Sono lesbica e cristiana, dopo la veglia di Bari mi sento a casa nella mia Chiesa
Testimonianza di Francesca di Bari
“Sono Marco , un ragazzo , sono cristiano, sono universitario ma sono anche omosessuale”.
E’ iniziata così una delle testimonianze che più mi ha colpito di una serata che mai avrei pensato di poter vivere, una veglia di preghiera per le vittime dell’omobitransfobia in Chiesa. Si si, avete capito bene, in chiesa, e per la precisione, nella Parrocchia di San Sabino, a Bari.
“Ci sono tante forme di violenza – spiega Marco – non esiste solo quella fisica. Ne esiste anche un’altra, più subdola , più sottile, che non ti spezza le ossa, non ti fa sanguinare, che si cela e si nasconde sottoforma di buon consiglio. È una violenza che non ti lascia vivere, ma semplicemente sopravvivere. È quella forma di violenza per cui ti fanno credere che quel pezzo della tua vita, quella caratteristica non è poi così importante, fa parte di te ok, ma è meglio non darla a vedere.”
Come potessimo scegliere, con una bacchetta magica, di cancellare, oscurare una parte di noi stessi, che più cerchiamo di nascondere, più irrompe con la stessa forza di un bambino per venire alla luce.
E così, accade che anche gli altri pezzi del puzzle di noi stessi si scompongono , l’insieme si sgretola, dando a quella silenziosa violenza il permesso di logorarci e di innescare un circolo vizioso, perché la violenza genera altra violenza, in primis verso noi stessi e poi verso gli altri .
“Quando ho incontrato il gruppo Zaccheo ho invece imparato e accettato che sono Marco , che sono un ragazzo, che sono cristiano , che sono universitario ma sono anche omosessuale, e che questa parte è importante. Quando anche questa parte di me ha iniziato a respirare, tutto il resto ha iniziato a farlo e a portare frutti”.
La storia di Marco è la storia di tanti ragazzi LGBT+, costretti per anni a dover scegliere tra chi erano davvero e chi dovevano essere, tra l’amore e la fede, quasi fossero due amori mutualmente esclusivi.
Fin da piccoli ci hanno fatto credere , e ci hanno raccontato solo una forma di amore possibile, quello tra un uomo e una donna , tra una mamma e un papà.
Poi ci hanno raccontato anche che il Signore ci ha creati a Sua immagine e somiglianza, e allora perché Dio mi ha fatto omo/bi/transessuale, se non posso amare chi il mio cuore sceglie, se poi non posso far parte della famiglia della Chiesa, se non posso essere chi sono davvero?
Ogni giovane omosessuale, bisessuale, o transessuale si è posto almeno una volta questa domanda; e allora mi è venuto in mente un versetto della Genesi, quando si parla della creazione del mondo e dell’uomo: “maschio e femmina li creò” , non per forza eterosessuale.
Sulla base di questa considerazione, ho iniziato anche io a far pace con me stessa e con chi il mio cuore sceglieva, consapevole che il Signore mi amasse e mi avrebbe amata così com’ero, nella versione migliore che potesse creare: se avesse ritenuto più giusto crearmi in un altro modo, lo avrebbe già fatto, no? Quindi chi ero io, o tutti i giudizi sprezzanti che ascoltavo sulla mia natura, per giudicare l’operato di Dio?
Tuttavia, fino alla sera del 14 maggio 2023, tutte queste domande a cui mi ero data risposte silenziose e personali, hanno avuto finalmente un grido ad alta voce, e la conferma di giustizia.
Ho varcato per la prima volta le porte di quella Casa, senza avere più la sensazione di dovermi sedere tra gli ultimi banchi, e dover lasciare una delle parti più preziose e più illuminanti della mia vita. Perché l’Amore è stata la cura alle ferite che l’odio e il pregiudizio ignorante, crudele e superficiale avevano scavato nel mio cuore, mi ha resa la persona di cui sono orgogliosa oggi, mi ha permesso di spendermi per gli altri , e di seguire con gioia l’esempio che Lui ci ha lasciato in custodia.
L’Amore ci impasta e ci trasforma nella versione migliore, più tenera, più dolce, più comprensiva di noi stessi: Lui non ci chiede niente di più di questo, ed è per questo che abbiamo il diritto e il dovere di addolcire i cuori più duri, di illuminare le menti più oscurate dai pregiudizi , dalla rabbia inculcata dall’ignoranza, e soprattutto, di poterci guardare allo specchio e riconoscerci come figli amati , e non a metà.
Lo dobbiamo a tutte le vittime di violenza rappresentate da quella sedia vuota ai piedi dell’altare che ,proprio come Gesù, sono state giudicate, umiliate, percosse, uccise da parole scagliate come proiettili contro orecchi ancora troppo fragili,o da mani ,calci, pugni.
Lo dobbiamo ai figli di due mamme e due papà, di oggi e di domani, le cui dignità e riconoscimento sono sempre più minati, non solo a livello legale, affinché possano trovare braccia ad accoglierli tra i banchi e visi sognanti di fronte ai loro racconti di amore, di famiglia, di comprensione. La Chiesa è la casa di tutti, bianchi ,neri , mulatti, eterosessuali, omosessuali , transgender, alti, bassi, timidi e socievoli, credenti e non.
Sono Francesca, sono una ragazza, sono cristiana , sono un medico , sono innamorata e sono anche omosessuale.