Sinodo: sull’omosessualità, e non solo, una delusione prevedibile?
Riflessioni di Massimo Battaglio
In definitiva, aveva ragione chi, come me, nutriva un sano scetticismo: il Sinodo, per quanto blindato, aperto ai laici, sicuro da eventuali rimonte dei tradizionalisti, alla fine, ha partorito un topolino.
Tra le questioni più spinose – magari non quelle fondamentali ma sicuramente le più urgenti – tutto è stato rimandato. Rinviata la discussione sul celibato dei preti, rinviata la questione delle donne, rinviato, manco a dirlo, il tema dell’omosessualità.
Se i primi due rinvii non mi competono, il terzo mi fa davvero girare le scatole. Perché, più che di un rinvio, sembra proprio un’espunzione. Se infatti, nel documento conclusivo, si leggono finalmente alcune novità sul tema della sessualità e dell’educazione sessuale, nulla di nuovo è invece affermato riguardo alla questione LGBT.
E’ bello infatti leggere, al punto 14, “un approccio sinodale alla formazione”:
“Raccomandiamo di approfondire il tema dell’educazione affettiva e sessuale, per accompagnare i giovani nel loro cammino di crescita e per sostenere la maturazione affettiva di coloro che sono chiamati al celibato e alla castità consacrata, La formazione in questi ambiti è un aiuto necessario in tutte le stagioni della vita”.
E subito dopo:
“È importante approfondire il dialogo tra le scienze umane, soprattutto la psicologia, e la teologia, per una comprensione dell’esperienza umana che non si limiti a giustapporre i loro apporti, ma li integri in una sintesi più matura”.
Sembra una novità fragorosa, dal momento che, fino a ieri, l’educazione sessuale era vista come fumo negli occhi e si ripeteva spesso che la scienza non detta la morale (anzi, veniva sovente il sospetto che dovesse essere la morale a dettare la scienza).
Ora si riconosce che i teoremi della teologia non bastano. Si dichiara, finalmente, che, per giungere alla conoscenza della Verità, è necessario misurarsi con le verità, quelle minuscole, anziché negarle.
Tutto molto bene. Ma quando arriviamo ad affrontare il tema delle diversità sessuali e affettive, ricaschiamo nel limbo. Al numero 15, “discernimento ecclesiale e questioni aperte”, leggiamo infatti:
“Alcune questioni, come quelle relative all’identità di genere e all’orientamento sessuale, al fine vita, alle situazioni matrimoniali difficili, alle problematiche etiche connesse all’intelligenza artificiale, risultano controverse non solo nella società, ma anche nella Chiesa, perché pongono domande nuove. Talora le categorie antropologiche che abbiamo elaborato non sono sufficienti a cogliere la complessità degli elementi che emergono dall’esperienza o dal sapere delle scienze e richiedono affinamento e ulteriore studio. È importante prendere il tempo necessario per questa riflessione e investirvi le energie migliori, senza cedere a giudizi semplificatori che feriscono le persone e il Corpo della Chiesa. Molte indicazioni sono già offerte dal magistero e attendono di essere tradotte in iniziative pastorali appropriate. Anche dove siano necessari ulteriori chiarimenti, il comportamento di Gesù, assimilato nella preghiera e nella conversione del cuore, ci indica la strada da seguire”.
Già trovo piuttosto offensivo che, sulle nostre istanze – quelle sull’identità di genere e l’orientamento sessuale – si faccia tutto un miscuglio che comprende anche il fine vita, il divorzio e l’intelligenza artificiale (e magari anche le ricette di Suor Germana, perché no?).
Trovo poi deludente che si continui ad associare l’omosessualità a termini come “ferita”. Non sanno, i padri del Sinodo, che si può essere gay, lesbiche, trans e felici? Forse è difficile essere gay felici e preti. Ma mica tutti i gay sono preti!
E soprattutto, hanno idea, i padri, di cosa comporta “prendere il tempo necessario”? Glielo dico io che non sono nessuno: significa che, nel frattempo, continueranno a moltiplicarsi le aggressioni omofobe, le discriminazioni, i suicidi. Su chi cadrà questo sangue? Vogliono prendersene loro la responsabilità? O non ci hanno proprio pensato, presi com’erano dal risolvere i loro rebus? Sembra davvero che, anche al Sinodo, si ignorino le vite di tante persone e le si scambi per equazioni di secondo grado.
L’unica cosa positiva è l’ammissione di non aver elaborato “categorie antropologiche” sufficienti. Viceversa, è davvero insultante asserire che “molte indicazioni sono già offerte dal Magistero”. Quel Magistero, noi lo conosciamo bene. E’ quello che raccomanda alle persone non eterosessuali e non cisgender, di non fare sesso e di “unire al sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione”. Ma siamo seri?
E poi: cosa significa “iniziative pastorali appropriate”? Anche i vari apostolati che promuovono la castità (leggasi terapie riparative) sono “iniziative pastorali”. E, se si sta a guardare, sono perfettamente in linea con le “indicazioni già offerte dal Magistero”. E’ a questo, che si allude?
Cari dottori del Sinodo: sappiate che “il comportamento di Gesù”, quando si trattava di omosessualità e identità di genere, fu di non affrontare l’argomento. E, in assenza di sue indicazioni, non si possono proferire condanne. Non vale dire che però San Paolo, però la lettera ai Romani… Stavate parlando, giustamente, del “comportamento di Gesù”, non di quello delle prime comunità cristiane, nate quando si vendevano le mogli e ci si divertiva coi giovani schiavi. Scusatemi se mi arrampico alle virgole ma, quando è in gioco la felicità, la serenità e la stessa vita di milioni di persone, mi aggrappo anche agli spazi vuoti tra i puntini puntini. Il diritto si difende così.
C’è poi uno strano accenno, sempre a proposito di sessualità: al punto 16, “per una Chiesa che ascolta e accompagna”:
Il Sinodo “esprime la propria vicinanza e il proprio sostegno a tutti coloro che vivono una condizione di solitudine come scelta di fedeltà alla tradizione e al magistero della Chiesa in materia matrimoniale e di etica sessuale, in cui riconoscono una fonte di vita. Le comunità cristiane sono invitate a essere loro particolarmente vicine, ascoltandole e accompagnandole nel loro impegno“.
Ma reverendissimi padri! Cosa volete che ce ne facciamo della vostra “vicinanza” quando siete voi stessi a condannarci alla “solitudine”? Se ci foste veramente vicini, vi affrettereste a correggere quegli articoli del catechismo che anche voi riconoscete essere vetusti e che io non posso non definire miopi e spietati.
Miopia. Questa mi sembra davvero la malattia del Sinodo. Si pensa di poter sopravvivere cambiando qualcosetta, giusto per gradire, senza offendere troppo. E non si capisce che non c’è più tempo.
Tutte le questioni lasciate in sospeso rivelano questa patologia. Vale per il celibato dei preti, idem per le donne, con patate per i gay, le lesbiche, le persone trans eccetera: servono approfondimenti. Cioè: siamo talmente miopi, da non vedere che davanti a noi, sul nostro tavolo, ci sono proprio gli occhiali di cui avremmo bisogno. E lo riconosciamo pure. Così, mentre i monsignori cercano di risolvere i loro sudoku teologici, ci saranno sempre meno preti, meno donne e meno persone lgbt che si lasceranno incantare. Crederanno ancora in Dio, forse. Ma a modo loro. E il motivo è semplice: tra una Chiesa che mi piglia per il cu…ore e un compagno che mi ama, cosa dovrei essere portato a scegliere?