Sfogliando “Un ponte da costruire” di James Martin
Recensione di Antonio De Caro del libro di James Martin, Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone LGBT (Marcianum, 2018), parte prima
Una relazione nuova, una possibilità di incontro, la speranza di una riconciliazione. Sono gli orizzonti verso cui tende il bel libro del gesuita James Martin (Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone LGBT, Marcianum, 2018) da poco nominato da papa Francesco consultore della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede.
Il libro è dedicato (p. 5) alle persone LGBT che hanno condiviso con l’autore le loro esperienze e i loro stati d’animo. La dedica pone quindi l’accento su quanto sia importante porsi in ascolto autentico delle persone LGBT per cogliere la loro aspirazione e la loro potenzialità di bene. Successivamente (p. 7) si trova un esergo, tratto dal Salmo 139, da cui emergono fiducia e gratitudine verso Dio: “hai fatto di me una meraviglia stupenda”. Il versetto, che ha ispirato anche negli ultimi anni una delle Veglie di preghiera per le vittime dell’omofobia, esprime la fede nel progetto creatore di Dio, che ha voluto chiamare alla vita le persone LGBT esattamente come sono e le ama così come sono.
Alcuni commenti positivi sul libro (pp. 11-12) ne mettono a fuoco il pregio fondamentale: la capacità di promuovere un incontro pacifico fra le due comunità, quella della Chiesa e quella dei cristiani LGBT, che potranno sentirsi più “a casa” se i leader della Chiesa li accoglieranno con maggiore sensibilità. Passare da una cultura dell’alienazione -che cioè considera irrimediabilmente estranei i fedeli LGBT- ad una cultura dell’inclusione significa andare nella direzione del Vangelo. Il percorso di Martin tende verso l’incontro, il dialogo e la riconciliazione: delude, forse, coloro che cercano un approccio più polemico, ma richiede egualmente, se non di più, forza e pazienza, e promette frutti di unione e non di divisione.
La Prefazione di M. Zuppi, Arcivescovo di Bologna (pp. 13-16).
Il titolo del libro rievoca l’immagine del “ponte”, già cara a papa Francesco, che è metafora di comunicazione, dialogo, incontro, comprensione, rispetto: e il primo segno di questo rispetto è quello di chiamare le persone LGBT con il nome che esse stesse desiderano darsi. Le persone LGBT vivono il loro rapporto con la fede in modi molto diversi: conflitto, rifiuto, ricerca, fiducia, integrazione. Per Martin “costruire il ponte” significa partire proprio dagli atteggiamenti proposti dal Catechismo della Chiesa Cattolica e sviluppare, a partire da esso, una prassi pastorale coerente, volta non tanto a “contenere” o a occultare le esigenze dei cristiani LGBT, quanto ad accompagnarli con autentica empatia.
Oltre alle indicazioni del Catechismo, anche le parole di Amoris laetitia costituiscono l’orizzonte in cui Martin si muove: senza rinnegare la dottrina, occorre che i pastori siano capaci di accompagnare le persone, discernere le loro esigenze di bene, integrarle nel Vangelo secondo una pedagogia graduale che non perda mai di vista la dignità di ogni essere umano; le leggi morali non possono essere applicate freddamente o usate “come pietre che si lanciano contro la vita delle persone” (AL 305).
La proposta di Martin non fornisce nuovi orientamenti magistrali, non offre soluzioni ai problemi teologici: piuttosto, essa cerca di costruire un metodo, un canale di comunicazione, le condizioni per un approccio nuovo, in cui la sensibilità dei pastori possa riportare i credenti LGBT nella Chiesa di cui essi non hanno mai smesso di essere figli.
Senza questo dialogo, sia i pastori della Chiesa sia i credenti LGBT corrono il rischio di chiudersi in posizioni ideologiche, che possono innescare da un lato la rabbia, dall’altro un senso di profondo sconforto e solitudine. Un atteggiamento volto all’incontro sincero, invece, può ridurre a poco a poco il dolore e la diffidenza.
Perché ho scritto questo libro (pp. 17-24)
Quando, nell’estate del 2016, 49 persone morirono ad Orlando (Florida) per l’aggressione di un uomo armato in un locale gay (il più grande massacro a colpi di arma da fuoco mai registrato negli USA fino ad allora), molti espressero solidarietà per le vittime e i loro familiari, ed anche diversi esponenti della Chiesa Cattolica. Solo una ristretta minoranza di vescovi, tuttavia, ebbe il coraggio di riferirsi alle vittime usando termini come gay o LGBT.
Tale condanna del silenzio, che equivale ad un mis-conoscimento (in quanto mancanza di riconoscimento), rivelò a Martin che per la maggior parte degli esponenti della Chiesa le persone LGBT sono – e devono rimanere – invisibili. I cristiani LGBT vivono pertanto una situazione di disagio e sofferenza, poiché si trovano, loro malgrado, emarginati dalle loro comunità di fede: eppure si tratta, spesso, di persone autentiche, sincere, sensibili, che cercano la strada del Vangelo.
La Chiesa dovrebbe essere anche per loro una comunità da abitare con fiducia, e non un luogo dove sentirsi “respinti, esclusi, insultati” (p. 19). È possibile cambiare le cose? Sì, secondo Martin, a patto che gli atteggiamenti consigliati dal Catechismo (“rispetto, compassione e sensibilità”) diventino il linguaggio comune sia dei pastori verso i cristiani LGBT sia viceversa; e questo comporta la capacità di perdonare e di rimuovere il risentimento, obbedendo al Vangelo, evitando stili di comunicazione influenzati dal disprezzo e dalla polemica. Essi hanno l’unico effetto di dividere e non di unire.
Ormai sempre più persone LGBT vivono con serenità la loro condizione, ma molti stentano a credere di essere amati da Dio per quello che sono. Tocca quindi alla Chiesa favorire un avvicinamento, fare il primo passo, poiché è stata la Chiesa gerarchica, storicamente, a provocare separazione, sofferenza e diffidenza.
Una pastorale inclusiva è possibile, per esempio, a partire dalla preghiera e dalla meditazione su passi biblici capaci di promuovere comprensione ed accoglienza. Non tutti i leader ecclesiali sono ostili verso i cattolici LGBT: in molte comunità si svolgono silenziosamente attività di accoglienza ed inclusione.