Sfogliando “Un ponte da costruire” di James Martin. Una sfida per la chiesa
Recensione di Antonio De Caro del libro di James Martin, Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone LGBT (Marcianum, 2018), parte quarta
Chi ha un po’ di dimestichezza con quanto scritto, negli ultimi venti anni, sui rapporti fra Chiesa Cattolica e persone omosessuali, potrebbe restare inizialmente deluso leggendo le pagine del libro di James Martin, Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone LGBT (Marcianum, 2018),: esse non affrontano alcun problema concettuale, teologico o antropologico; non interpretano i passi della Scrittura in modo nuovo, non indicano alcuna direzione al Magistero Vaticano. In apparenza, potrebbe sembrare un libro inutile, o addirittura nocivo, per i suoi silenzi, alla causa di liberazione dei cattolici LGBT, che attendono con ansia – e qualche volta con sofferenza – un reale cambiamento della dottrina. Esistono, in effetti, contributi più incisivi e ricchi sul piano dei contenuti, come spiega Migliorini nella postfazione.
Ma se continuiamo a leggere, o se leggiamo il libro più di una volta, ne potremo cogliere il reale spessore e il valore. Lo stile semplice e sorridente (va elogiata la traduttrice che ha saputo mantenere questi pregi anche in italiano) non è solo il riflesso della personalità dell’autore, ma anche una precisa scelta ecclesiale, direi quasi di politica ecclesiale: è il modo concreto per dimostrare che un approccio diverso (alla questione, ma soprattutto alle persone) è possibile, ed è un approccio che non mortifica, non umilia, non disprezza. È l’approccio di chi sa ascoltare e rispetta, di chi sa accogliere ed apprezzare i germi di bene presenti in ogni persona; è lo stesso approccio di papa Francesco, che scaturisce direttamente da Gesù Cristo e per questo dovrebbe diventare lo stile della Chiesa quando si pone di fronte ai fedeli LGBT. Essi, in quanto battezzati, ne sono parte: lo Spirito che hanno ricevuto ne fa figli, re, profeti e sacerdoti al pari di tutti gli altri fedeli.
Martin viene criticato da entrambe le sponde del ponte: dai cattolici conservatori, che deprecano ogni forma di apertura verso le persone omosessuali, come dai fedeli LGBT, che si sarebbero aspettati un contributo più incisivo, un attacco più diretto al cuore del problema, che riguarda sia la dottrina sia il potere della Chiesa.
Eppure, lo scopo di Martin è un altro, e dipende dalla capacità di ascoltare con saggezza i segni dei tempi. Martin è ben consapevole che non sarà la rivendicazione rabbiosa ad abbattere i muri e a rinnovare la Chiesa, ma i toni pacati, l’ascolto reciproco, il dialogo, l’accoglienza. In attesa che arrivi, nei tempi e nei modi della storia della Chiesa, una nuova riflessione morale e teologica – di cui già è possibile, tuttavia, cogliere i germi – la cosa importante è aprire e mantenere aperto un canale di comunicazione fra due comunità da tempo separate, dolorosamente separate, ma nello stesso tempo piene di doni di Grazia l’una per l’altra. Ecco perché il vero pregio del libro di Martin va colto sul piano del metodo, cioè il tentativo di costruire una modalità per tenere in contatto le persone, per creare reciproca fiducia e comunione, come Gesù faceva con tutti coloro che incontrava, anche se considerati impuri dai potenti della società.
Tale progetto è espresso da Martin in modo placido ed ordinato, seguendo in modo coerente le indicazioni del Catechismo: rispetto, compassione, sensibilità. In questo contesto, alcune pagine colpiscono in particolare, anche per la loro capacità evocativa e quindi per la bellezza letteraria: il ricordo della strage di Orlando (p. 17); la sensibilità dei fedeli LGBT (p. 19); l’importanza del nome come segno di rispetto per l’identità altrui (p. 28); il ritratto di quei cristiani in apparenza intransigenti, ma che in realtà nascondono profonde ferite personali (p. 53).
Sono solo alcuni dei passi che emozionano, e lo fanno perché scaturiscono dall’esperienza reale, cioè da quella capacità di immergersi nella vita delle persone e di ascoltarla che Martin raccomanda come autentico stile pastorale, ispirato direttamente a Gesù. Senza intaccare la dottrina, Martin suggerisce quindi che i fedeli LGBT andrebbero accolti nella Chiesa che è la loro casa e, possibilmente, consolati per tutte le sofferenze loro ingiustamente provocate.
Questo messaggio, che forse può sembrare scontato a chi ha già percorso un po’ di strada in tal senso, risulta invece profondamente innovativo (forse anche inquietante) per chi non si è mai trovato vicino al problema e a chi lo vive dolorosamente; non solo le persone LGBT, ma anche i loro genitori, familiari ed amici, e Martin ha per loro parole di sincera cura, come peraltro anche il papa in Amoris Laetitia. Non dovrebbe sfuggire nemmeno la ricchezza della seconda parte, quella in cui Martin fornisce un’ampia selezione di brani biblici e di spunti di meditazione per la preghiera: poiché è dalla preghiera che nasce il rinnovamento autentico della Chiesa.
Il testo, tuttavia, lascia aperte alcune questioni, non solo teoriche. Come fa notare Migliorini nella postfazione, un buon metodo è senz’altro il miglior modo per partire, ma il cammino della Chiesa dovrebbe poi proseguire verso una seria riconsiderazione dei nodi esegetici, teologici, morali ed antropologici: altrimenti le due comunità, una volta incontratesi sul ponte che avranno faticosamente costruito e percorso, ciascuna per la propria parte, rischieranno di non avere nulla di nuovo da dirsi, di non sapere esplorare il territorio l’una dell’altra o, nella peggiore delle ipotesi, di sentirsi nuovamente attaccate. Non è solo teoria, ma è già successo.
In una grande città italiana, meno di un anno fa, l’Arcidiocesi aveva promosso un importante ritiro spirituale sul tema della fedeltà e della fedeltà di coppia, con riferimento anche alle relazioni omosessuali. Si trattava di un’occasione preziosa, in grado di dimostrare davvero che su quel ponte è possibile incontrarsi. Invece, a causa della pertinace e crudele opposizione di alcuni gruppi reazionari, peraltro rimasti nell’ombra, l’Arcivescovo ha deciso di sospendere l’iniziativa, che sembrava trasgredire le indicazioni teologiche e pastorali degli ultimi Pontefici.
In un’altra città italiana, il Vescovo – personalità influente nella CEI – ha pubblicamente sconfessato un gruppo di genitori cattolici di persone LGBT che da anni, nello spirito di Amoris laetitia, cerca di operare proprio nel senso indicato da Martin, promuovendo accoglienza, formazione ed informazione sul tema; il Vescovo ha diffidato i parroci e le comunità della diocesi dal prendere contatto con questi genitori, per motivi che però ha preferito non spiegare.
In un’altra città italiana, il Vescovo -di cui sono noti i legami organici con Comunione e Liberazione- è intervenuto maldestramente (nell’ipotesi più benevola) nella vita di una parrocchia dove si praticava l’accoglienza dei fedeli LGBT e delle loro famiglie, frantumandone l’armonia e l’unità, allo scopo di imporre la propria autorità e ribadire severamente la Tradizione della Chiesa. E gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Quindi vorrei chiedere a padre Martin: che fare in questi casi? È vero che bisogna attendere i tempi lunghi della riflessione teologica; è vero che bisogna rispettare i pastori; è vero che non tutte le affermazioni della Chiesa istituzionale hanno lo stesso livello di autorità: ma quando, nella concreta vita di una comunità locale, le esperienze sane di “costruzione del ponte” vengono censurate e represse dai Vescovi, con l’appoggio dei gruppi più reazionari e ostili; quando la Chiesa prosegue nella sua “tradizionale” politica di condanna ed emarginazione; quando vengono chiusi gli spazi dell’ascolto e del rispetto, in che modo il “metodo Martin” può aiutare i fedeli LGBT a rimanere con fiducia dentro la Chiesa? Se non cambia anche la dottrina, qualcuno potrà sempre brandire il Catechismo della Chiesa Cattolica come un’arma contro l’inclusione dei credenti LGBT, “scagliando pietre sulla vita delle persone”, e lo farà nella perfetta convinzione di seguire e servire la Legge, almeno sul piano formale, e di difendere l’unità della Chiesa.
Migliorini e Piva, alla fine del libro, indicano due strade importanti per attraversare anche la stagione delle difficoltà e della resistenza: incontrare le diversità e incontrare (o lasciarsi incontrare da) Dio nella preghiera. Non sono messaggi banali, e sono rivolti uno in prevalenza ai pastori, l’altro in prevalenza ai fedeli LGBT. Probabilmente sarà necessario ancora molto tempo: esserne consapevoli (come già indica Martin alle pp. 55-56) serve a non farsi illusioni e a non alimentare fallaci speranze di cambiamenti improvvisi, ancorché attesi da tempo e con sofferenza.
Il libro di Martin, quindi, prospetta una speranza, indica un metodo e fornisce anche alcuni suggerimenti per affrontare il lungo inverno del rinnovamento. È chiaro che viene chiesto un grande sforzo alla Chiesa Cattolica, soprattutto alle sue gerarchie: esse sono chiamate con maggiore urgenza a tendere una mano e a promuovere la riconciliazione, dal momento che sono state loro a provocare l’esclusione e il pregiudizio contro i fedeli LGBT.
Aggiungerei, in conclusione, un’ultima speranza e un invito alla Chiesa istituzionale: che non ci lasci soli, soprattutto in un’epoca in cui i linguaggi della politica e i comportamenti sociali sembrano riportare pericolosamente indietro l’orologio della storia.
Sempre di più i governanti sembrano alimentare divisioni e odio; e sempre di più questi segnali vengono raccolti da gruppi violenti disposti a calpestare l’etica della Costituzione per perseguitare, come è già avvenuto più volte, le persone LGBT. Spero di cuore che la Chiesa Cattolica, questa volta, non ci abbandoni, come ha già fatto con altri perseguitati decenni fa, ma sappia levare alta la sua voce contro ogni discriminazione e ogni sopraffazione.
In caso contrario, credo che vivrebbe una contraddizione da cui potrebbe risollevarsi solo con estrema difficoltà. In ogni caso, il libro di Martin può arrecare un beneficio non solo alla Chiesa, ma anche alla società, e a quella italiana in questo momento: poiché il rispetto, la compassione e la sensibilità sono atteggiamenti capaci di arginare la deriva della violenza morale e materiale e di promuovere comunione e sicurezza anche nel campo politico: proprio nel senso, etimologico ed autentico, della convivenza fra i cittadini. Spero che alla Chiesa Cattolica tutto questo stia a cuore.