Si conclude il Sinodo, tra passi avanti e qualche passo indietro
Riflessioni di Massimo Faggioli, Professore di Storia del Cristianesimo, pubblicate sull’Huffingtonpost.it il 24 ottobre 2015
Il Sinodo dei vescovi del 2015, seconda tappa del “cammino sinodale” aperto da Francesco col suo pontificato, si chiude con il documento finale votato dai 270 membri con diritto di voto. Il documento finale è un documento consensuale, che va letto nella sua interezza e complessità (94 paragrafi): tutti i paragrafi hanno raggiunto la maggioranza dei due terzi (molto risicata nel caso dei paragrafi sui divorziati risposati) e questo ha richiesto molte mediazioni da parte del comitato di redazione.
Il passaggio ispirato a Familiaris Consortio di Giovanni Paolo II (1981) circa i divorziati risposati è un’apertura sostanziale, che però fa sorgere la domanda sull’ideologizzazione della chiesa di Giovanni Paolo II da parte dei vescovi e teologi nominati da lui e da Ratzinger nei posti di comando della chiesa.
Il Giovanni Paolo II nelle mani dei suoi ideologi non è tutto Giovanni Paolo II. Il silenzio sugli omosessuali e la chiesa (e il passaggio debole su “l’accompagnamento”) è un vistoso passo indietro rispetto all’anno scorso, frutto dell’elezione di alcuni membri chiaramente ostili a Francesco a posti di rilievo per la conduzione del dibattito in Sinodo: nei casi migliori non vi è stata volontà di affrontare la questione, nei casi peggiori si sono sentiti in aula discorsi che avrebbero avuto rilievo penale in alcune democrazie occidentali (il discorso del cardinale Sarah).
La questione delle donne è una rilevante assenza nel documento, ma per la prima volta è emersa anche come questione relativa alla membership del Sinodo. Per la prima volta era stato nominato membro del Sinodo con diritto di voto un religioso non prete, che ha potuto votare, a differenza delle suore: evidenza del fatto che il nuovo discrimine nella chiesa cattolica oggi non è tra preti e laici, ma tra uomini e donne.
Il risultato del Sinodo – nel senso del documento finale – è un passo avanti rispetto al documento dello scorso anno, tranne il passaggio sull’omosessualità. Ma è anche un documento che lascia a Francesco spazio per attuarlo in modo creativo.
La cosa importante di questo Sinodo è la procedura. Il processo sinodale 2014-2015 è stato compiuto per volontà di Francesco (e non è detto che sia chiuso), ed è quello che la chiesa si aspettava cinquanta anni fa alla fine del concilio Vaticano II. Francesco deve recuperare il tempo perduto.
Considerando che quasi tutti i vescovi che hanno eletto i membri del Sinodo erano stati nominati da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (due papi molto diversi da Francesco), si ha un’idea della difficoltà del papa a far affrontare al Sinodo questioni che fino a due anni fa erano state ignorate, oppure affrontate come se la realtà non esistesse, oppure come se la realtà fuori della chiesa non toccasse la chiesa e tanto peggio per la realtà.
L’immagine che la chiesa cattolica ha dato di sé al Sinodo è quella di una chiesa molto diversa al suo interno, senza maggioranze nette tra vescovi di una tendenza e di un’altra; ma non v’è dubbio che esiste una maggioranza a favore delle novità a cui Francesco ha aperto.
Trattandosi di quasi tutti vescovi nominati da Wojtyla e Ratzinger, è un fatto sorprendente. La geo-teologia del cattolicesimo al Sinodo appare – finalmente – complicata come essa è nella realtà. L’America Latina segue e ispira Francesco e rappresenta un modello di chiesa capace di agire a livello continentale.
Gli italiani sono molto diversi tra loro (basti mettere vicino un teologo come il vescovo Brambilla e un uomo d’ordine come il cardinale Piacenza, e vedere che tipo di pensiero c’è dietro). La teologia tedesca è ancora quella che (come cinquanta anni fa) serve a muovere il pensiero della chiesa. Gli anglofoni (americani e africani specialmente) sono “cultural warriors” mossi da preoccupazioni politiche, ma vi sono sfumature diverse: due africani come i cardinali Turkson e Sarah rappresentano il futuro (il primo) e il passato remoto (il secondo) della chiesa; il cardinale Wuerl è un conservatore intelligente, a differenza di quello che si può dire per altri americani.
La lotta ora continuerà all’interno del Consiglio per il Sinodo (in carica fino al prossimo Sinodo), dove una debole maggioranza degli eletti è contraria alle aperture di Francesco. Ma è una situazione totalmente fluida, e la traiettoria è chiaramente indirizzata verso la chiesa di Francesco.
La cosa ironica (ma anche preoccupante) dello spettacolo offerto da alcuni cardinali e vescovi tradizionalisti è che hanno finalmente scoperto uno dei cavalli di battaglia del cattolicesimo liberal: non basta il papa a fare la chiesa. La serie di incidenti che hanno accompagnato il Sinodo (il coming out del monsignore dell’ex Sant’Uffizio alla vigilia; la lettera del 5 ottobre dei cardinali al papa, pubblicata da Sandro Magister una settimana dopo; la falsa notizia della malattia del papa) mostra il livello di resistenza contro papa Bergoglio.
Questi incidenti sono meno preoccupanti però del livello di vetriolo raggiunto in certi livelli della chiesa contro Francesco. In parte è avversione personale al papa argentino da parte degli orfani dei pontificati precedenti, ma è anche sintomo dell’ideologizzazione e dottrinalizzazione del cattolicesimo “legge e ordine”.
Come ha scritto Alberto Melloni sul “Corriere della Sera”, per chi conosca la storia della chiesa recente e del Vaticano II faceva un effetto straniante vedere i dirigenti della chiesa presentare le questioni come scelta tra dottrina e pastorale: come se la dottrina potesse anche solo esistere senza la pastorale. La pastorale, la “salvezza delle anime” viene prima ed è criterio per la dottrina.
Da questo punto di vista, la cultura teologica di molti pastori della chiesa mostra segnali preoccupanti di indurimento del cuore e della mente rispetto non al liberalismo teologico, ma alla stessa veneranda tradizione della chiesa: agostinismo invece di sant’Agostino, tomismo invece di san Tommaso, wojtylismo invece di Wojtyla. Basta un’occhiata ad alcune pubblicazioni cattoliche anglofone per vedere il neo-tradizionalismo cattolico, un ibrido di fondamentalismo cattolico basato non sul testo biblico ma sul magistero del passato più o meno recente dei papi (predecessori di Francesco).
Il discorso del papa al Sinodo del 17 ottobre non fa materialmente parte del corpus del Sinodo, ma è uno dei discorsi programmaticamente più importanti di Francesco: una chiesa meno verticistica, meno romana, più basata sulle esperienze locali. Francesco farà seguire al Sinodo un suo documento e sue decisioni (tra cui il Giubileo che si apre l’8 dicembre), ma in quel discorso c’è già la magna charta di una chiesa che finalmente fa suo il Vaticano II. Il che dice molto su quanto è stato fatto e non fatto dalla chiesa negli ultimi cinquanta anni.
Al Sinodo è emerso in modo chiaro che ci sono molte questioni aperte, affrontate dalla chiesa per la prima volta. La baldanza di alcuni tradizionalisti anti-Francesco nasconde una chiara delusione per aver dovuto riaprire questioni considerate chiuse per sempre (“ma non avevamo già vinto?”) e una preoccupazione perché quelle questioni (gli omosessuali, i divorziati, le donne nella chiesa) saranno affrontate la prossima volta – e nella chiesa reale ci sono ovviamente già vescovi, preti e laici che hanno già trovato soluzioni provvisorie su cui nessun Sinodo potrà mai deliberare.
In sé questo è un fatto essenziale perché le false accuse a Francesco di aver manovrato il Sinodo provengono da quella parte di chiesa che era stata elevata da Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la fazione che aveva occupato la totalità dei posti che contano all’interno delle gerarchie ecclesiastiche. È bastato Francesco per riportare a una normalità istituzionale una chiesa pericolosamente sbilanciata nel corso degli ultimi trenta anni. Non è una questione di liberal contro conservatori, ma di equilibrio tra culture diverse che tutte rappresentano la chiesa universale. Il pontificato di Francesco rappresenta per la chiesa un passaggio difficile e lento, ma non c’è nessuno che scommetterebbe sul ritorno al passato.
Nel discorso finale al Sinodo del papa c’è tutto Francesco: un discorso potentissimo, da vero leader spirituale, che in maniera gentile ma chiara si pone contro il settarismo, contro i dottori della legge, contro l’ideologia dottrinale al servizio della religione. Molto di quello che la chiesa sta riuscendo a fare, è grazie alle formidabili capacità di questo papa.