Sono l’abito che indosso? (Deuteronomio 22,5)
Testo di Austen Hartke tratto da “Transforming: The Bible and the Lives of Transgender Christians” (Trasformazioni. La Bibbia e le vite dei cristiani transgender), editore Westminster John Knox Press, 2018, 225 pagine), capitolo 5, liberamente tradotto da Diana di Torino, revisione di Giovanna di Parma
Mi ricordo la prima volta in cui sono stato fermato davanti a una porta, perché mi trovavo nel bagno sbagliato. Avevo 11 anni e stavo entrando nel bagno delle donne a Disneyland, sfoggiando il mio berretto blu preferito da baseball – naturalmente al contrario. Il resto della mia famiglia era andato a fare un giro a cui io non ero particolarmente interessato, quindi ero da solo per lavarmi le mani e fare quello che tutti gli altri fanno nei bagni. Avevo appena varcato la porta, quando una donna si voltò e mi fissò.
“Ehi, non dovresti essere qui!”, disse con voce acuta e allarmata. Mi guardai intorno per vedere con chi stava parlando, ma continuava a fissarmi. Proprio il ragazzino con la maglietta larga, le braccia abbronzate e il taglio a scodella. “Questo è il bagno delle signore”, mi spiegò, un po’ più calma.
“Lo so!” dissi. Non sapevo bene come spiegarle che, anche se non mi ero mai sentita una donna, questo era il bagno che la F sul mio certificato di nascita mi suggeriva di usare e quello che avevo sempre usato insieme a mia madre e alle mie sorelle.
Lei continuò a fissarmi come non credesse a quanto le stavo dicendo, e io cominciai a sentirmi stringere lo stomaco. Mi voltai velocemente e uscii e per il resto della gita non entrai più da solo nel bagno. In seguito, mi sentii orgoglioso che avesse pensato che io ero un ragazzo e al ricordo mi viene da sorridere. Ma al momento fui terrorizzato.
In tutto il mondo l’abbigliamento è parte dell’espressione di genere – dal kilt in Scozia, al huipil dell’America Centrale, al gho del Buthan, alla hijab indossata da molte donne musulmane. Abbiamo aspettative sul significato di certi tipi di abbigliamento nella nostra cultura e usiamo quel particolare abbigliamento per segnalare cose su noi stessi alle altre persone. Questa non è un’abilità con cui siamo nati, però, si tratta di qualcosa che gli altri devono insegnarci. La maggior parte di noi ne ha consapevolezza da giovane.
Negli Stati Uniti gli adulti dicono ai bambini che il rosa è per le femmine e i capelli corti per i maschi. Quando andiamo alle superiori non sono i nostri genitori ed insegnanti a controllare il modo in cui esprimiamo il nostro genere; anche i nostri coetanei hanno voce in capitolo. Quando incontrai la donna nel bagno a Disneyland, stava reagendo con stereotipi agli abiti maschili che indossavo, saltando a conclusioni basate su tali osservazioni. Non era colpa sua – il nostro cervello è fatto per classificare rapidamente le cose – ma è importante notare come rispondiamo alle nostre reazioni istintive. I nostri pensieri inconsci non contano tanto quanto le nostre azioni susseguenti. Ma quanto possiamo dire di qualcuno solo dal modo in cui si veste?
L’espressione di genere è stata esaminata anche nei tempi biblici e abbiamo un versetto specifico spesso sfruttato contro le persone che vestono “al di fuori del loro genere”. Il versetto è Deuteronomio 22:5: “La donna non si vestirà da uomo, né l’uomo si vestirà da donna; chiunque fa tali cose è in abominio all’Eterno, il tuo Dio”. Ma cosa significa esattamente vestirsi da donna e vestirsi da uomo? Si riferisce all’abbigliamento in una particolare cultura, luogo o tempo, oppure una regola per chiunque?
Le risposte a queste domande dipendono dalle persone a cui le rivolgete. Alcuni studiosi della Bibbia pensano che Deuteronomio 22,5 sia stato scritto per gli Ebrei dell’epoca, perché vestirsi con abiti di un altro genere era associato al culto degli dei pagani. Altri teologi ritengono che questo versetto sia una continuazione delle leggi della Torah di cui abbiamo discusso nel precedente capitolo, dove tutta la vita viene classificata e divisa in diverse categorie che è vietato mischiare.
Nel Talmud il rabbino Eliezer ben Jacob suggerisce che il versetto vesti da uomo sia riferito alle armi per la battaglia e quindi lo scopo originale era quello di evitare che le donne andassero in guerra. Lo studioso ebreo Rashi nel suo commento a Deuteronomio 22:5 dice che il divieto è contro chiunque si vesta con abiti di un altro genere al fine di travestirsi a scopo di adulterio o qualche altro tipo di immoralità eterosessuale. È interessante notare che subito dopo Rashi afferma che il versetto si applichi soltanto agli abiti usati in questo modo immorale, invece va bene indossare abiti di un altro genere, purché non vengano usati per sgattaiolare via o per pomiciare con chi non dovresti.
Indipendentemente dal motivo per cui questo versetto è stato scritto, dobbiamo chiederci se per noi oggi ha ancora importanza. Molti cristiani pensano di no, citando il fatto che fa parte della legge mosaica che Gesù è venuto ad adempiere.
Inoltre, non prestiamo più attenzione alle leggi dei versetti prima del 22:5 (che ordinano di aiutare l’asino o il bue del nostro vicino se lo vediamo caduto per la strada) oppure i versetti seguenti (che ci comandano di non uccidere mai la madre di un uccello quando prendiamo le sue uova, ma dobbiamo sempre lasciarla andare libera).
Anche se guardiamo altri esempi sull’uso della parola “abominio” in Deuteronomio, troviamo difficilmente regole che ci sembrano importanti, come in Deuteronomio 25:13-16, dove si dice che due persone che portano due tipi di pesi per ingannare economicamente gli altri sono un abominio. Ma se prendessimo sul serio questa regola, forse saremmo un po’ più duri con chi manipola il mercato azionario!
Se volessimo prendere sul serio Deuteronomio 22:5 e attenerci scrupolosamente alle sue regole, dovremmo chiederci innanzitutto se in un’era di cristianità globale, in cui diverse culture con idee contrastanti su abbigliamento e genere si riuniscono per diventare una sola chiesa, è possibile esigere che tutte le donne cristiane da Seoul in Corea a S. Paolo del Brasile vestano abiti estivi, o che tutti gli uomini cristiani da Mogadiscio in Somalia a Memphis negli Stati Uniti vestano il kanzu (la veste bianca indossata dagli uomini dell’Africa orientale).
Faremmo spazio alla diversità oppure cercheremmo di omologare ciascuno accettando solo le nostre personali aspettative culturali?
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