Siamo tutti stranieri in terra straniera. Il libro dell’Esodo letto da una persona gay
Riflessioni di Carlos Osma* pubblicate sul blog Homoprotestantes (Spagna) il 15 febbraio 2016, liberamente tradotte da Marco Galvagno
Il libro dell’Esodo ci spiega che gli israeliti erano schiavi in Egitto, lì costruivano le piramidi per il faraone. In una di queste piramidi questo semidio sarebbe stato sepolto e sarebbe resuscitato per vivere in eterno tra gli dei. Per la divinizzazione del faraone era necessario negare la dignità degli ebrei che non venivano considerati esseri umani, bensì oggetti da poter comprare e vendere. Molti storici non credono che il trattamento subito dagli schiavi in Egitto fosse così duro come siamo abituati a vedere nelle decine di film realizzati sull’argomento. In realtà sebbene gli schiavi fossero negli strati inferiori della società, questo spazio dove erano stati collocati consentiva loro di non rimanere senza cibo, dava loro una certa sicurezza. Come schiavi potevano mangiare e dar da mangiare alle proprie famiglie, ribellarsi all’oppressione del faraone era mettersi nell’abietto, una zona inabitabile in cui la vita non era possibile.
Un testo fantastico, una lotta tra dei.
Quando leggiamo il testo dell’Esodo 14, 15-31 ci troviamo di fronte a una storia fantastica, una lotta tra gli dei. Il primo Jahvé, che si mostra così vicino da sembrare quasi in essere umano; il secondo il faraone un uomo così potente e temuto da sembrare un Dio.
In questa battaglia epica Jahvé utilizza l’impossibile, il pericolo, il mare minaccioso per tramutarlo in un luogo di salvezza per un popolo di schiavi. Quando tutto era perso, quando non vi era salvezza possibile Jahvé agisce per mezzo della natura e della storia. Finalmente le onde del mare che minacciavano le vite degli israeliti, davanti alle quali gli egiziani li avevano accerchiati, si trasformano in mura tra le quali gli israeliti possono passare per liberarsi dall’oppressione. Non v’è lotta tra gli israeliti e gli egiziani, se non una in cui Jahvé combatte per gli ebrei e gli egiziani si battono per il faraone. Il vincitore è Jahvé e, grazie alla sua vittoria gli israeliti, credono in lui e lo scelgono come proprio Dio. Un Dio che ha agito nelle loro vite, nelle loro storie.
È assurdo cercare di difendere la storicità di tutto quello che viene narrato in questo racconto. Solo il fanatismo potrebbe portarci a credere alla veridicità letterale degli eventi narrati. La fuga dall’oppressione, dalla morte continua a essere presente nella storia. Milioni di siriani vivono prigionieri nel loro paese e solo una piccola parte di loro può fuggire attraversando il deserto e il mare sperando che i recinti europei si aprano per potere giungere alla loro terra promessa, al luogo dove credono, insieme alle loro famiglie, di poter vivere una vita in cui non rischiare continuamente la morte. Sono esseri umani? Da un lato il presidente Assad e la Russia non li trattano come tali, per loro ciò che contano sono gli interessi economici e strategici. Hanno disumanizzato la popolazione siriana, trasformandola in oggetto, una semplice moneta di scambio.
Tuttavia fuggendo e rivendicando la dignità di cui ogni essere umano ha bisogno, si sono trovati faccia a faccia con altri poteri e interessi: quelli dell’occidente, nemmeno per i leader politici occidentali la popolazione siriana merita un trattamento umano, sono più un pericolo per la sicurezza, per cui ogni paese difende i propri interessi al di sopra della dignità di queste persone. Una piccola parte della popolazione siriana è riuscita a scappare, attraversare il mare e il deserto, ma si è trovata di fronte ai fili spinati che l’Europa ha messo ai suoi confini. Così ancora alcuni siriani sono riusciti ad arrivare in Europa, si parla di circa mezzo milione si persone, e per loro, che in maggioranza sono musulmani e molto religiosi, è Dio che li ha aiutati ad attraversare, il deserto, il mare, e i fili spinati per giungere in un luogo in cui sperano di poter vivere con la dignità di esseri umani.
Per loro il testo dell’Esodo che abbiamo letto, sì che può avere un senso, riflette la loro esperienza, mostra come Dio sia intervenuto nelle loro storie per liberarli e infondere loro la vita. Ma in questo esodo siriano non tutte le persone sono state liberate, molte sono morte attraversando il mare e il deserto e non hanno potuto realizzare i propri sogni, non sono riuscite ad essere trattate come esseri umani.
Possiamo negare l’evidenza, dare una lettura spirituale del mondo per non confrontarci con la realtà, però ci sono molte volte in cui il mare non si apre, in cui la liberazione non riesce ad avvenire, sembra che Dio sia assente dal mondo o addirittura che non esista. Non si tratta di colpevolizzare Dio per ciò che stanno facendo gli interessi egoistici degli uomini, che sono limitati, ma non possiamo non porci domande che ci causano sofferenze e frustrazioni, se vogliamo essere coerenti. “ Perché Dio non ha agito nella vita di tante persone innocenti che cercavano la liberazione?” Da parte mia, l’unica risposta possibile è il silenzio…
L’anelito a tornare alle nostre origini, alla nostra terra.
Possiamo ora chiederci come sia nato questo testo, la sua storia. La liberazione dall’Egitto formava parte della storia del popolo ebraico prima che venisse messa per iscritto. Gli specialisti pensano che sia possibile che un piccolo gruppo di persone sia fuggito, in un‘epoca imprecisata, dalla schiavitù in Egitto e che abbia letto questo avvenimento come frutto di un intervento miracoloso da parte di Jahvé.
Durante i regni d’Israele e Giuda questo racconto venne elaborato come un’epopea nazionale di fronte alle minacce provenienti dai grandi imperi. È probabile che Giosué abbia usato questa narrazione con fini militari e politici con l’intenzione di recuperare i territori perduti del regno d’Israele.
Il testo parlava loro di un nuovo inizio e di una rinascita della nazione. Tuttavia assunse la sua forma definitiva solo durante la cattività babilonese. Gli israeliti delle classi dominanti erano stati portati prigionieri a Babilonia, e lì sognavano e speravano di poter tornare in Israele, il paese che Dio aveva loro dato. A Babilonia sognavano, come fanno i migranti in tutte le epoche, di poter tornare un giorno al loro paese.
Alcuni morivano in esilio, però, storie come queste servivano a mantenere viva la speranza che un giorno Dio li avrebbe aiutati a attraversare il mare e il deserto per tornare a casa. Non possiamo dire che venissero maltrattati, dato che avevano alcuni diritti, però non erano essere umani liberi, non erano nel mondo, nella terra promessa che Dio aveva loro dato.
Siamo un paese di migranti
Durante la guerra civile spagnola molte persone dovettero abbandonare le proprie case, fuggendo dalla guerra e dal fanatismo. Anche nel dopoguerra molte persone dovettero spostarsi dall’Andalusia, dall’Estremadura, o dalla Murcia, a Madrid, Barcellona o nel resto della Catalogna o nei Paesi Baschi, in cerca di un futuro migliore.
Qualcosa che avviene ancora oggi, quando milioni di persone giungono nel nostro paese provenienti dall’Asia, Africa, o dall’America Latina, si lasciano alle spalle: fame, miseria e esclusione, ma anche le proprie case e i propri cari, per avere una vita migliore. Il racconto dell’Esodo narra tutte queste esperienze, del sogno che non svanisce facilmente di tornare a calpestare il suolo del paese in cui siamo nati o dal quale provengono i nostri genitori. E molte persone alimentano i propri sogni con la speranza che un Dio farà attraversare loro deserti e mari fino a riportarli nel posto dal quale avrebbero preferito non essersi mai dovuti allontanare.
Il testo biblico è parola di Dio non quando viene imparato a memoria, o ripetuto a pappagallo, o venerato in maniera acritica, ma quando in se stesso è capace di parlare alla nostra esperienza e capiamo senza ombra di dubbio che c’entra con la nostra vita o la nostra mancanza di vita.
Cosa ci può dire il testo dell’Esodo se lo leggiamo da una prospettiva gay. Un ‘esperienza personale
L’altro giorno ho sgridato una mia alunna che aveva usato la parola “frocio” in classe. Si è innervosita subito e mi ha detto “ Non è che io abbia niente in contrario ma in ogni modo, non è che lo pensi, ma molti dicono che i gay sono malati”. Io le ho risposto che non vedevo molto malati, ne Ricky Martin, ne Cristiano Ronaldo (tutti i miei alunni sostengono che sia gay) e le ho chiesto se trovava che io fossi molto ammalato.
Ancora molto nervosa ha replicato di no asserendo di aver parlato solo per sentito dire. Le ho spiegato che nel corso della storia le minoranze sono state sempre perseguitate per il fatto di essere diverse, e che la miglior cosa da fare era trattare con rispetto tutte le differenze, perché probabilmente il dieci per cento delle persone che conosceva erano gay. Mi ha risposto rapidamente “Lei mi sta dicendo che ci sono dei gay in questa classe?”.
Le ho detto che parlavo in generale, senza riferirmi a persone della classe, per non fare soffrire i 3 alunni gay che in quel momento avevano una paura incredibile.
La Schiavitù GLBT
Oggi migliaia di adolescenti vivono come schiavi nei centri educativi o nelle scuole di paesi cosiddetti progressisti o evoluti come il nostro. Giovani che come gli israeliti mettono su facciate che non c’entrano niente con loro, perché l’eterosessualità possa essere ancora divinizzata o perché la loro vita non corra alcun pericolo. Ma anche persone adulte che celano i propri sentimenti, il desiderio di una vita libera, che nascondono il loro modo di essere e sentire per far contenti i propri cari, che affermano di amarli, ma in realtà vogliono tenerli prigionieri.
O cristiani e cristiane che sono cresciuti o che hanno scelto di vivere in comunità religiose, nelle quali non esistono, in spazi dove possono solo sopravvivere, a costo di negarsi, o trascinando come schiavi vite che non sono le loro. E tutto ciò in chiese che affermano di seguire un Dio d’amore, ma negano il diritto ad esprimere un amore che non è come il loro. Cristiani e cristiane che non concepiscono il Signore come un liberatore, bensì come un faraone da dover servire.
Cosa ci dice questo testo?
Il testo dell’Esodo è un invito ad essere coraggiosi, a uscire dall’oppressione, dagli armadi, dagli sgabuzzini, a levarci le maschere, ad abbandonare le mezze verità, i luoghi in cui non siamo totalmente sinceri. È un invito a fidarci di un Dio che vuole condurci a un altro mondo, nel quale possiamo essere liberi, un Dio che vuole ispirarci una capacità di comprensione più profonda.
Un Dio che non ci insegue come il faraone per farci tornare al punto di partenza. Un Dio che lotta grazie al nostro aiuto, per liberarci, per consentirci di essere, ciò che molti ci negano: esseri umani, non schiavi. E tutto questo se abbiamo fede, se ce lo proponiamo, se corriamo rischi, se decidiamo d’alzare le mani, in segno di resa, davanti al mare delle nostre paure, in modo che Dio lo apra e possiamo passeggiare con dignità e speranza insieme a tutte le persone che vogliono accompagnarci.
Testo originale: Una reflexión de Éxodo 14, 15-31