Sirwan e Karwan, due transgender curde in fuga dalla violenza
Articolo pubblicato sul sito The Local Voices (Svezia) il 20 maggio 2016, liberamente tradotto da Giacomo Tessaro
Sirwan e Karwan sono nati maschi ma non si sentono tali. Sono fuggiti dal Kurdistan iraqeno, dove le loro famiglie avevano intenzione di ucciderli. Sono arrivati in Svezia ma non sanno se potranno rimanere.
Erbil è una città abbastanza aperta per gli standard mediorientali ma non è certo San Francisco e, per due ragazzini che si comportavano da ragazze, la vita era un inferno.
Amore di madre
“Ero sempre in pericolo. Perlopiù ero oggetto di bullismo e maltrattamenti ma sono anche stato stuprato diverse volte” ci dice Sirwan. La gente le sputava addosso e si chiedeva se non avesse dei fratelli o un padre che potesse ucciderla. In effetti li aveva, dei fratelli e un padre, e odiavano il fatto che Sirwan giocasse con le ragazze e si curasse più della manicure che di essere uomo: “Mi picchiavano spesso, tutti i giorni”. A scuola veniva isolata ma erano gli adulti la più grande minaccia: un giorno, un gruppo di dieci uomini la minacciò con pistole e manganelli e la portò in un edificio abbandonato: “Mi violentarono tutti e dieci”.
E non fu l’unica volta: “Altri mi fermavano per strada e mi violentavano in macchina”. Nel 2012 fu presa da dei poliziotti che pensavano che i suoi vestiti fossero troppo femminili. La interrogarono sulla sua vita sessuale, la obbligarono a spogliarsi e la misero in isolamento. Alla fine cedette: raccontò tutto quello che volevano sapere su come avesse un amante che era fuggito in Turchia. La polizia registrò la conversazione e la fece avere alla sua famiglia. Gli uomini della famiglia allargata pensavano di ucciderla per lavare il disonore. Solo sua madre la difese, dicendo a Sirwan che lei era comunque suo figlio e che non le importava che si considerasse una ragazza. Dopo sei mesi Sirwan venne rilasciata con la condizionale. Sua madre le portò del denaro e il passaporto, dicendole di non farsi più vedere a casa.
Travestito in TV
L’infanzia di Karwan è stata altrettanto terribile. Suo fratello la chiudeva abitualmente nella sua stanza e suo padre una volta le bruciò tutti i libri per impedirle di andare a scuola e svergognare ulteriormente la famiglia. Ma Karwan amava cantare e sognava di diventare una star. Fece di nascosto un provino per un talent show e fu accettata. Si vestì da donna con una parrucca blu e cantò una canzone persiana. Il travestimento funzionò, ma solo una volta. Alla sua seconda apparizione la famiglia la riconobbe. Era ora di squagliarsela: “Subito, senza pensarci, lasciai Erbil per la città di Sulaymaniyah”. La famiglia era talmente fuori di sé che si recò all’emittente TV minacciando di dare fuoco all’edificio se Karwan fosse comparsa un’altra volta.
Per rendere la tragedia ancora peggiore, l’intero incidente fu così terribile per sua mamma che “morì per lo shock e l’orrore”. Dopo tre mesi a Sulaymaniyah Karwan passò il confine con la Turchia. La sua famiglia le telefonò dicendo che non l’avrebbero uccisa se fosse tornata, le avrebbero “solamente” tagliato via la lingua e le orecchie. Non sarebbe più tornata.
Ritrovarsi a Istanbul
Sirwan raggiunse Istanbul nel settembre 2014. Dormiva nei parchi e aveva sempre freddo, ma era relativamente al sicuro. Una sera incontrò in un locale una transgender iraqena che le offrì un tetto: “Mi costruii una rete di amicizie e iniziai a uscire con loro, fino a che non incontrai Karwan…”. Si incontrarono per caso. Come Sirwan un anno prima, Karwan dormiva sulle panchine e non aveva denaro né un lavoro. Si imbatté in lui mentre stava camminando nel parco che ora Karwan considerava casa sua. Provengono dallo stesso clan e poco tempo prima si erano incrociati nella capitale del Kurdistan iraqeno, ma ora i loro destini erano intrecciati.
Passaggio in Svezia
Decisero quasi subito di lasciare la Turchia. Nonostante lì vivessero meglio, erano sempre visti come omosessuali e quindi cittadini di seconda classe: “Trovammo uno scafista che ci propose di salpare sulla sua barca nel settembre del 2015, chiedendoci 1.500 dollari a testa”. Così salparono per la Grecia. A metà strada, il trabiccolo affondò: “Riuscimmo a stare a galla per tre ore grazie ai giubbotti salvagente. Quel giorno annegarono quattro bambini. Noi fummo fortunati, dal nulla saltò fuori una nave che ci portò in Grecia”.
Finirono in due campi separati e si incontrarono di nuovo solo due mesi dopo. Erano entrambi traumatizzati: in Turchia potevano scegliere chi frequentare ma tra i richiedenti asilo in Svezia c’era solamente una coppia di gay curdi e Sirwan e Karwan divennero il bersaglio degli altri rifugiati. Per coincidenza finirono ambedue a Boden, nel nord della Svezia, anche se in centri diversi, e ambedue dovettero affrontare gravi maltrattamenti.
“Karwan mi chiamò e mi disse che voleva uccidersi.” Ma Sirwan la convinse a non farlo e prepararono un piano per andare a Stoccolma. Nel novembre del 2015 presero un treno per la capitale e andarono direttamente alla tenda delle Nazioni Unite nella stazione centrale. Dopo aver spiegato che non potevano tornare al centro per i rifugiati, venne loro consigliato di andare in una chiesa: “Fu lì che incontrammo un uomo di nome Mikael, che si prese cura di noi” dice Sirwan. Mikael si assicurò che avessero sempre un letto per la notte e più tardi trovò loro una stanza a casa di amici.
Hanno fatto bene ad andare in Svezia?
Sirwan afferma che a volte sono pentiti di essere giunti in Svezia. Il Kurdistan iraqeno è considerato zona sicura dall’agenzia per i migranti e i due temono di essere rispediti indietro. Inoltre, il fatto che in Svezia ci siano molti compatrioti Curdi è spesso un problema. Un giorno Sirwan fu avvicinata da un uomo che l’aveva sentita parlare curdo al telefono: “Quest’uomo mi sputò addosso e disse ‘Sei una vergogna, come puoi essere un Curdo?’”. Non è tutto: dopo un’intervista alla radio è stata minacciata da alcuni Curdi immigrati che hanno promesso di ucciderla se la incontreranno.
Eppure la Svezia è molto più sicura dell’Iraq, ma a causa del sempre maggiore afflusso di rifugiati i due non hanno ancora parlato con l’agenzia che deve decidere del loro futuro. Impantanati in un limbo amministrativo, è difficile per loro vivere una vita normale. Stanno frequentando dei corsi di formazione ma le prospettive di lavoro sono incerte come il loro status di rifugiati. Ambedue vorrebbero sottoporsi all’operazione di riassegnamento del genere, ma senza permesso di soggiorno e senza tessera sanitaria i medici non possono prescrivere loro gli ormoni e i trattamenti laser che agognano.
Mentre continuano ad aspettare che le loro pratiche di asilo vadano a buon fine, Sirwan vuole che le autorità svedesi capiscano che non sono qui per chiedere soldi: “Siamo venute qui per essere libere”. E se le loro richieste verranno rigettate? “Allora saremo davvero nei casini.”
Testo originale: Why these transgender Kurds fear deportation from Sweden