mi ha suscitato la lettura.
Inizio dalla fine. Stranamente, o forse no, ciò che mi ha colpito di più sono i testi in appendice: quelli del Magistero delineano un omosessuale malato e, per così dire, minorenne a vita.
La chiesa di questi documenti mi sembra molto normativa e coercitiva, addirittura terrorista. Ma è davvero così, o i documenti citati in appendice sono, per così dire, un po’ vecchiotti?
Intanto dico subito che i documenti citati – quelli posti in appendice e quelli presenti nell’ambito del testo – appartengono tutti al periodo postconciliare ed esprimono la posizione ufficiale attuale del magistero della chiesa.
E’ senz’altro esagerato parlare di chiesa terrorista o affermare che l’omosessuale venga dipinto come un malato o un minorenne a vita.
Ma le posizioni espresse sono senza dubbio rigide: l’assunto di fondo, che viene sistematicamente ribadito, in forma quasi ossessiva, è la distinzione tra la tendenza (o l’orientamento) omosessuale, che non può (e non deve) essere giudicata, e l’atto (e il comportamento) omosessuale che viene, invece, dichiarato “intrinsecamente cattivo” sul terreno morale.
E’ evidente che questo penalizza gravemente la persona omosessuale, che viene sollecitata a vivere la castità, con l’esclusione perciò di ogni rapporto di coppia.
“La relazione viene prima delle modalità in cui si incarna”. Essere-in-relazione significa essere compiutamente umani. Condivido dunque sono?
La relazione non è, in ambito umano, qualcosa di accidentale; appartiene costitutivamente all’essere della persona, che è per definizione soggetto di relazione e che pertanto si realizza solo dando vita a relazioni vere.
In questo senso è molto vera l’affermazione “condivido, dunque sono”; solo nella condivisione della vita con l’altro è infatti possibile diventare compiutamente se stessi, acquisire in pienezza la propria identità.
Ce lo insegna la stessa psicologia, la quale ci ricorda che personalizzazione e socializzazione sono processi interdipendenti. E’ questa la ragione per cui ritengo che anche nella riflessione etica sull’omosessualità occorra abbandonare il tradizionale paradigma “naturalistico”, che la chiesa cattolica tuttora privilegia, per assumere un paradigma “relazionale”.
Il criterio primario di valutazione del comportamento, sia in ambito eterosessuale che omosessuale, deve essere la misurazione della capacità che, in entrambi i casi, si ha di costruire relazioni interpersonali vere e reciprocamente arricchenti. Tutto il resto viene dopo e va subordinato a questo criterio.
Mi piace quando lei, parlando di omosessualità, la definisce “uno status esistenziale in cui è possibile vivere in pienezza la ricerca della realizzazione personale e dello sviluppo di relazioni umane autentiche” e che, al di là di sterili polemiche essa ci porta al cuore del “mistero della persona umana”.
Sempre più la chiesa (la comunità dei credenti) si interroga su questo mistero. Secondo lei questa domanda di senso verrà accolta anche dalle “alte sfere”?
Vorrei anzitutto insistere sul “mistero della persona”. Credo sia giusto che le diverse discipline scientifiche, che fanno capo alle scienze umane e alle scienze della natura, si interroghino sulle ragioni che determinano in una persona l’orientamento omosessuale.
Ma rimango convinto (e la conferma viene anche dall’attuale stato di difficoltà a pervenire a una posizione comunemente accettata) che tanto l’omosessualità quanto la eterosessualità, soprattutto se si fa riferimento all’esperienza delle singole persone mai del tutto oggettivabile, rimangano in definitiva enigmatiche perché strettamente legate al mistero della persona, di cui la sessualità è una dimensione costitutiva.
Si tratta in ambedue i casi di status esistenziali che, sia pure in forme e secondo modalità diverse, sono aperte alla realizzazione personale, che – come ho già ricordato – non può che avvenire nell’ambito della vita relazionale.
Non so, ovviamente, dire se e quando la gerarchia cattolica accoglierà questa visione. So però che esistono sacerdoti e vescovi – e non sono pochi – che si interrogano sulla questione omosessuale e che avvertono la necessità di una revisione della posizione tradizionale.
Perché, se è vero come è vero, la sessualità è espressione del dono reciproco tra due persone anche a prescindere dalla procreazione – lo afferma lo stesso Magistero – essa viene vista solo, o prevalentemente, come esercizio della genitalità, deprivandola del suo reale significato?
La riduzione della sessualità alla genitalità viene da lontano. E’ frutto del dualismo, che ha caratterizzato fin dall’inizio il pensiero occidentale – dal platonismo allo gnosticismo e al manicheismo – e che è di per sé estraneo alla originaria tradizione ebraico-cristiana.
La chiesa ha tuttavia assimilato, a partire dai primi secoli, tale visione, fornendole il supporto della propria autorevolezza e contribuendo ampiamente alla sua diffusione. La separazione tra corpo e anima e la concezione del corpo come semplice strumento sono la causa della identificazione della sessualità con la genialità. E’ stata per prima la psicanalisi freudiana a farci uscire da questa visione riduttiva ed equivoca.
La libido è infatti interpretata da essa come una energia vitale, che coinvolge la persona nella sua totalità e in tutte le fasi del suo sviluppo. Come tale, essa è la radice stessa della relazionalità, che si sviluppa a tutti i livelli e su tutti piani della esperienza umana: da quello fisico a quello affettivo fino a quello spirituale.
La sessualità ha dunque in sé come significato fondamentale quello di diventare espressione del dono reciproco.
Ma la possibilità che questo si verifichi è legata a un processo di maturazione della persona, alla capacità cioè di integrarla nella pienezza della propria esistenza personale, vincendo le resistenze che provengono dagli impulsi istintivi lasciati a se stessi e che rischiano di essere oggi fortemente alimentati dalla cultura consumista dominante che tende a mercificare anche il sesso.
L’interpretazione di alcuni passi scritturistici come condanna senza appello dell’omosessualità è del tutto sorpassata, come sottolineato da lei e da innumerevoli altri teologi, eppure il Magistero continua ad aggrapparvisi con le unghie e coi denti.
Secondo lei non è perché ha paura di ciò a cui una serena ammissione – almeno sull’esatta filologia, traduzione e interpretazione dei passi in questione (e non si tratta certamente di esegesi, ma di un esercizio che ogni serio studioso degli scritti di qualunque antica civiltà dovrebbe compiere) – potrebbe portare?
I passi scritturistici che si riferiscono all’omosessualità sono pochi e la loro interpretazione è complessa. Non si può negare che il giudizio che emerge è, nell’insieme, un giudizio di condanna. Ma è evidente che tali passi vanno accostati tenendo in considerazione il contesto socioculturale in cui sono nati, dove scarse sono le conoscenze del fenomeno omosessuale, al punto che talora la ragione della condanna è la stretta connessione con l’idolatria.
E’ poi singolare che i vangeli sinottici, i quali riferiscono la predicazione di Gesù, non esprimono alcun giudizio sull’omosessualità: si tratta di un silenzio eloquente che non può non sorprendere e che deve essere seriamente tenuto in conto.
Forse proprio da questo dovrebbe prendere spunto il magistero della chiesa per riformulare la propria posizione sull’omosessualità e, più in generale (ma questo esula dal tema dell’intervista), su tutte le tematiche connesse all’esercizio della sessualità.
Una lettura che ci aiuta ad uscire dallo stereotipo ed a entrare nel mistero di ogni uomo. Una lettura inderogabile per quanti, penso in primo luogo agli insegnanti, si trovano a dover accompagnare gay e lesbiche nel loro cammino di crescita.
UN ASSAGGIO DAL LIBRO…
“L’atteggiamento dell’opinione pubblica nei confronti dell’omosessualità è, negli ultimi decenni, notevolmente mutato, grazie a un insieme di eventi che hanno positivamente concorso a far cadere alcuni stereotipi sociali e culturali per molto tempo imperanti”
Non ultimo ha concorso, “in misura determinante, la scelta della comunità omosessuale di uscire allo scoperto, dando una dimensione “pubblica” alla propria identità e diventando sempre più visibile nei vari ambiti della vita sociale”.
L’omosessualità è un fenomeno complesso e – come d’altra parte l’eterosessualità – mai totalmente oggettivabile e decifrabile. In esso è in gioco il “mistero” della persona nella pienezza del suo essere e nello sviluppo delle relazioni interpersonali”.
* Giannino Piana nato nel 1939, insegna Etica Cristiana presso la Libera Università di Urbino ed Etica ed Economia presso l’Università di Torino. È stato presidente dell’Associazione Italiana dei Teologi Moralisti. Fa parte delle redazioni delle riviste Hermeneutica, Credere oggi, Rivista di teologia morale e Servitium; collabora al mensile Jesus con la rubrica “Morale e coscienza” e al quindicinale Rocca con la rubrica “Etica Scienza Società”.
Piana Giannino, Omosessualità. Una proposta etica, Editore Cittadella, 2010, pp. 112
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