Nel Sinodo sulla nuova evangelizzazione ai molti problemi soluzioni deludenti
Riflessioni di Vittorio Bellavite, coordinatore di Noi Siamo Chiesa, 11 novembre 2012
Si è concluso domenica 28 ottobre (2012) il Sinodo dei vescovi su “La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”, in una diffusa disattenzione dell’opinione pubblica sia “laica” che cattolica.
L’argomento di questo Sinodo era molto interno alla vita della Chiesa e ciò può dare ragione della disattenzione della più generale opinione pubblica. Quanto all’opinione cattolica l’area più moderata e potenzialmente interessata a sapere cosa vi è successo, forse è rimasta di lato anche perché sempre più consapevole che un Sinodo che discute e non delibera ha un interesse relativo.
L’area più “conciliare” poi ha sempre ritenuto il Sinodo una semplice immagine di comodo che cercava di coprire (invano) il rifiuto della vera collegialità prevista dalla Lumen Gentium. La sua stessa funzione consultiva è poi ulteriormente mortificata dal fatto che è il papa a tirare le conclusioni dopo molti mesi dal suo svolgimento con un proprio documento, scarsamente letto ed “usato”, a quanto ci risulta.
Tuttavia nell’assenza di altre occasioni di incontro dei vescovi tra di loro sui problemi di tutta la cattolicità (che non siano quelle ultra selezionate interne alla curia vaticana) il Sinodo è sempre un momento importante per sapere e capire cosa bolle in pentola. Quest’anno in particolare lo era per gli scandali che hanno coinvolto il vertice della Chiesa e, più in generale, vaste aree dell’episcopato e del clero sulla questione della pedofilia. La sua composizione ha i limiti consueti: quasi trecento padri sinodali solo dieci donne come “esperte”.
I lavori del Sinodo non sono aperti e ci si deve accontentare dei resoconti degli interventi divulgati dalla sala stampa e che dovrebbero essere scritti dai diretti interessati. Niente di sa poi dell’ora di discussione a soggetto che conclude ogni assemblea. Essendo l’argomento del Sinodo molto vasto e troppo generale e generico è evidente che si poteva parlare di tutto. E così è stato. Ci si poteva permettere di esprimere punti di vista senza troppi binari precostituiti.
Tutto ciò premesso, la lettura analitica dei vari interventi è abbastanza interessante, soprattutto quella dei vescovi “periferici” meno legati alla ripetizione del consenso “vaticano” degli “ortodossi” sparsi in ogni continente. Molti interventi hanno raccontato la realtà delle chiese locali; ci si può accorgere così della varietà delle situazioni e delle proposte che l’esasperata centralizzazione cresciuta dopo il Vaticano II non riesce a impedire.
Sono venute a galla spesso l’attenzione e l’interesse per le piccole comunità di base, frequenti riflessioni autocritiche sul funzionamento delle strutture, il problema della credibilità della proposta del messaggio evangelico e dell’inculturazione sia in Africa che in Medio ed Estremo Oriente, l’uso delle lingue locali e le traduzioni della Bibbia, la liturgia, l’emergenza delle “sette”, il problema di una efficace catechesi, la famiglia disgregata, le coppie di fatto e i divorziati risposati, la mancanza del clero, il ruolo delle donne ecc….
In complesso emergono da tanti interventi della periferia consapevolezza dei problemi, speranza e tenacia. Due analisi di alcuni interventi particolarmente interessanti sono stati fatti su Adista (n.40) e da Marco Politi sul “Fatto” (del 7 novembre). Di grande interesse il discorso del Padre Nicolàs, il papa nero, superiore dei gesuiti , da leggersi per intero.
In questo clima di molti interventi “veri” ci sono invece stati dei silenzi sconcertanti praticamente in tutti gli interventi dei Padri sinodali. Dello scandalo della pedofilia del clero praticamente non se ne è parlato. Ugualmente gli scandali e il marasma nella gestione del Vaticano sono stati ignorati. Ma non sono queste questioni che ostacolano pesantemente l’evangelizzazione ? E sono questioni che sono venute a conoscenza in tutto il mondo cattolico.
Altre questioni intraecclesiali, che dovrebbero essere importanti (sicuramente nella cristianità occidentale) come quelle della gestione delle risorse della Chiesa e di un maggiore pluralismo nel funzionamento delle strutture ecclesiastiche sono state sostanzialmente ignorate.
In fine citerò solo due brani illuminanti. Mons. Shaw di Lahore in Pakistan dice:”Ciò che proviene dall’Occidente, per i mussulmani, proviene dai cristiani. La maggior parte dei mussulmani è convinta che la rilassatezza dei costumi, lo sfruttamento dei popoli poveri e deboli, il disprezzo della religione mussulmana che avvertono da parte degli occidentali, provengano dagli occidentali o dal cristiano.
Come e cosa fare per evitare che i mussulmani confondano cristianesimo e occidente, cristiani e occidentali e che si sentano scherniti, frustrati?” E il Patriarca greco melchita di Siria ha detto: “La nostra bella fede cristiana è troppo complicata; i termini, il loro contenuto e la loro spiegazione. Siamo sommersi da una serie di dogmi e di misteri: la Santa Trinità, l’Incarnazione, la Redenzione, i sacramenti. E’ necessario che i dogmi siano interpretati in una forma capace di toccare la vita quotidiana, le aspirazioni umane, la felicità e la prosperità, le realtà quotidiane dei nostri fedeli”.
Alla fine il Sinodo ha discusso e votato 58 propositiones, che il papa dovrebbe prendere in considerazione per redigere il documento finale. Dovrebbero essere destinate solo al papa ma, poiché in passato sfuggivano al segreto e riuscivano ad essere comunque divulgate, ora il Sinodo le distribuisce in un testo ufficioso e solo in inglese (il testo ufficiale è sempre il latino). Queste propositiones dovrebbero esprimere il dibattito e vengono discusse e votate in assemblea.
Una loro paziente lettura serve per capire che l’area di discussione e di ricerca che in qualche modo c’è stata nell’aula consiliare, è stata molto parzialmente raccolta. Tutto viene stemperato in ripetizioni di cose risapute e date per acquisite, nessun vero problema dei tanti della Chiesa veramente messo a nudo, magari in termini problematici per aprire la discussione.
Eppure non c’è questione più importante della secolarizzazione e della nuova evangelizzazione che dovrebbe essere affrontata con coraggio, scavalcando le paure curiali. L’ermeneutica del Concilio come continuità nella storia della Chiesa è data per acquisita, le encicliche vengono tutte ricordate così come il Catechismo del 1992.
Ogni sacramento viene “rilanciato” (soprattutto la confessione). La liturgia, le manifestazioni della pietà popolare, i nuovi movimenti che devono collaborare con le parrocchie, la funzione dei preti, della vita consacrata, dei laici, delle donne, la pastorale dei migranti, la catechesi, l’importanza della domenica e via di questo passo. Non esistono priorità, non esistono “aree” sulle quali avviare la ricerca, magari la sperimentazione.
Il problema dei divorziati risposati (che molti avevano sollevato) è stato risolto con poche parole nel solito modo (la Chiesa li accoglie ma continuano a non potersi comunicare durante la celebrazione eucaristica), il problema della carenza del clero resta congelato.
Insomma, è stato un grande forum perché gli ecclesiastici nel mondo si incontrino, si conoscano, discutano, qualcosa di lontano da quello che servirebbe alla Chiesa in questa fase di stagnazione e di difficoltà.