Sinodo della Famiglia, è tempo di abbracciare l’altro. La discussione è aperta
Articolo di Werner G. Jeanrond* pubblicato sul settimanale cattolico The Tablet (Gran Bretagna) il 4 giugno 2015, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Nell’attuale clima di polarizzazione nella Chiesa e nella società, ogni tentativo di differenziare l’atteggiamento verso le scottanti questioni del nostro tempo rischia di essere denunciato da una parte o dall’altra. Alcuni pensano che o la dottrina tradizionale della Chiesa Cattolica Romana verrà preservata in toto, senza cambiamenti e interpretazioni, o la Chiesa si adatterà completamente alla cultura postmoderna. Queste presunte alternative non sono né cristiane né utili. Abbiamo bisogno, piuttosto, di una discussione approfondita sugli approcci e l’incoraggiamento che la tradizione cristiana fornisce per affrontare le sfide diversificate di oggi.
La giornata di studio tenuta la scorsa settimana alla Pontificia Università Gregoriana di Roma – alla quale i presidenti delle conferenze episcopali di Francia, Svizzera e Germania hanno invitato circa cinquanta tra vescovi, teologi, biblisti, funzionari della Curia e giornalisti – ha cercato di fare proprio questo. L’idea era trascendere le diffidenze e vincere le paure e i tabù che negli ultimi tempi hanno avvelenato la Chiesa e stendere una piattaforma per scambiare informazioni e discutere rispettosamente. La giornata è stata una risposta diretta al Sinodo sulla Famiglia avviato a Roma lo scorso anno, che aprirà la sua seconda fase in ottobre e si focalizzerà sulla vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo. È un evento che richiede il tipo di discussione tentato alla Gregoriana.
I partecipanti alla giornata di studio hanno concordato di osservare questa regola: parlare liberamente del nostro incontro senza attribuire specifiche dichiarazioni a partecipanti specifici. Quelli che seguono sono i miei personali ricordi e riflessioni. Abbiamo cominciato la giornata con la celebrazione dell’Eucarestia. Le tre sessioni di lavoro si sono aperte ciascuna con un breve documento di uno studioso maschio e una studiosa femmina, uno in francese e uno in tedesco. La prima sessione era dedicata alla riflessione sull’ermeneutica biblica, la seconda alla riflessione sulla teologia dell’amore e la terza alla riflessione sulla teologia della biografia. Durante le sessioni e le discussioni tra una sessione e l’altra abbiamo riconosciuto la necessità di esplorare l’orizzonte nel quale desideriamo effettivamente prendere in considerazione ogni particolare questione teologica, morale o ecclesiale.
La Bibbia e i testi della tradizione sono letti nei diversi contesti del nostro mondo. Dio comunica nel linguaggio e attraverso il linguaggio e quindi non può esserci un approccio all’autocomunicazione di Dio nella storia che prescinda dal linguaggio. La rivelazione divina ha scelto il linguaggio umano per proclamare la buona novella del progetto creativo e redentivo di Dio. Perciò dobbiamo riflettere sulla nostra comune categoria ermeneutica. L’ermeneutica è l’arte del comprendere ed è composta di un genuino amore per Dio e per la Parola di Dio incarnata nella storia e una continua ricerca del significato e della rilevanza della nostra fede nei nostri rispettivi contesti storici, culturali e comunicativi. L’interpretazione non si ferma mai. Inoltre, noi cristiani abbiamo bisogno l’uno dell’altro quando riflettiamo sulla tradizione e la prassi della nostra fede. In questo senso noi chiediamo ai vescovi del prossimo Sinodo un’esplorazione critica della fede e delle sfide presenti. Nel loro rapporto di medio termine i padri del Sinodo hanno parlato di misericordia, della legge di gradualità, ovvero di Dio che guida il suo popolo passo dopo passo, e dell’essere chiamati a riconoscere le sofferenze di chi vive rotture famigliari e coniugali. Il rapporto parla anche di “scelte pastorali coraggiose” e di “nuove scelte pastorali”.
Certamente nessun partecipante al Sinodo dovrebbe cercare di nascondersi dietro proclami di immutabilità della dottrina. Per dirla con il documento del Vaticano II Dei Verbum, i padri del Sinodo possono piuttosto approfittare della possibilità di crescere nella fede e nella comprensione con l’aiuto dello Spirito Santo. Sotto questo rispetto il Concilio menziona esplicitamente la contemplazione e lo studio dei credenti che ponderano queste cose nel loro cuore, il senso delle realtà spirituali che essi vivono e i proclami del Magistero. I cristiani, laicato e clero, sono coinvolti insieme in questo processo – e insieme devono sconfiggere il clericalismo. Una volta che la fede nella buona novella del regno emergente di Dio e la consapevolezza della nostra categoria ermeneutica vengono accettate come punto di partenza, specifiche questioni e sfide morali possono essere trattate sapendo con maggiore chiarezza dove stiamo andando. Il regno di Dio è un regno d’amore. Questo non ha niente a che vedere con il sentimentalismo o il romanticismo, ma riguarda i nostri sforzi per entrare in relazione con l’alterità degli esseri umani nostro prossimo, con l’alterità di noi stessi e con la radicale alterità di Dio. L’alterità non può mai essere esaurita nei nostri atti d’amore; invece, amando l’altro, Dio e me stesso mi immergo sempre più profondamente nel riconoscimento dell’alterità. Lottare con l’alterità è affare dell’amore. La sociologia, l’antropologia, la psicologia, la biologia e le altre discipline possono ulteriormente approfondire la nostra comprensione dell’amore umano e delle espressioni sessuali dell’amore. La sessualità è un dono di Dio che deve essere accettato nella fedeltà dell’amore. Dato che Dio ha creato gli esseri umani con diversi orientamenti sessuali, diviene imperativo identificare un ordine adeguato per queste differenti forme di amore e di espressione sessuale.
Il matrimonio sacramentale si è sviluppato come ordine per l’amore della coppie eterosessuali nella Chiesa. Non dovrebbe però essere dimenticato che questo processo sacramentale presuppone il sostegno e l’incoraggiamento delle coppie sposate della comunità locale. La rottura del matrimonio è un fallimento per l’intera comunità e non solo una triste prova per la coppia che si separa. Perché accompagniamo le persone che emergono da tale fallimento quando stanno per inaugurare una nuova e, si spera, più sana relazione con Dio e la Chiesa escludendole, in quanto peccatrici, dall’Eucarestia? Non dovremmo occuparci della rottura di una relazione matrimoniale, quando essa accade? Che risorse abbiamo per sostenere le coppie sposate prima che il loro matrimonio si spezzi e accompagnarle, quando la rottura è inevitabile, in un processo di guarigione?
L’altra principale sfida che la Chiesa deve affrontare è il suo atteggiamento verso le relazioni omosessuali. Il fallimento nell’accompagnare le coppie omosessuali fedeli e nell’identificare un contesto adeguato per la loro vita di fronte a Dio sta ossessionando la Chiesa e danneggiando la sua credibilità come istituzione che ha la responsabilità di proclamare l’amore di Dio e di promuovere l’amore umano. Riferimenti a specifici passi biblici citati fuori contesto allo scopo di condannare l’amore omoaffettivo non potranno mai sviare dall’invito divino, rivolto a tutti gli uomini e a tutte le donne, di formare relazioni amorevoli.
La partecipazione a questa giornata di studio è stata un’esperienza liberatoria. Non che abbiamo identificato tutte le questioni da affrontare, tutte le ricchezze della tradizione da esplorare e tutti i contributi delle altre Chiese da considerare. Abbiamo parlato più delle coppie che della vita di famiglia, i suoi problemi e le varie forme che assume oggi, ma alla luce del Vangelo abbiamo dato uno sguardo ad alcune delle sfide del discepolato in modo onesto e costruttivo. Abbiamo imboccato un cammino di riflessione pubblica e critica e di preghiera. È sicuramente un inizio promettente e un incoraggiamento per la Chiesa e il prossimo Sinodo.
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* Werner G. Jeanrond insegna all’Università di Oxford ed è autore di “La teologia dell’amore” (Queriniana, Brescia, 2012).
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Testo originale: The embrace of otherness