Siete pronti a rendere ragione della vostra speranza? (1Pietro 1,3)
Meditazione di don Gianluca di Torino sul tema della speranza nel ciclo di incontri Skype “La speranza che è in voi” del Progetto Giovani Cristiani LGBT, tenuto il 12 Marzo 2020
Una delle pagine più celebri dei vangeli mette in scena due discepoli delusi che emigrano da Gerusalemme ad Emmaus col cuore carico di tristezza, al punto di confidare all’anonimo pellegrino che li interroga sulla ragione del loro sconforto, il fallimento del loro messia: “Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele” (Lc 24,21). Che cosa trasforma la speranza da sentimento degli illusi a fondamento del futuro?
Un testo profondamente pasquale come la prima lettera di Pietro ci aiuta a rileggere in chiave diversa l’apertura alla speranza. In questa lettera la speranza viene legata a stretto filo con la vittoria di Gesù sulla morte: è “mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti” (1Pt 1,3) che i credenti sono stati rigenerati alla speranza. Ed è questo il motivo per cui può essere etichettata con lo strano aggettivo “viva”. Che significa una speranza viva?
Pietro scrive a dei cristiani che abitano in mezzo a popolazioni pagane, cioè a gente che ha degli orizzonti piuttosto limitati. Scrivendo ai Tessalonicesi, Paolo li invita a distinguersi dai pagani “che non hanno speranza” (1Ts 4,13). Il mondo greco-romano ha brillato per l’estetica, per il tragico, per l’etica, ma non ha saputo consegnare alle donne e agli uomini del suo tempo una vera speranza.
Per poter offrire una speranza solida occorre superare le barriere della morte e quindi solo dopo la Pasqua si può parlare di speranza vera, di speranza viva perché in grado di dare la vita per sempre. Ma vorrei sottolineare che nel pensiero di Pietro questa vita senza fine è già cominciata, perché dice che siamo stati “rigenerati” ad essa, cioè la stiamo già sperimentando.
O, almeno, dovremmo. La rinascita nel battesimo collocava questi credenti adulti in una prospettiva nuova, ma per noi che siamo stati battezzati da piccoli deve essere una costante presa di coscienza di quello che siamo.
Per comprendere meglio il discorso di Pietro occorre conoscere il contesto in cui scrive. I suoi destinatari sono cristiani che stanno subendo una situazione drammatica, una feroce persecuzione che “come un incendio è scoppiata in mezzo a voi per mettervi alla prova” (4,12).
In questa circostanza molti erano tentati di rinunciare alla fede per scampare alla violenza dei persecutori. Pietro deve allora incoraggiarli con argomenti persuasivi, perché non basta una semplice pacca sulle spalle a rafforzare chi teme per la propria vita. E il primo degli argomenti che presenta è proprio la speranza di una eredità che è conservata nei cieli, cioè in un luogo per il momento inaccessibile, ma anche al sicuro da ogni furto o contaminazione. Gesù non ha mai promesso che questa terra si sarebbe trasformata in paradiso, ma ha indicato un cammino perché la fatica di quaggiù ci conducesse alla gioia di lassù (cfr. 2,21).
Certo noi non lavoriamo e combattiamo solo per una meta ultraterrena, ma anche per rendere migliore e più abitabile questo mondo che Dio ci ha affidato. Ma lo facciamo con lo spirito dei costruttori di cattedrali, che partecipavano con entusiasmo alla realizzazione di un’opera di cui non avrebbero visto il completamento perché sarebbero morti prima dell’inaugurazione.
In un’epoca come la nostra dove diventa insopportabile aspettare qualche minuto per scaricare un file è una bella provocazione! Non ci nascondiamo davanti ai problemi e alle contraddizioni di questo tempo, ma ci interroghiamo su cosa significa avere speranza per dei giovani omosessuali che cercano il loro posto nella chiesa e nel mondo. Ovviamente non basta avere un approccio positivo alla vita augurandosi che le cose in qualche modo andranno meglio. La speranza non ci sottrae dall’impegno quotidiano, anzi lo motiva più in profondità.
Ci allena alla ricerca di un bene difficile ma possibile. E soprattutto ci fa riscoprire la dimensione comunitaria. La speranza infatti non è una questione privata, ma è una virtù che ci obbliga a confrontarci con gli altri.
Se amare e avere fede sono atteggiamenti che richiedono il supporto degli altri, tanto più avere speranza, dato che dobbiamo scommettere su ciò che ancora non vediamo. Ma non è l’unione a fare la nostra forza, quanto invece la solidità su cui poggia il futuro: “Manteniamo senza vacillare la professione della nostra speranza, perché è degno di fede colui che ha promesso” (Eb 10,23).