Sì, ci sono molti buoni preti gay
Riflessioni del gesuita Thomas Reese pubblicate sul siro del National Catholic Reporter (USA) dell’8 dicembre 2016, traduzione di finesettimana.org
L’idea che i gay non possano essere buoni preti è stupida, umiliante, ingiusta e contraria ai fatti. Conosco molti preti molto bravi che sono gay, e penso anzi che i preti più bravi che conosco sono gay. Eppure questa idea assurda continua a riemergere ogni volta che un documento come “Il dono per la vocazione presbiterale”, un insieme di dettagliate linee guida e norme per la formazione al presbiterato, viene promulgato dal Vaticano, come è avvenuto il 7 dicembre (2016).
Il documento in realtà contiene molte cose buone. Evidenzia la necessità di una formazione pastorale dei preti, di un’istruzione sulla dottrina sociale della Chiesa e del coinvolgimento di donne nella formazione in seminario. Prevede anche una formazione per la protezione di minorenni.
Ma cita anche una istruzione del 2005 di papa Benedetto XVI che diceva: “La Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l’omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay”.
Alcuni hanno interpretato questo nel senso che gli omosessuali non possono essere seminaristi o preti. Altri l’hanno interpretato nel senso che un omosessuale incapace di vivere una vita celibataria non può essere un buon prete. Benedetto non è una persona stupida, quindi io ho sempre scelto la seconda interpretazione, come hanno fatto molti vescovi, rettori di seminario e superiori di ordini religiosi.
Ma, purtroppo, l’istruzione non era chiara per alcuni. Sarebbe stato utile se l’istruzione avesse detto anche: “La Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al seminario o ai sacri ordini coloro che praticano l’eterosessualità, presentano radicate tendenze eterosessuali, o sostengono la cosiddetta cultura maschilista”.
La nota riguarda il celibato, non l’orientamento sessuale. Che una persona sia gay o etero, se intende diventare prete, attualmente deve essere celibe.
Poiché l’istruzione è stata interpretata in senso errato, seminaristi e preti sono stati obbligati a mentire sulla loro sessualità – il che non è una cosa sana, specialmente con il proprio direttore spirituale. In un’epoca in cui i seminaristi sono incoraggiati a vivere in maniera più sana la loro vita emotiva, non dovrebbero essere costretti a mentire su ciò che sono. In tali seminari, amministratori e membri di facoltà si comportano da inquisitori o chiudono un occhio rispetto all’orientamento sessuale.
Come conseguenza, alcuni psicologi che valutano i candidati al presbiterato rifiutano di indicare l’orientamento sessuale nelle loro relazioni, per timore che l’indicazione possa essere trovata da qualcuno e usata contro quelle persone.
Come nelle forze armate di una volta, il seminario e la cultura presbiterale seguono una politica del “non chiedere, non dire”. Stime del numero dei gay nel presbiterato ce ne sono di tutti i tipi, vanno dal 20% al 60%, benché un’indagine del
Los Angeles Times nel 2002 trovò solo il 15% di preti che dicevano di essere omosessuali o “qualcosa di mezzo, ma più sul lato omosessuale”.
Prima che morisse, avevo interrogato il sociologo Dean Hoge, che aveva fatto diverse indagini su preti. Mi aveva detto che i vescovi non gli avrebbero mai permesso di porre quella domanda in nessuna delle sue indagini. I vescovi non volevano sapere, o avevano paura dei numeri che sarebbero stati pubblicizzati nei media.
Non sorprende che per secoli il clero e la vita religiosa abbiano attirato omosessuali maschi e femmine. Molti si sentivano chiamati ad una vita di servizio nella Chiesa. Se non ci si voleva sposare, era un’alternativa rispettabile e onorevole in un’epoca in cui gli omosessuali erano perseguitati. Se, da gay cattolici, si doveva vivere senza sesso, perché non farlo in una vocazione appagante nella quale ci si sentiva chiamati da Dio? Anche così, essere un prete gay è stimolante e impegnativo.
Ora che essere gay diventa culturalmente più accettabile, sarà interessante vedere se le vocazioni gay al presbiterato e alla vita religiosa diminuiscono, specialmente se la Chiesa cattolica continua ad essere percepita come un’istituzione omofobica. Un’ulteriore caduta del 20-60% nelle vocazioni sarebbe devastante per la Chiesa.
I vescovi e i superiori di ordini religiosi continuano a consigliare ai preti e ai religiosi gay di non dichiararsi. Alcuni temono che troppa pubblicità sui preti gay allontanerebbe le vocazioni eterosessuali, ma oggi è più probabile che i giovani etero siano allontanati dal pregiudizio omofobico. Altri temono che i preti gay vengano rifiutati dai loro parrocchiani o guardati con sospetto, poiché i gay sono stati a torto incolpati della crisi degli abusi sessuali. E nella Chiesa di oggi, questi preti e religiosi sarebbero probabilmente attaccati dai media di destra, compresi i social media.
Nessuno dovrebbe essere obbligato a dichiararsi, ma se una persona percepisce che farlo sarebbe più sano, vescovi e superiori di ordini religiosi dovrebbero rispettare tale scelta. Essere aperti sul fatto di essere gay può anche essere positivo per alcuni ministeri.
È ora che i vescovi commissionino una indagine adeguata per determinare, percentualmente, quanti dei loro preti siano gay. Dovrebbero anche fare un’indagine per determinare la reazione del loro gregge alla realtà dei preti gay.
Talvolta penso che sarebbe bene per la Chiesa se 1000 preti si dichiarassero nella stessa domenica e semplicemente dicessero: “Siamo qui!”. Non penso che la Chiesa sia ancora pronta per questo, ma un giorno dovrebbe esserlo.
Testo originale: Yes, there are lots of good gay priests