Sono prete in nome dell’amore omosessuale
Articolo di Tim Madesclaire tratto da Tetu (Francia) del maggio 2010, pag. 147, liberamente tradotto da Roberto D.
Prete senza ministero, Jacques Fraissignes, 72 anni, ha accompagnato 40 anni di evoluzione della condizione dei gay credenti nella chiesa, ma anche nella comunità gay.
La piccola casa domina la città di Orsay. Il panorama è limpido, con allo sfondo una linea di cime montuose. E’ qui che Jacques, con il suo compagno, cura il suo giardino ed un piccolo orto.
Jacques è un prete. E’ omosessuale. E’ in coppia, da 40 anni.
Non è inconciliabile? “No, risponde lui, al contrario, è anche una situazione nuova, fondatrice, perché bisogna superare una doppia trasgressione, quella dell’omosessualità e quella del celibato.”
Il percorso di Jacques è particolare per la sua grande costanza, anche se tracciata su binari opposti. Jacques inizia la sua di prete in una parrocchia popolare a Moulins, nella regione dell’Alleir.
Egli integra, su domanda della sua gerarchia, la gioventù operaia cristiana, lui che proviene da un contesto “borghese e con idee tradizionali”.
“All’inizio, non capivo questi cristiani che mescolavano la loro fede con le rivendicazioni di ordine sindacale. Fino a quando mi resi conto che anch’io avevo delle rivendicazioni da fare”. Non di ordine sociale, ma in ambito affettivo.
Ha circa 35 anni quando incomincia a capire di essere omosessuale. Nel 1970 lascia Moulins, per effettuare un lavoro psicoanalitico a Parigi. Rinunciando al ministero, egli cerca un lavoro manuale per sopravvivere. Perché questa decisione?
Non sopportava più una condotta di vita che egli qualificava come nevrotica: “Incontrare un uomo il venerdì, confessarsi il sabato, ricevere la comunione la domenica, e ricominciare così la settimana seguente… Volevo guarire dalla mia omosessualità.
L’analisi intrapresa, invece mi ha aiutato ad accettarmi ed a vivere sempre di più la mia omosessualità”.
Ma nessuna intenzione per lui di uscire dalla chiesa, che egli “non vuole sfidare”. Nessuna intenzione inoltre di rinunciare alla sua omosessualità. Nel 1972 aderisce all’associazione nascente “David & Jonathan”.
“Era il luogo ideale per conciliare un impegno religioso e una sessualità minoritaria” era quello il termine usato all’epoca? “No, credo che si parlava molto di più di rifiuto, eravamo considerati come dei paria”.
Il termine eppure indica un evoluzione, una convergenza tra l’associazione e il movimento gay, allora molto politicizzato – e nel quale Jacques non si riconosceva.
“E’ l’AIDS che ha permesso questa evoluzione. L’epidemia ha costretto il movimento gay a concentrare la sua azione su problemi più pragmatici, e verso l’accoglienza ed il sostegno ai malati.
Anche l’associazione “David & Jonathan” si è impegnata in questa direzione”.
Allo stesso tempo, all’interno della Chiesa cattolica, le cose si sono mosse un pochino. Non a livello della gerarchia, anche se Jacques fa distinzione fra “Roma” molto attaccata ai dogmi e la Chiesa Francese “più preoccupata e concentrata sulla coerenza”.
“Ma, egli aggiunge, se è relativamente facile parlare di omosessualità, in privato, con dei vescovi, nel momento in cui c’è da prendere una posizione pubblica, la porta si chiude”.
Eppure, afferma Jacques, alcune parrocchie sul territorio si aprono. “Ci sono stati, a partire dagli anni 1970, nelle predicazioni di alcuni Francescani dei messaggi codificati per le persone omosessuali.
Poi alcune parrocchie sono diventate accoglienti, accettando anche una visibilità reale”.
Titolo originale: Pretre au nom de l’ amour