Sinodo sulla famiglia: in principio la misericordia
Articolo di Giovanni Panettiere pubblicato sul Blog “Pacem in terris” di Qn (il Giorno, la Nazione, il Resto del Carlino) 1 luglio 2014
Un documento interlocutorio, come non poteva essere altrimenti, che, con una dose di schiettezza forse inedita per la Chiesa, fotografa la situazione reale della famiglia e lascia intravedere soluzioni pastorali a problemi urgenti come l’accesso ai sacramenti dei divorziati risposati, le convivenze, le unioni omosessuali e il calo delle nascite.
È la bozza di lavoro, l’Instrumentum laboris, del sinodo dei vescovi di ottobre, chiamato a intavolare la discussione per la successiva assemblea sinodale del prossimo anno nel corso della quale l’episcopato internazionale cercherà un difficile equilibrio fra aggiornamento della disciplina familiare e tutela della dottrina.
Sarà quasi una riedizione, a ranghi ridotti ma con attese non inferiori, del Concilio Vaticano II (1962-1965), a cinquant’anni esatti dalla sua conclusione.
La famiglia è materia incandescente su cui la Chiesa, qui più che altrove, paga lo scotto di un certo scollamento dall’uomo contemporaneo.
L’Instrumentum laboris, sintesi delle risposte a una consultazione fra la base cattolica, fortemente voluta da papa Francesco, lo ammette senza infingimenti, lasciando spazio all’autocritica.
Non è altro che la conseguenza piuttosto ovvia di quell’attenzione alla forma ecclesiale, più che alla sostanza, che sin dall’inizio è apparsa come costante del pontificato bergogliano.
Non basta più, è il messaggio che si dipana, a gesti più che a parole, dal soglio petrino, una Chiesa credente. C’è bisogno anche e soprattutto di una Chiesa credibile, povera e per i poveri, accogliente, umile e trasparente.
Così nella bozza di lavoro si legge che il concetto di legge naturale, alla base dei cosiddetti ‘valori non negoziabili’, tanto in auge sotto il papato di Benedetto XVI e oggi quantomeno finiti ‘in soffitta”, nei diversi contesti culturali risulta essere <assai problematico, se non addirittura incomprensibile>.
La stessa conoscenza dei documenti del magistero sulla famiglia <sembra essere generalmente scarsa>, <molta> è la resistenza agli insegnamenti sulla morale familiare a motivo della quale si evidenzia <la mancanza di un’autentica esperienza cristiana, di un incontro personale e comunitario con Cristo che non può essere sostituito da alcuna presentazione, sia pur corretta, di una dottrina>.
È in questo contesto che <si lamenta l’insufficienza di una pastorale preoccupata solo di amministrare i sacramenti>. Un passaggio a parte e sofferto viene dedicato, quindi, all’America del nord e all’Europa settentrionale, dove la Chiesa risente di <una rilevante perdita di credibilità morale a causa degli scandali sessuali>.
A ciò si aggiunge <lo stile di vita a volte vistosamente agiato dei presbiteri> e il comportamento di chi incarna la fede <in maniera teatrale>.
Anche nella pastorale familiare ‘la Chiesa in uscita’ dell’esortazione apostolica Evangelii gaudium avverte il bisogno di percorrere la via pulchritudinis, ossia la strada <della testimonianza carica di attrattiva della famiglia vissuta alla luce del Vangelo>, con la consapevolezza che le esperienze più positive si hanno quando si cammina in <sinergia> fra <la responsabilità dei pastori e i diversi carismi e ministeri nella comunità ecclesiale>.
Quasi una risposta indiretta, da un lato, all’egocentrismo di certi parroci, dall’altro, al clericalismo di quei laici per i quali la Chiesa si apre e si chiude con i sacerdoti.
L’Instrumentum sottolinea <il bisogno di una pastorale aperta e positiva> che sia in grado <di ridonare fiducia nell’istituzione, attraverso una testimonianza credibile di tutti i suoi membri>.
Anche perché sussiste ancora <la percezione del rifiuto nei confronti di persone separate, divorziate o genitori single da parte di alcune comunità parrocchiali>, così come <il comportamento intransigente e poco sensibile di presbiteri>.
Proprio separazioni e divorzi, insieme a convivenze e unioni omosessuali, sono le situazioni pastorali difficili con le quali la Chiesa del terzo millennio deve confrontarsi. Il testo, data la sua natura di bozza di lavoro, non traccia linee operative per affrontare questi casi.
Eppure in filigrana è possibile cogliere i criteri ispiratori delle conclusioni disciplinari che potrebbero essere varate nel sinodo del 2015.
<La vera urgenza pastorale – si evidenzia – è quella di permettere a queste persone di curare le ferite, di guarire e di riprendere a camminare insieme a tutta la comunità ecclesiale.
La misericordia di Dio non provvede ad una copertura temporanea del nostro male, altresì apre radicalmente la vita alla riconciliazione, conferendole nuova fiducia e serenità, mediante un vero rinnovamento>.
La pastorale familiare, <lungi dal chiudersi in uno sguardo legalista, ha la missione di ricordare la grande vocazione all’amore a cui la persona è chiamata, e di aiutarla a vivere all’altezza della sua dignità>.
Sembra di leggervi un avvallo, neanche troppo sfumato, alla ‘teologia in ginocchio’, così l’ha definita Francesco, del cardinale Kasper, favorevole all’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati dopo un cammino penitenziale.
Se anche fosse, non è per nulla scontato che questo possa essere uno degli esiti disciplinari del sinodo del prossimo anno.
Le resistenze, a partire da quella del prefetto del’ ex Sant’Uffizio, Muller, sono piuttosto esplicite e il dibattito si preannuncia serrato, come si è visto a marzo in occasione del concistoro straordinario sulla famiglia.
Persino il cardinale Maradiaga, coordinatore del G7 Vaticano e nei mesi scorsi molto critico nei confronti dell’intransigenza del custode dell’ortodossia, in una conferenza stampa negli Stati uniti a inizio giugno, ha precisato che più che la questione della comunione ai divorziati il Sinodo si concentrerà sulla <validità sacramentale di molti matrimoni cattolici>. Solo pretattica per alleggerire la pressione e placare gli animi?
Sta di fatto che, al netto della <frustrazione> di parecchi irregolari che <si sentono emarginati>, perché non possono accedere ai sacramenti, l’Instrumentum sottolinea come tante delle risposte al questionario-consultazione segnalano <che in molti casi si riscontra una richiesta chiara di poter ricevere> l’eucarestia e la penitenza.
Il modello di riferimento a riguardo resta la prassi di alcune Chiese ortodosse che aprono a un secondo matrimonio al termine di un cammino penitenziale.
Ma fra la base cattolica non manca anche chi chiede di snellire la procedura di nullità delle nozze, indicando <la necessità di approfondire la questione del rapporto tra fede e sacramento>, come suggerito a suo tempo da Benedetto XVI.
A questo punto, non è da escludere che il Sinodo, nell’ottica di un aggiornamento della disciplina sull’asse divorziati-sacramenti, possa agire su entrambi i binari (penitenza e nullità), ferma restando la dottrina sulle proprietà delle nozze: indissolubilità ed esclusività.
Bergoglio ha più volte ricordato come il sinodo non possa esaurirsi nel confronto sulla comunione agli irregolari. I nodi da sciogliere sono molteplici, comprese le convivenze.
L’Instrumentum ne riconosce il <numero crescente> e cerca di spiegare le ragioni sociali all’origine di un fenomeno diffuso in qualsiasi area geografica: si va dalle <politiche familiari inadeguate a sostenere la famiglia> ai <problemi finanziari>, alla <disoccupazione giovanile> fino <alla mancanza di un’abitazione>. Tutti fattori che inducono le nuove generazioni <a dilazionare il matrimonio>.
Tra le possibili linee di azione pastorale si considera essenziale <aiutare i giovani ad uscire da una visione romantica dell’amore, percepito solo come un sentimento intenso verso l’altro, e non come risposta personale ad un’altra persona, nell’ambito di un progetto comune di vita>.
Altro fronte particolarmente delicato è quello delle unioni omosessuali. La bozza di lavoro del Sinodo ribadisce la dottrina corrente della Chiesa: nessuna analogia, neanche remota, fra convivenze omosex e matrimonio; rispetto, compassione e delicatezza per gay e lesbiche.
Di fronte allo sviluppo di legislazioni statali, che riconoscono sempre più le unioni civili, <molti fedeli si esprimono a favore di un atteggiamento rispettoso e non giudicante nei confronti di queste persone>.
Un buon numero di cattolici invoca <una valutazione teologica che dialoghi con le scienze umane per sviluppare una visione più differenziata del fenomeno dell’omosessualità>.
Dal canto loro, le stesse conferenze episcopali si interrogano <sulla ricerca di un equilibrio tra l’insegnamento della Chiesa sulla famiglia e un atteggiamento rispettoso e non giudicante> verso chi vive certe relazioni.
Ne consegue un’ammissione, da non passare sotto silenzio, che anzi potrebbe avere una ricaduta pratica sul versante pastorale come sul piano dei rapporti fra autorità ecclesiali e istituzioni civili. <Nell’insieme – è scritto nell’Instrumentum – si ha l’impressione che le reazioni estreme nei confronti di queste unioni, sia di accondiscendenza che di intransigenza, non abbiamo facilitato lo sviluppo di una pastorale efficace, fedele al Magistero e misericordiosa nei confronti delle persone omosessuali>.
Quasi a dire che, una volta sgombrato il campo da qualsiasi equiparazione fra unioni omosex e matrimonio, la Chiesa potrebbe inaugurare una stagione di tolleranza verso le relazioni gay e lesbiche.
Non è stato forse l’allora arcivescovo di Buenos Aires, Bergoglio, a battersi aspramente contro l’introduzione delle nozze omosessuali in Argentina per poi mostrare un volto più comprensivo nei confronti della regolazione delle convivenze fra persone dello stesso sesso in seno all’episcopato locale? Accoglienza è, infine, la parola chiave nella pastorale con i figli delle coppie arcobaleno.
E arriviamo al capitolo più sofferto del documento preparatorio: la famiglia e l’apertura alla vita.
La bozza di lavoro riconosce come negli ultimi decenni <sono state sollevate obiezioni radicali> nei confronti del magistero, altresì ammette che nelle aree di forte secolarizzazione, <in genere, le coppie non ritengano peccato l’uso dei metodi anticoncezionali>.
Non solo, è la differenza fra metodi abortivi e non che in larga parte assurge a <criterio di giudizio utilizzato sulla bontà dei differenti metodi>.
Eppure quello che da più parti è considerato come un vero e proprio ‘scisma silenzioso’ della base cattolica rispetto ai dettami dell’Humanae vitae (1968) non sembra preoccupare più di tanto gli estensori dell’Instrumentum che anzi si affrettano a sottolineare il valore profetico dell’enciclica nel ribadire <l’unione inscindibile tra l’amore coniugale e la trasmissione della vita>, a ricondurne la mancata ricezione a una scarsa conoscenza, e a mettere in correlazione, forse un po’ troppo sbrigativamente, <la diffusa mentalità contraccettiva con la presenza massiccia dell’ideologia del gender>.
I suggerimenti pastorali si limitano pertanto al <bisogno di una maggiore diffusione – con linguaggio rinnovato, proponendo una coerente visione antropologica – di quanto affermato nell’Humanae vitae>. Basterà a recuperare la sintonia con il popolo di Dio?
L’impressione è che andrebbero riviste le linee operative di un documento che Paolo VI, per compiacere la Curia romana, autonomamente mise nero su bianco, togliendo ai padri conciliari la discussione sulla valutazione morale della pillola e sconfessando le conclusioni, più possibiliste, avanzate dalla commissione costituita ad hoc.
E’ evidente che la dottrina cattolica sulle nozze non possa prescindere dai valori dell’apertura alla vita e della genitorialità responsabile.
Ma non per questo i criteri fondativi di un’esperienza familiare debbono condizionare ogni rapporto sessuale, per lo più ai nostri giorni nei quali <la promozione della natalità appare intrinsecamente connessa alla presenza di condizioni che consentano alle giovani coppie di assumere con libertà, responsabilità e serenità la scelta di generare ed educare dei figli>.
Questo l’Instrumentum lo sa bene. Non resta che trarne le conseguenze pastorali alla luce del primato della coscienza e della misericordia.