La svolta: “Sì a vescovi anglicani gay, ma casti”. In Gran Bretagna è polemica
Articolo di Paolo G. Brera pubblicato su La Repubblica del 5 gennaio 2013
I preti anglicani omosessuali legati affettivamente in unioni civili potranno diventare vescovi. Lo ha deciso l’ultima riunione della House of Bishops della Chiesa anglicana. La Casa dei Vescovi ha rimosso il precedente vincolo a uniformare la normativa per i vescovi a quella in vigore per l’ordinamento dei preti, che già possono vestire la tonaca anche se convivono con un amore casto. L’importante è vivere «secondo le regole delle “Istanze sulla sessualità umana” redatte dalla Casa dei Vescovi nel 1991».
Dovranno cioè pentirsi dell’omosessualità praticata attivamente nel passato e promettere di vivere in castità. Una rivoluzione che la Chiesa ha tentato di mantenere in sordina per qualche settimana: la decisione della Casa dei Vescovi è stata presa nella riunione dell’11 dicembre e messa per iscritto prima di Natale come undicesimo punto su dodici, spiega il quotidiano anglicano Church Times, ma solo ieri è esplosa con forza nel Regno unito tra un uragano di polemiche.
L’ala conservatrice della Chiesa Anglicana è tutt’altro che disposta a digerire un nuovo salto in avanti nel costume e nella tradizione dell’istituzione creata da Enrico VIII. «Sarebbe un cambiamento radicale nella dottrina della Chiesa e non può essere qualcosa che balza fuori dalle notizie del giorno: una novità del genere va discussa nel Sinodo generale», protesta Rod Thomas, presidente del gruppo evangelico Riforma.
Piuttosto che dover rispondere a un vescovo gay, i conservatori evangelici anglicani minacciano, se necessario, di chiamare nuovi vescovi da oltreoceano a guidare le diocesi della Chiesa d’Inghilterra.
Una posizione diametralmente opposta a quella del reverendo Colin Coward, direttore di “Change Attitude”, un’organizzazione ecclesiastica che promuove il rinnovamento dei costumi della Chiesa: «Non è affatto un grande cambiamento: i vescovi gay esistono già — dice — il tema riguarda piuttosto le unioni civili. Il vero punto è la pretesa della castità, che pone tanti preti gay e lesbiche sessualmente attivi di fronte a un conflitto tra la loro natura e quello che la Chiesa pretende da loro».
È dunque una Chiesa divisa all’interno e contestata dalla società civile a recepire novità su un tema così spinoso. L’ordinamento dei vescovi gay è uno territori contesi nella comunità anglicana già dal 2003, quando un prete dichiaratamente omosessuale, Jeffrey John, divenne vescovo di Reading ma fu costretto a rinunciare all’incarico tra le proteste dei tradizionalisti.
Ci ha riprovato nel 2010 ma la sua candidatura fu respinta, ed è assodato che la ragione fu di natura sessuale. Per gli osservatori della vita politica all’interno della Chiesa anglicana, semmai, il balzo in avanti potrebbe essere stato motivato dalla necessità di dare un segnale forte di modernità dopo la controversa bocciatura della possibilità di nominare vescovo le donne, che ha ulteriormente allontanato la Chiesa dai suoi fedeli più progressisti.
«Un fallimento », lo aveva definito l’arcivescovo di Canterbury uscente Rowan Williams. Ed è per quella decisione, arrivata proprio mentre il governo conservatore apriva ai matrimoni gay nella società civile, che anche la novità varata dalla Casa dei vescovi per ora riguarderà, necessariamente, solo i maschi.