“Signore guarisci il mio sguardo!” Il viaggio al centro di se stessi per essere cristiani LGBT
Riflessioni di Daniele del Progetto Giovani Cristiani LGBT
Il viaggio più lungo ed estenuante ma al tempo stesso più avvincente e ricco di sorprese che un uomo e una donna possano compiere è senza ombra di dubbio dentro se stessi, nella propria interiorità.
Come Ulisse, che prima del suo rientro ad Itaca ha dovuto affrontare i Lestrigoni e i Ciclopi, la furia di Nettuno in mare e il fascino della Maga Circe e del canto delle sirene, anch’io per raggiungere il punto esistenziale che mi ritrovo a vivere oggi ho dovute fronteggiare grandi difficoltà che non erano fuori, ma dentro di me.
Sono cresciuto sin da piccolo in un ambiente profondamente cristiano, la mia parrocchia è stata la mia seconda casa, il grembo materno nel quale potermi rifugiare dai problemi che vivevo nel focolare domestico.
In primis la malattia di mia madre durante la mia quarta elementare, poi i litigi continui sia verbali che fisici dei miei genitori ed infine la loro separazione quando avevo appena 11 anni. Ho sempre visto in Dio quel baluardo sicuro in cui rifugiarmi, quello scudo pronto a proteggermi dalle frecce dei nemici. Ho sviluppato quella vena religiosa che mi ha portato ad entrare in seminario in primo superiore.
Proprio durante questi anni ho dovuto fare i conti da vicino con una sfera della mia persona che, a causa del pregiudizio che si era consolidato nella mia mente e delle visioni di una certa porzione di Chiesa e di società perbenista, non riuscivo ad accettare ma sentivo come una sorta di condanna: l’omosessualità.
Per il semplice fatto di sentire delle pulsioni verso alcuni compagni di classe o addirittura di provare dei sentimenti che sono propri dell’essere umano, mi sentivo sbagliato. Così una volta terminato il liceo e lasciato il seminario, per via di questa profonda dicotomia interiore tra fede e orientamento sessuale, ho cercato in internet una soluzione a quello che credevo essere “un problema”.
Mi sono imbattuto negli scritti di: Joseph Nicolosi, uno psicoterapeuta americano, promotore delle “teorie riparative”, autore di libri come “Omosessualità maschile: un nuovo approccio”, “Oltre l’omosessualità”; di Gerard Van Den Aardweg, psicoterapeuta olandese, autore del libro “Omosessualità & speranza”; di Andrew Comiskey, fondatore del Desert Stream Ministries in California, che ha scritto “L’identità ferita”; di Tonino Cantelmi, psichiatra, psicoterapeuta e docente universitario a Roma, che ha curato il libro “Cattolici e psiche. La controversa questione omosessuale”. Si tratta di scritti accomunati dal medesimo comune denominatore: l’omosessualità è un problema, una patologia della mente in cui tutti possono incappare ma dalla quale, con impegno e forza di volontà si può uscire.
Per un ragazzo credente come me e in una situazione di forte disagio interiore queste parole sembravano essere liberatorie, una “manna nel deserto”, ma in realtà oggi posso dire che sono state controproducenti perché mi hanno spinto in una illusione senza fondo che ha acuito l’odio verso me stesso e ha ritardato il mio processo di autoaccettazione. Per questi studiosi, che ho accuratamente letto e approfondito, omosessuali non si nasce ma si diventa! Non si tratta dunque di “una variante naturale dell’orientamento sessuale” come afferma la scienza oggi, ma di una patologia psichica dovuta all’educazione e ai traumi dell’infanzia e dell’adolescenza.
Anche se ci fossero dei fattori genetici alla base dell’omosessualità per G. V. D. Aardweg si tratterebbe comunque di una disfunzione “da curare”. Gli studiosi sopra citati affermano che l’omosessualità maschile è il risultato nefasto originatosi dal rapporto non equilibrato con una madre onnipresente e ipersensibile e un padre assente o giudicante, che impedisce l’identificazione con la figura maschile paterna e un rapporto con i pari dello stesso sesso. Sfortunatamente il retroterra familiare dal quale provengo non faceva altro che confermare queste idee che si erano ben cementificate nella mia mente anche se mi tormentava un dubbio: come mai molti ragazzi che hanno alle spalle famiglie splendide sono comunque omosessuali? Come è possibile che ci siano ragazzi e ragazze omosessuali che hanno rapporti normalissimi con i loro pari?
Volevo passare dalle teorie ai fatti, volevo tamponare l’emorragia interiore che stavo vivendo e sapevo che i libri da soli non bastavano. Mi sono affidato così a degli psicoterapeuti in carne ed ossa che condividessero le “teorie riparative” (almeno in segreto, visto che sono condannate dall’ordine degli psicologi italiani) e potessero mettere in pratica il “metodo Nicolosi” che pretende di rafforzare l’identità sessuale, incoraggiando amicizie maschili che riducano l’attrazione per le persone dello stesso sesso.
Ne ho cambiati ben tre ma nessuno di questi mi è stato di aiuto, al contrario hanno aumentato inconsciamente il disprezzo verso me stesso dandomi dei consigli che a distanza di tempo posso ritenere assurdi: indossare un abbigliamento sportivo anziché elegante o classico, fare sport che prevedessero un contatto fisico ravvicinato con altri maschi, non idealizzare le doti degli altri ma cercare di “ridicolizzarli” con la mente per eliminare il desiderio erotico, non passare del tempo con le amiche ma piuttosto con altri ragazzi. Fare quello che facevano i miei amici maschi mi avrebbe aiutato secondo la loro concezione a cambiare orientamento sessuale, ma non è stato affatto così!
Mi sentivo davvero un errore umano, un difetto di fabbrica che Dio aveva dimenticato, un peccatore solo perché omosessuale, non mi sentivo all’altezza degli altri e pregavo ogni giorno che tutto questo svanisse con un evento miracoloso.
Ho avuto la sfortuna anche di incontrare un sacerdote che mi ha appoggiato in questo percorso mortifero, secondo il quale l’osservanza della psicoterapia e di pratiche religiose di penitenza, potessero allontanare il “demone” dell’omosessualità.
L’illusione di poter eliminare una parte fondamentale di me stesso mi ha portato a provare tutte queste cose ma un giorno, immerso in questo baratro di sconforto dovuto al fatto che nulla cambiava come volevo, ho capito che non potevo continuare a distruggermi e dovevo alzare il capo.
Mi stavo punendo con le mie stesse mani per qualcosa che non avevo fatto, mi infliggevo pene interiori che acuivano sensi di colpa per un peccato che non c’era, quella dicotomia tra fede e omosessualità anziché rimarginarsi si stava pian piano allargando. Ho capito che anche la mia preghiera era sbagliata per questo rimaneva non esaudita; sono passato finalmente dal “Signore guariscimi dall’omosessualità” al “Signore guarisci il mio sguardo su questa sfera di me che è l’omosessualità”.
Ormai stanco e senza forze, dopo aver troncato i rapporti con i precedenti psicologi e con quella figura nociva di sacerdote, due anni fa ho deciso di prendere nuovamente in mano la mia vita e di salvarla dal burrone nel quale stava precipitando. Aiutato da una bella figura presbiterale come il mio parroco e consigliato dal consultorio diocesano famigliare, ho cominciato un percorso del tutto nuovo e in senso opposto a quello precedente, con uno psicoterapeuta della mia terra che mi ha aiutato a cambiare sguardo su me stesso. Oggi finalmente considero l’omosessualità un aspetto integrante della mia persona, non un errore frutto della mia storia famigliare ma un dono di Dio per me e per gli altri; la disperazione iniziale ha lasciato il posto ad una pace interiore che non avevo mai sperimentato prima. Ho capito che Dio aveva permesso che io attraversassi questo mare tempestoso, questo percorso turbolento, per arrivare colmo di tesori, che sono le esperienze di vita, al punto in cui sono oggi.
Il fatto di aver conosciuto durante la prima ondata Covid sia il portale Gionata, che il gruppo dei Giovani Cristiani Lgtb mi ha dato una spinta interiore maggiore perché in questo cammino, che include e abbraccia fede e omosessualità non mi sento più solo. Ho conosciuto tanti amici e amiche che mi hanno accolto come parte integrante di questa famiglia, senza giudicarmi ma amandomi così come sono.
Spero che questa testimonianza reale e sincera, perché vissuta da me in prima persona, possa aiutare tanti ragazzi e ragazze che stanno soffrendo come ho sofferto io, a rifuggire dalle “teorie riparative” che sono solo un’illusione distruttiva, capace di togliere pace e forze spendibili invece nell’amare se stessi, Dio e gli altri così come si è, unici e originali!
A tutti auguro, a me in primis, un viaggio entusiasmante al “centro di se stessi”.