Siamo una coppia di lesbiche cristiane. Quando l’amore non vuole nascondersi
Articolo di Charo Mármol tratto dalla rivista religiosa Alandar (Spagna), n.283, 1 dicembre 2011, liberamente tradotto da Eliana R.
Corre l’anno 1972 in una Spagna oscurantista e repressa. E’ in vigore, dal 1970, la legge sulla pericolosità sociale e la riabilitazione, che sostituisce quella del 1933 sui vagabondi e i criminali. La legge del 1970 ha posizioni molto simili a quella del 33, ma prevede pene fino a 5 anni di internamento in carcere o manicomi per gli omosessuali e anche per le persone considerate socialmente pericolose, affinché si “riabilitino”.
Con questo “terreno fertile”, Paulina Bianco e Encarnacion Granjo si conoscono in un paesino dell’Estremadura, nella profonda Spagna di allora. Encarnita venne a lavorare nel paese di Paulina ed iniziò un’amicizia che “dopo divenne amore”, “un amore pieno di difficoltà, a causa della gente del paese, della famiglia…”. Erano giovani e i problemi non le spaventavano, li vedevano appena, all’inizio di quel grande amore che le mantiene unite ormai da quasi quarant’anni.
Superarono le difficoltà, ma dovettero andare via dal paese, luogo in cui non potevano vivere la loro relazione liberamente. Andarono a Barcellona, dove vissero ed insieme intrapresero un cammino comune che dura fino ad oggi.
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Una fede che ci rende forti
“Siamo cattoliche e, nonostante le difficoltà che abbiamo affrontato, la nostra fede è forte e ci ha aiutato a proseguire il cammino”, dice Paulina. A Barcellona cercarono un luogo in cui vivere e condividere la loro fede e restarono in una comunità per dieci anni, però nessuno sapeva che erano una coppia: erano sorelle, madre e figlia, suore… un giorno conobbero un ragazzo della comunità di gay e lesbiche cristiani e cominciarono a frequentare questa comunità.
E’ uno spazio di libertà, dove possono vivere se stesse come coppia e come credenti. Perché, racconta Paulina, “noi abbiamo vissuto un doppio rifiuto. Fra i cattolici per essere lesbiche e fra le lesbiche per essere cristiane. Molte volte ci hanno detto: ‘Che ci fate in Chiesa se la Chiesa vi ha rifiutato?’
E noi rispondiamo: ‘La Chiesa ci rifiuta, ma Gesù di Nazaret no. Dobbiamo continuare a lavorare, ma dall’interno della Chiesa’ “. Il mio incontro con Paulina e Encarnita risale al periodo del XIV Congresso Internazionale che l’Associazione Europea delle Donne per la Ricerca (ESWTR è la sigla inglese) ha tenuto a Salamanca lo scorso agosto.
Loro avevano organizzato un seminario dal titolo “I colori dell’Arcobaleno”. Ci ritrovammo in un gruppo di lavoro in cui condividevamo le esperienze della giornata. Si presentarono come coppia sposata, visto che si erano sposate subito dopo l’approvazione dei matrimoni fra persone dello stesso sesso nel 2005.
Erano consapevoli dei progressi fatti negli ultimi anni. Riconoscevano che “il seminario che abbiamo tenuto in questo Congresso, non sarebbe stato possibile dieci anni fa.” In quella circostanza hanno proposto una petizione perché nel prossimo Congresso ci si spingesse oltre, con una conferenza sul tema dei gay, delle lesbiche e dei transessuali cristiani.
Sono anche consapevoli del fatto che “la legge è una cosa, la società un’altra e, senza dubbio, la Chiesa un’altra ancora. Non camminano di pari passo. La legge nel nostro paese va avanti.
Un giorno sì e l’altro pure ci sono denunce per omofobia, attacchi ai gay e alle lesbiche che hanno deciso di vivere la loro relazione liberamente, senza paura, mostrandosi agli altri… Noi conviviamo con la paura e pensiamo: ‘chissà se mi noteranno’.
La paura di tanto tempo non sparisce così facilmente”. Durante il gruppo qualcuno osserva che spesso si incontrano persone che dicono che ora va di moda essere gay o lesbica, Paulina diventa molto seria e Encarnita annuisce: “Ho passato quarant’anni senza poter tornare nel mio paese, ho passato cose che nessuno sa per nascondere la mia condizione di omosessuale ed ora che sono uscita dall’armadio ho bisogno di dirlo”. Non è questione di moda. Si tratta di un diritto che adesso è riconosciuto.
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Militanza attiva
Durante la nostra conversazione scopro che dietro queste due donne, semplici e già di una certa età, ci sono veramente due militanti, due attiviste convinte, forse con il desiderio che nessuno debba vivere di nuovo quello che hanno vissuto loro; forse con il desiderio di non arretrare di un solo passo sulla strada dei diritti acquisiti, ma al contrario, di avanzare in una situazione di uguaglianza rispetto al resto delle persone eterosessuali; forse con il desiderio di essere considerate nella Chiesa come persone uguali al resto dei credenti in diritti e doveri.
Per questo sono impegnate in due ambiti diversi: come credenti nella Rete Cristiana e come omosessuali nel comitato di coordinamento LGBT della Catalogna. Dal 1983 partecipano al Congresso Internazionale dei gay e delle lesbiche cristiani, che lo scorso anno si è tenuto a Barcellona e che il prossimo si terrà a Berlino.
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Vecchiaia
Gli anni passano e nasce una domanda: “Che ne sarà di noi quando diventeremo anziane?”. Encarnita e Paulina, insieme alle altre persone che sperimentano un’inquietudine sociale, creano la Fundació Enllaç. Nel sito web (http://www.fundacioenllac.cat/) si può leggere: “La Fondazione cerca di proteggere l’autonomia e la solidarietà fra le persone lesbiche, gay, bisex e trans (LGBT) di fronte alle situazioni di vulnerabilità maggiore: vecchiaia, povertà, impotenza, malattia… vogliamo assicurarci che tutte le persone LGBT possano vivere con piena dignità, senza rinunciare alla propria identità, qualunque sia la loro situazione individuale”.
Encarnita e Paulina ci raccontano la loro esperienza: “La Fondazione è attiva da tre anni e, fra le prima cose che sta realizzando, cerca di guidare le persone anziane su come fare testamento, realizzare le ultime volontà, gestire il patrimonio e la questione delle case di riposo. In questo momento è presente dell’omofobia che non ci permette di vivere con libertà i nostri ultimi anni di vita. Abbiamo conosciuto uomini che sono andati in case di riposo e che, per aver chiesto di stare insieme, sono dovuti tornare a casa loro, perché non gli permettevano di vivere la vita come coppia. Altri vivono nelle case di riposo, ma sono dovuti tornare nell’armadio. Cosa molto triste, perché noi, gli anziani, siamo quelli che hanno più sofferto, abbiamo subito la repressione, il rifiuto sociale, le leggi omofobe che esistono ed ora siamo vecchi e non sappiamo che ne sarà di noi”.
La Fondazione, in collaborazione con il Comune di Barcellona, eroga un corso di formazione per badanti di persone LGBT, “perché quando noi dovremo andare in una casa di riposo o necessiteremo aiuto in casa, ci siano persone capaci di accudirci e che sappiano con chi hanno a che fare; e per non essere nuovamente costretti a nascondere la nostra condizione di omosessuali perché altrimenti non verremo trattati bene”.
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Testo originale: No queremos volver al armario